Lucio Leoni (Como, 1968) oggi vive a Monza, con la compagna – nel lavoro e nella vita – Emanuela Negrin. I lettori lo ricordano per molte delle sue avventure che, a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila, sono apparse sui mensili Disney Paperino Mese e Paperinik e altri supereroi. Si è dedicato ad altri tipi di Fumetto e ha pubblicato anche nel mercato francese, per poi riprendere la collaborazione con Topolino nel 2011 nella sola veste di disegnatore.
Per chi scrive, Leoni è sempre stato uno dei talenti più promettenti della scuola Disney italiana. Le sue storie brillano per l’avvincente complessità delle trame, l’umorismo sferzante, le convincenti caratterizzazioni psicologiche dei personaggi e il voler costituire di volta in volta la tessera di un unico mosaico autoriale. Paperino e l’invasione sottozero, Paperino e la minaccia elettronica, Zio Paperone e la maledizione di Paperamsete, Paperino e il rapace urbano, Paperinik e lo spettro della guerra civile, Paperinik e l’inganno silenzioso, Paperinik e la minaccia del Time Slide… tante sono le storie memorabili in cui Lucio Leoni ha messo in scena una versione personale e azzeccata del clan dei Paperi, convincendo tanto come scrittore quanto come disegnatore.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Lucio, in cui abbiamo affrontato le differenze tra mercato francese e italiano, ripercorso le sue storie preferite e compreso l’importanza di possedere un nutrito set di padelle.
Ciao Lucio! Cominciamo… dall’inizio. Come sei arrivato a fare questo mestiere, da cosa nasce la tua passione e come sei entrato a far parte della scuderia degli autori Disney?
Da che ho memoria ho sempre voluto fare il disegnatore di fumetti. Se a 5 anni mi si chiedeva “Cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo “i fumetti!”. A scuola disegnavo su tutte le superfici disponibili, compresi i bordi dei libri di testo e il banco, per la gioia del mio rendimento scolastico… Finite le medie, mi sono iscritto alla Scuola del Fumetto di Milano che ho frequentato per 4 anni, mentre facevo anche pratica presso un disegnatore di Monza, Paolo Telloli. Erano i vecchi tempi in cui si faceva ancora bottega da qualche professionista!
Finito il servizio militare, dopo aver girato a vuoto per un anno, ho ricontattato la Scuola del Fumetto chiedendo consigli su dove iniziare a lavorare e loro mi hanno indirizzato presso lo Staff di If, una sorta di agenzia di servizi del settore fumettistico dove ho iniziato a disegnare professionalmente (cioè pagato!) per Tiramolla, per poi passare finalmente alle testate Disney. Lo Staff di If gestiva le testate di ristampe della Disney Italia, in pratica erano una vera e propria redazione esterna che godeva anche di una certa autonomia. Lì ho iniziato a disegnare le mie prima storie di paperi, insieme alla mia compagna Emanuela Negrin alle chine, e dopo un po’ siamo passati anche a realizzare le nostre sceneggiature. Negli anni a seguire siamo passati a lavorare direttamente per la Disney, e il resto, come si suol dire, è storia…!
Leggendo le tue storie con i Paperi il tipo di umorismo sferzante, il sense of wonder e le dinamiche tra i personaggi fanno piacevolmente tornare alla mente le avventure di Goscinny e Uderzo, il Bone di Jeff Smith e l’opera di Romano Scarpa, sia dal punto di vista del tratto che da quello della narrazione. Hai anche omaggiato l’autore veneziano citando Pap McPaper in Paperino e il fantasma dei mari del Sud. In altre storie, soprattutto in quelle con protagonista Paperinik, si notano invece punti di contatto col fumetto supereroistico americano (penso ad esempio a Paperino e l’inganno silenzioso, che in alcuni momenti mi ha ricordato lo Spider-Man di DeMatteis). Quali sono le tue figure di riferimento?
Beh, innanzitutto ti ringrazio per avermi affiancato a simili colossi del fumetto! Comunque, oltre a quelli citati da te ovviamente c’è Barks! Ma ci sono anche molte altre influenze come l’Altai e Johnson di Sclavi e Cavazzano, i Puffi di Peyo e praticamente tutte le storie di Pezzin degli anni ‘70, e altre più sottotraccia quali ad esempio l’Alan Ford di Magnus e Bunker e il Popeye di Segar. Più ovviamente tutta una serie di prodotti animati come Tom e Jerry, i Looney Tunes, i vecchi cartoni di Pippo ( a cui devo l’espressione “Yehohowww!” dei miei personaggi quando precipitano nel vuoto…) e perfino anime come Lupin III e Lamù la ragazza dello spazio.
Per quanto riguarda il settore supereroistico, ai tempi i miei massimi ispiratori erano Frank Miller con i suoi Il ritorno del Cavaliere Oscuro e Batman: Year One e Alan Moore con Watchmen e V for Vendetta (lo so, miravo alto…). Ma elencare veramente tutti gli autori che mi hanno influenzato sarebbe impossibile…
Hai prodotto la maggior parte delle tue storie in tandem con Emanuela Negrin. Quando avete iniziato a collaborare e in che modo vi spartite il lavoro?
Io ed Emanuela ci siamo messi insieme, sentimentalmente parlando, nel ‘90, e professionalmente nel ‘92. Lei non si occupava di fumetti o di disegno, ma io avevo notato che aveva delle capacità mai sfruttate e, visto che all’epoca il passaggio a china era il mio punto debole, ho iniziato a farle fare delle prove ottenendo risultati decisamente soddisfacenti! Così, Emanuela ha iniziato a inchiostrare le prime storie che ho realizzato per la Disney tramite lo Staff di If. In seguito, ha fatto da supervisore a tutte le mie sceneggiature, criticando senza pietà tutto il mio lavoro (e chi fa lo sceneggiatore sa quanto sia dura subirlo…)!
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Nelle tue storie si nota una sorta di continuity tra le varie vicende. Ricorrono i personaggi (per esempio i guardiani Bob e Sam), le situazioni. In alcuni frangenti hai addirittura scritto storie in diretto collegamento l’una con l’altra, come nel caso dei sequel di Paperino e l’invasione sottozero, Paperino e la minaccia elettronica, e quello di Paperinik e l’inganno silenzioso, Paperinik e la minaccia del time-slide. In particolare quest’ultima si colloca cronologicamente dopo i furti informatici della storia Paperinik e l’inafferrabile L.A.D.R.O. e fa riferimento al viaggio del tempo con la cronomacchina di Archimede introdotto in Paperinik e la corsa contro il tempo. Si ha la (gradevole) sensazione di star leggendo avventure ambientate in uno stesso universo condiviso, in cui gli eventi durano oltre lo spazio della storia. Come concepisci il concetto di continuity in ambito disneyano?
La continuity in ambito Disneyano è sempre stata una chimera. Troppi autori diversi, troppe redazioni di nazioni diverse che non comunicavano tra loro, troppi anni di pubblicazione… In Italia negli ultimi tempi sotto l’egida di Alex Bertani si è iniziato a realizzare cicli di storie interconnesse e a cercare di ottenere una sorta di worldbuilding canonico che mettesse un po’ di ordine nel caos storiografico di Topolinia e Paperopoli. Un grande passo era già stato fatto ovviamente da Don Rosa (come voi ben sapete!)…
Tuttavia è un sistema che funziona solo se si sceglie di ignorare tutto quanto scritto e disegnato negli ottant’anni precedenti, cosa alquanto difficoltosa vista la grande quantità di ristampe perennemente in atto. Personalmente, non ho mai trovato affascinante l’idea di una megacontinuity del Multiverso Disney, che trovo onestamente limitante. Ho sempre preferito le minicontinuity autoriali, come quelle effettuate da Scarpa nelle sue prime storie di Topolino e a cui mi sono ispirato per creare il mio personale microverso Disneyano.
Anche se a dire il vero l’idea di creare personaggi secondari fissi nel panorama di Paperopoli (il commissario Pelican, i guardiani notturni Bob e Sam, l’avvocato De Busillis, le ragazze del club delle ammiratrici di Paperinik) e location specifiche (la Statua della Libertà di Paperopoli, il Museo Storico dell’Università, il Teatro dell’Opera) l’avevo mutuata dai cartoni animati dei Simpson, in cui ogni figura rappresentativa di Springfield era caratterizzata in maniera specifica. Questo mi permetteva di dare all’insieme delle mie storie una struttura più compatta, potendo sfruttare personaggi già rodati anche dal punto di vista grafico. Avrei voluto avere il modo di sfruttare di più Olimpica-176 e soprattutto il cugino Scrocco, forse il mio preferito tra tutti!
Da diversi anni ormai non scrivi più storie con i personaggi Disney e preferisci disegnare sceneggiature altrui. Qual è la differenza tra illustrare una propria storia e quella immaginata da qualcun altro? Ti piacerebbe tornare anche ai testi delle tue avventure con Paperinik o Paperino?
Beh, lavorare su testi propri è una passeggiata. Non hai bisogno di interpretare la sceneggiatura, ce l’hai già nella testa dalla prima scena all’ultima! E soprattutto, sei sempre d’accordo con le scelte dello sceneggiatore… Lavorare su testi altrui è più snervante, specie se cambi spesso sceneggiatore, il che in Disney è la norma. Devi adeguarti a differenti modi si scrivere e diversi generi di umorismo. Non sempre ti piace l’argomento della storia, e in linea di massima c’è sempre una vocetta che ti sussurra all’orecchio “Ma sarà così che lo sceneggiatore l’aveva immaginato? Gli piacerà?”.
Se vorrei tornare ai testi? Hai voglia! Ma al momento, non credo siano molte le possibilità.
Collabori molto col mercato francese. Quali sono le differenze tra il fumetto italiano e quello d’oltralpe?
Come lavoro, non molte. Si firma un contratto, si decide una deadline, si mandano le pagine in visione e via così. In linea generale la BD è più autoriale, ma ormai da anni in molte case editrici capita sempre più di frequente di lavorare su properties altrui. La differenza più che altro è a livello culturale, c’è molto più rispetto per gli autori e in generale più possibilità di guadagno nel settore dei piccoli editori.
Nell’area Franco-Belga poi tutti leggono fumetti: ragazzi, ragazze, professionisti, professori universitari, uomini politici. Non esiste l’idea che farsi trovare con un fumetto tra le mani dopo i vent’anni possa essere una cosa imbarazzante. La maggior parte delle persone che alle fiere di settore venivano a farsi autografare un albo erano adulti, spesso anche anziani. Insomma, un altro mondo rispetto al nostro, dove perfino al giorno d’oggi quando dici di fare fumetti trovi ancora gente che ti dice “Ma proprio di mestiere, o solo per divertirti?”.
Parliamo delle storie: quali sono quelle a cui sei più affezionato?
Beh, dunque: Paperino e l’invasione sottozero, perché è stata la mia prima avventura di ampio respiro. Zio Paperone e la maledizione di Paperamsete, per il maggior spessore psicologico dei personaggi. Paperino e il fantasma dei mari del Sud, che è quella in cui mi sono divertito di più in assoluto. Paperinik e lo spettro della guerra civile, in quanto si tratta del mio primo giallo investigativo. E ovviamente le due più ambiziose, Paperinik e l’inganno silenzioso e Paperinik e la minaccia del time-slide!
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Io sono particolarmente affezionato a Paperino e l’invasione sottozero e a Paperinik e l’inganno silenzioso, quindi vorrei approfondire queste due avventure. Se hai qualcosa in contrario predispongo una guarnigione per farti portare nella Dimensione Fredda.
Beh, tengo a precisare che in casa ho un intero set di padelle. Uomo avvisato…
In Paperino e l’invasione sottozero Paperino è molto eroico e intraprendente, ma anche pasticcione e buffo: una caratterizzazione che non tradisce lo spirito di fondo del personaggio ma rende anche credibile che, indossata maschera e mantello, Paperino possa davvero essere in grado di gestire il ruolo di Paperinik. Come nasce l’idea alla base della storia?
Onestamente non lo so, rammento solo che mi è venuta in mente al cinema! Mi piaceva l’idea di fare qualcosa di diverso, un’avventura nel senso più ampio della parola. Qualcosa sul genere della Spada di Ghiaccio del grande De Vita, ma tenendo sempre conto che Paperino non è Topolino. La Dimensione Fredda è il suo Argaar, in sostanza. L’ispirazione mi veniva in maniera profonda dal Paperino di Barks, spesso coinvolto in epopee di livello epico, all’interno delle quali di frequente gli toccava fare la parte dell’eroe. Come amo dire spesso, secondo me Paperino è un tipo che tira fuori il coraggio solo quando è strettamente necessario, e soprattutto quando deve difendere qualcun altro oltre a sé stesso. E se non ci credete, andatevi a leggere L’albero di Natale tutto d’oro del 1948 in cui si fa in quattro per salvare i nipotini da una strega cattiva!
Parliamo degli omini azzurri, veri mattatori della situazione, il Grande Tiranno in testa. Li hai ideati dopo un’indigestione di pizza surgelata? Il loro peculiare linguaggiamento (pardon, linguaggio), prende le mosse dalla traduzione di Guido Martina della parlata degli abitanti di Testaquadra per la barksiana Paperino e il mistero degli Incas?
Io adoro la pizza (ma dovete leggerlo con la voce di Doug 4 di Mi sdoppio in quattro con Michael Keaton). In realtà no, se non forse a livello subliminale (conoscevo la storia in questione). Mi serviva un escamotage per far capire subito quanto fossero stupidotti gli abitanti standard della Dimensione Fredda, e una parlata sconclusionata e piena di errori mi sembrava la cosa migliore e più immediata. Direi che io e Martina a distanza di decenni abbiamo trovato più o meno le stesse soluzioni grammaticali, a riprova che se le necessità coincidono, spesso coincidono anche le soluzioni. In fin dei conti i delfini sono mammiferi ma hanno le pinne come i pesci, no?
In Paperinik e l’inganno silenzioso appare il personaggio del professor Brain, un genio megalomane che ha in un certo senso dei punti di contatto con il Grande Tiranno. Quali sono le ispirazioni per questi due villain?
Non saprei dirtelo. Semplicemente, mi ha sempre divertito l’idea di un cattivo piccoletto e intelligentissimo. In pratica un ego e una genialità inversamente proporzionali alle caratteristiche fisiche. Il Grande Tiranno in parte si ispirava a Phoney Bone, il cugino avido del Bone di Jeff Smith, ma in versione più malvagia e megalomane. In Brain invece avevo cercato, dal punto di vista grafico, una versione cattiva di Albert Einstein…
Come già detto, hai realizzato dei seguiti di alcune tue storie, tra cui L’Invasione Sottozero e L’inganno silenzioso. Avevi in mente di realizzare un terzo capitolo?
Ebbene sì, il terzo capitolo della Dimensione Fredda: si sarebbe intitolata Paperino e la minaccia delle lande sauriane o una cosa del genere, in cui il Grande Tiranno avrebbe risvegliato i sauri ibernati in quelle terre (simili a quello di guardia al Mega Generatore) per reimpossessarsi del dominio assoluto e invadere la nostra dimensione per vendicarsi di Paperino. Questa volta l’azione si sarebbe spostata sulla Terra, e Paperino avrebbe dovuto salvare il mondo giocando in casa, con l’aiuto di Paperoga. Era solo un abbozzo di idea, mai messo su carta e mai approfondita…
So che Paperinik è il tuo personaggio Disney preferito. Il tuo è dinamico, eroico, serio, incute timore ma senza dimenticare il lato comico delle avventure. So anche della tua passione per i fumetti di supereroi, soprattutto quelli Marvel. La Disney cercò negli anni ’90 di creare un punto di contatto tra questi due universi con la serie PKNA. Mi sono quindi sempre chiesto se seguissi Pk, cosa ne pensi e se hai mai pensato o avuto la possibilità di collaborare al mensile in quel periodo.
Sì, avevo acquistato il primo numero e me ne ero veramente innamorato. Ai tempi seguivo con passione l’Universo Ultimate della Marvel, e le analogie con PK erano davvero evidenti! Amavo il formato Comic Book, la colorazione, tutto. L’ho seguito per diverso tempo, ma poi la storyline si è un po’ persa per strada e ho iniziato a comprarlo solo quando era disegnato dagli autori che trovavo più interessanti.
Quello che non ho mai apprezzato del prodotto era il malcelato burlarsi della versione classica di Paperinik, sempre citato come “quello con la pistola a trombetta”, quasi a dire che il vero Paperinik fosse PK, e il suo predecessore solo un buffone mascherato buono solo a dare la caccia ai Bassotti. Per me il Paperinik classico era molto di più, e fondamentalmente era questo che cercavo di dimostrare nelle mie storie. Per PK feci un paio di prove in due occasioni, ma non andarono mai in porto…
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In chiusura: tu abiti a Monza, città che anch’io conosco bene e in cui trovare parcheggio è notoriamente drammatico. Immagino tu abbia voluto fare ironia su questo tipo di “incubo urbano” nella tua spassosa storia Paperino e il caos metropolitano, in cui Paperino le pensa tutte per scavalcare gli ingorghi e posteggiare la 313. Tu che rapporto hai con automobili, traffico e giungle d’asfalto?
Sì, assolutamente. In quegli anni vivevo in centro, dove c’è l’isola pedonale, e trovare parcheggio era una battaglia infinita. Ero arrivato al punto di organizzare i miei impegni in modo da essere di ritorno solo in tre specifiche finestre orarie, le uniche in cui si riusciva a trovare un posto libero. In alcune occasioni mi è capitato di posteggiare in posti più lontani di quelli in cui ero andato, in pratica mi sarebbe convenuto tornare a piedi e mollare l’auto lì! Per fortuna, noi autori di fumetti lavorando in casa non dobbiamo usare l’automobile con grande frequenza…
A dire il vero parecchie delle mie storie ad ambientazione urbana erano ispirate a fatti di vita vera, a conferma del detto “scrivi di ciò che conosci”. Paperinik e il discobolo d’oro in cui il nostro è costretto a fare ginnastica fino allo sfinimento deriva dalle mie prime esperienze in palestra, per dire. Paperinik e l’appuntamento impossibile trae spunto da situazioni in cui mi ero impelagato davvero. Perfino la scena del cantiere in Paperino e la luuunga notte è stata ispirata dai lavori di ristrutturazione che hanno imperversato attorno al mio appartamento per mesi, all’epoca!
Eccoci alla fine di questa bella chiacchierata. Ringraziando Lucio per il tempo, la disponibilità e la pazienza, vi rimandiamo ai suoi siti personali, per approfondire il mondo del fumettista lombardo: Leoni-Negrin e Tutte le morti di Monica, il sito del suo romanzo supereroistico a tinte noir. E speriamo, prima o poi, di riuscire a fare ritorno nella Dimensione Fredda o in qualsiasi altro posto la sua fantasia vorrà portarci.
Mattia Del Core