Ce l’avete il diritto di asilo? Okay, potete rimanere qui ed esplorare insieme il classico Disney del 1996 Il Gobbo di Notre Dame. C’è chi l’ha visto più volte, ha comprato lo zainetto con Quasimodo sopra e ha giocato con Barbie Esmeralda, e c’è chi usa semplicemente il “Gobbo di Notre Dame” come paradigma dei propri problemi di estetica e/o di cervicale. Ma chi non conosce la storia dell’amore di Quasimodo, campanaro recluso e tartassato a causa del proprio aspetto “diverso“, per la bella ed emarginata girovaga Esmeralda?
Ebbene, questa storia, nella sua origine, è ancora più jellata. “Victor Hugo” infatti non sono solo i nomi di due gargoyle parlanti, ma è anche l’autore del romanzo del 1831 che ha ispirato il film d’animazione. E se pensate che quel film sia curiosamente crudo e carnale per gli standard Disney, vi sfidiamo ad addentrarvi con noi fra le pagine di Notre-Dame de Paris!
Ispirato al fatto che la vita fa schifo
Quella di Quasimodo ed Esmeralda non è una storia vera: Notre-Dame de Paris è innanzitutto il romanzo storico dello scrittore romantico francese (e non gargoyle) Hugo. Un’opera che ha presto conquistato il cinema, partendo da un film muto del 1905 per arrivare al classico d’animazione e infine al cheapquel Disney. Dal 1998, Notre-Dame de Paris è anche un fortunato musical, grazie al paroliere Luc Plamondon e al compositore Riccardo Cocciante, noto cantante della colonna sonora italiana di Toy Story e di successi come Cervo a primavera.
Diversamente dal musical, Il Gobbo di Notre Dame in salsa Disney ha un target soprattutto infantile e ricalca molto più liberamente la trama del cupo romanzo di Hugo, rendendola meno corale e di gran lunga più incentrata sul personaggio di Quasimodo. Nel film, il suddetto campanaro di Notre-Dame è un trovatello con malformazioni affidato al giudice Claude Frollo, un villain bigotto e spietato che lo tiene al suo servizio nel campanile e gli proibisce ogni contatto col mondo esterno. Appena Quasimodo tenta di prendersi un’ora d’aria in una festa popolare, l’incontro con i pregiudizi della gentaglia, ma anche con la compassionevole danzatrice romanì Esmeralda, ha conseguenze inattese. L’amore e l’amicizia (come quella fra Esmeralda e Febo, il capitano delle guardie di Frollo. Ehm ehm) si scontreranno con la persecuzione della popolazione romanì a Parigi e il desiderio morboso di Frollo per Esmeralda: lei e Quasy riusciranno infine a vivere liberi?
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“Questo è il tempo delle CATTEDRAAALIII!”
C’è un elemento di realtà fondamentale nella storia immaginaria di Notre-Dame de Paris: l’ambientazione parigina medievale, con la sua folcloristica Festa dei folli (una sorta di carnevale dove il potere del clero veniva sbeffeggiato e capovolto a favore del popolo) e naturalmente la cattedrale più famosa anche nella Parigi contemporanea, Notre-Dame. Il legame mistico, ma soprattutto profondamente umano e terreno fra le pietre di Notre-Dame e le vicende dei personaggi è espresso già nella sequenza iniziale del film Disney, che inquadra la cima delle torri della cattedrale e attraversa poi le nuvole fino a Parigi, fra rintocchi di campane e canti gregoriani. Il nostro sguardo segue una prospettiva celeste, quasi divina, che corrisponde alla narrazione onnisciente di Victor Hugo e al suo intessere i microcosmi dei personaggi in un maestoso arazzo delle passioni, dei paradossi e dei destini dell’umanità.
La cattedrale non è solo uno scenario, ma praticamente un personaggio che interagisce nelle vicende di Esmeralda e compagnia: nel film, i minacciosi sguardi di pietra delle statue e dei doccioni (capaci persino di animarsi in modo soprannaturale) decidono letteralmente delle vite di Quasimodo e di Frollo. Nel romanzo Notre-Dame de Paris, non pago di un intero capitolo che descrive minuziosamente i trascorsi architettonici di Notre-Dame, lo stesso Frollo umanizza la cattedrale presentandola come la rivale della neonata stampa a caratteri mobili: “questo ucciderà quello”, afferma, ovvero “il libro ucciderà l’edificio”. Lo stesso concetto è ripreso dalla canzone Il tempo delle cattedrali nel musical di Cocciante: la chiesa o il tempio, che erano la “scrittura su pietra” dell’umanità, verranno soppiantate dalla trasmissione del sapere attraverso il “libro di carta“. Un libro che oggi, forse, rischia la vita a sua volta.
“La pietra può parlare??”
La cattedrale per Quasimodo nel film è una prigione da cui è difficile scappare, per quanto non esistano barriere fisiche ma solo una gabbia di discriminazione e di manipolazioni a opera del subdolo Frollo. Nel romanzo, Notre-Dame è l’accogliente “edificio materno” (cit.) di Quasimodo, la tana di colui che è considerato (dal popolo bruto, dal suo tutore/padrone Frollo e da ogni altra autorità) una creatura rimasta allo stato animale. Mentre nel film la partecipazione di Quasimodo alla Festa dei folli manda tutti in paranoia, nel romanzo non rappresenta un simile punto di rottura: l’isolamento del campanaro non è assoluto, né è il conflitto principale della storia. Al posto dello shock generale piovono frecciatine, nomignoli e pettegolezzi di bassa lega, prova di come il poveraccio abbia già il suo ruolo nella società di Parigi, anche se non quello di persona e neppure di essere umano.
Sia nel film che nel romanzo esiste comunque una profonda intimità fra la cattedrale e il nostro Quasy: le campane sono amiche da chiamare per nome, torri e tetti sono da scalare agilmente, con i gargoyle si può chiacchierare, peccato che rispondano solo nel film Disney. A parte che in effetti la pietra non parla, in realtà i simpatici Hugo, Victor e Laverne sono ispirati alle Chimere, statue mostruose con cui l’architetto Eugène Viollet-le-Duc ha decorato Notre-Dame solo nel diciannovesimo secolo. Il nome di Laverne è altrettanto anacronistico nel basso medioevo, essendo ispirato a LaVerne Sophie Andrews, cantante di un trio vocale swing.
Il vero Quasimodo
Ma è possibile che Victor Hugo (e in seguito la Disney) si sia ispirato solo alla cattedrale di Notre-Dame, che ai suoi tempi (e purtroppo anche oggi, dopo l’incendio del 2019) mostrava parecchio i segni dell’età e della turbolenta storia locale? Insomma, davvero lo scrittore allora ventinovenne si è fatto un viaggio così lungo, con rapimenti di fanciulle, corti di mendicanti e arcidiaconi vivaci, solo contemplando i rosoni e criticando ogni singolo rinnovamento architettonico della cattedrale dopo l’epoca gotica? Probabilmente sì, ma una recente scoperta (parliamo del 2010) ci fa pensare che Notre-Dame abbia ospitato nel 1820 un “Quasimodo” in carne e ossa.
Secondo Adrian Glew, archivista della galleria Tate Britain di Londra, il “Gobbo di Notre-Dame” era uno scultore con la cifosi che sovrintendeva al restauro del venerabile edificio, restando sulle sue, ma forse non abbastanza da sfuggire all’interesse di Hugo. Di sicuro questo misterioso figuro è citato nelle memorie (conservate nell’Archivio Tate) dello scultore britannico Henry Sibson, impegnato in un ruolo subalterno nello stesso restauro e talmente originale da trovare per “Quasimodo” il soprannome “Monsieur Le Bossu” (“Signor Gobbo” in francese). Il vero nome del “vero” Quasimodo non è purtroppo conosciuto.
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“Fermatevi! Gridò l’arcidiacono”
Notre-Dame comunque non è solo l’opera dello scalpello di “Le Bossu”, ma anche un simbolo per la Chiesa cattolica. Il romanzo Notre-Dame de Paris, pur rivelandosi nel 1831 un’eccellente pubblicità per il restauro della trascurata cattedrale, fu così gradito alla Chiesa da finire nell’Index dei libri proibiti dal 1834 al 1959. Se avete visto Il Gobbo di Notre Dame, potete forse attribuire questo leggero astio al fatto che il personaggio di Frollo, con tutta la sua sbandierata devozione per la Vergine Maria (la “Nostra Signora” della cattedrale), mostri la compassione e la modestia di un babbuino, per non parlare della canzone Dio fa’ qualcosa (God Help the Outcasts) dove l'”impura” Esmeralda è l’unica fra i fedeli di Notre-Dame a pregare per gli emarginati, anziché per richiedere soldi, successo o amore.
D’altronde nel film l’ipocrisia del giudice Frollo e la superficialità dei fedeli sono contrapposte alla saggezza dell’unica vera autorità religiosa, l’Arcidiacono di Notre-Dame: solo gli interventi di questo anziano pacioccone sembrano assecondare la volontà divina, manifestata dalle complici statue della cattedrale. Che sia per simpatia o per la distribuzione del film nell’Europa cattolica, il clero si salva dalla critica della Disney, mentre nel romanzo di Hugo… letteralmente, apriti cielo.
Quasimodo era un papa! E l’arcidiacono era Frollo!
Il personaggio del buon Arcidiacono nel romanzo non esiste, semplicemente perché Frollo è l’arcidiacono. Eh sì, Frollo è un prete, non un ministro della giustizia dotato di un bizzarro strapotere, di una tonaca dall’aspetto sacerdotale e di un’evidente repressione della propria sessualità. Don Claude Frollo, arcidiacono di Josas, non è un cattivo disneyano, continuamente dedito a hobby sadici, ma fa comunque abbastanza schifo: se perlomeno il giudice Frollo è realmente devoto alla (propria) giustizia, la vera “vocazione” del prete Frollo è la sapienza intellettuale. Ma nonostante i suoi studi elevati (e i suoi voti), cerca di approfittare della propria posizione per fare il bello e il cattivo tempo con la prima poveraccia che lo infiamma: Esmeralda. Il suo tormento non è tanto il dilemma spirituale di “un prete innamorato” (per citare il musical di Cocciante), ma il conflitto fra un’esistenza puramente cerebrale e un mondo di carne, sentimenti, umanità.
Un arcidiacono dilaniato dalla lussuria e amante del sapere come un diabolico Faust, con tanto di servitore stregonesco (così appare Quasimodo nel romanzo, agli occhi del popolino di Parigi), non è proprio una splendida réclame per la Chiesa. E giusto per rincarare la dose, mentre nel film Disney la Festa dei folli è una mascherata dove gli schemi sociali finiscono “sottosopra“, nel romanzo il divertimento popolare bersaglia in modo più preciso le autorità religiose (le stesse che stranamente bandirono la festa dopo il ‘500): Quasimodo è eletto papa dei folli, ossia idolo – per un giorno – del volgo più lercio e ignorante. Dall’alto di questo ruolo, è munito di un finto pastorale e di una tiara di cartone, accessori che ne Il Gobbo di Notre Dame diventano uno scettro e una corona regale dai tratti giullareschi, simboli meno controversi del potere temporale.
Quasimodo ce le aveva proprio tutte
A parte il suo breve mandato come papa dei folli, Quasimodo in Notre-Dame de Paris non è proprio il ventenne più popolare di Parigi. E se il Quasimodo della Disney può portare a sua discolpa il fatto di non conoscere nessuno, tranne quei tre gargoyle che comprendono la sua dolce personalità e il suo squisito talento artistico, il Quasimodo “made in Hugo” conosce abbastanza la gente da preferire le campane: una vita di abusi e pernacchie gli ha tirato fuori un pessimo carattere (che strano), ma per fortuna tutti già lo odiano per il suo aspetto. Quello almeno è riportato fedelmente in versione animata: cifosi evidente, andatura claudicante, maxi-verruca sopra un occhio, ciuffo rosso e fisico forzuto che Hugo descrive come “quadrato” e la Disney rappresenta come “un croissant”.
Siccome le campane alla fine non sono meglio delle persone, Quasimodo nel romanzo diventa sordo da ragazzino e, limitando l’uso della voce, comunica con la sua forza bruta (molto convincente) oppure con una lingua dei segni inventata dal suo “padrone” Frollo. Ma neanche Frollo è interessato a chiacchierare con Quasimodo: molto meglio commissionargli lavoretti simpatici come il tentato rapimento di Esmeralda, che è il vero reato per cui Quasy viene messo alla berlina, fustigato e preso a sassate (e non a teneri pomodori come nella scena corrispondente de Il Gobbo di Notre Dame). Insomma, il Quasimodo animato è una Cenerentola di Notre-Dame, ossia un delicato e nobile “principe” rinchiuso in un guscio sgraziato di apparenze e umiliazioni, mentre il Quasimodo letterario è un bestione brutalmente energico e tenebroso. Capace, tuttavia, di abbeverarsi alla minima goccia di amore come qualunque essere umano.
Quasimodo avrebbe diritto alla dignità non per la sua innocenza, ma perché in effetti non è una bestia. Peccato che questo non sembri sufficiente.
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Esmeralda era adolescente e fanno tutti schifo
Se parliamo di Quasimodo e dell’amore, o di Frollo e della lussuria, è chiaro che parliamo di Esmeralda. Questa eroina romanzesca è l’immagine stereotipica della “bellezza esotica“: giovane e florida, vistosamente vestita, mora e dalla pelle dorata, ispiratrice di violenti desideri che abbattono le barriere della società nella quale è straniera, eppure innocente nella sua sensualità che è puramente naturale. Considerato che l’Esmeralda di Notre-Dame de Paris ha solo sedici anni (un’età ovviamente da marito nella cultura ottocentesca di Victor Hugo), la nausea è concessa. La sua sfrontatezza sessuale sta solo negli occhi dei duemila personaggi che la guardano e la desiderano: la povera sedicenne è in realtà un modello di pudore e ingenuità a livelli preoccupanti.
Le origini di Esmeralda nel romanzo sono caoticamente attribuite alla Spagna o all’Egitto, in base a immaginarie radici egiziane dei popoli romanì, ma la verità sulla sua nascita è un mistero che si intreccia con la storia dell’abbandono di Quasimodo (spoiler: nessuna madre è morta per salvarlo) e richiama addirittura le leggende dei changeling: la convinzione sicurissima di Victor Hugo (che in sintesi non sa un acciderba delle etnie di cui parla) è che i cosiddetti “egiziani” siano soliti rapire, scambiare o addirittura mangiare i bambini, usanze che di volta in volta, ora nelle fiabe ora in vere persecuzioni razziste, la società ha attribuito anche a fate, streghe ed ebrei.
Esmeralda aveva una capra?
La Esmeralda Disney è invece sicura della propria identità romanì e più adulta, sia per età apparente che per esperienze. Sa benissimo cosa immagina Frollo mentre le sbava addosso, flirta disinvolta con Febo e si esibisce in balletti seducenti (incluso un accenno di pole dance con una lancia) che ammiccano alla folla in modo più esplicito rispetto all’innocua danza col tamburello descritta da Hugo. Sembra abituata a cavarsela da sola, con fierezza e con un vasto repertorio di armi improprie, trucchi e giochi di prestigio.
Le risorse della vita di strada, per l’Esmeralda romanzesca, sono invece varie e improbabili credenze superstiziose. La povera citrulla sogna un principe azzurro che la salvi (Febo) e cerca di difendersi in maniera autonoma solo quando viene minacciata la sua fedeltà a lui o la sua castità (che considera una virtù dal potere magico e non cristiano, ma la sostanza è quella). Il suo orgoglio personale è sacrificabile e anche il suo istinto di autoconservazione è deboluccio.
Premesso che Esmeralda, sia per Disney sia per Hugo, non è innamorata di Quasimodo (mai una gioia per Quasy), la ragazza è comunque l’unica a soccorrerlo quando tutti lo bersagliano sulla berlina. Ma l’Esmeralda sedicenne agisce in base a una pietà istintiva (più forte del fatto che l’amicone abbia cercato di rapirla), mentre l’Esmeralda disneyana possiede un vero e proprio senso di giustizia, che sa esprimere in maniera consapevole e persino con eloquenza.
In conclusione, il maggior punto in comune fra la Esmeralda Disney e quella romanzesca è la capretta da compagnia, Djali. Nel romanzo è un animale ammaestrato dalle doti circensi, mentre nel film ha una personalità umanizzata quanto basta per essere un comico sidekick. Femmina nel romanzo, maschio nel film, Djali è per Esmeralda un amico inseparabile, ma meno jellato di lei.
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Chi è il mostro a Notre-Dame? È Febo?
Comunque il terzo incomodo, fra Esmeralda e Quasimodo, non è la capra: è Febo, Capitano delle Guardie agli ordini del giudice Frollo (secondo la Disney). Detto anche (secondo il romanzo) Phoebus de Châteaupers, capitano degli arcieri del re: il nome parla da solo, essendo un epiteto (latinizzato) del dio greco Apollo, arciere mitico e bello come il sole. E fin qui il romanzo e il film sono simili, incluso il fatto che Febo/Phoebus sarà anche brillante in battaglia, ma non è proprio la zucca più geniale dell’orto.
La tragica differenza sta nel dettaglio che Châteaupers è l’opposto di come appare, ossia ha la statura morale, il garbo e la raffinatezza della culatta di un cavallo (che non si chiama Achille). Se il Febo della Disney è fascinoso e pure onorevole (purtroppo per Quasimodo), il Febo del romanzo, come anche quello del musical, è solo un volgare morto di fi… ordaliso.
Fiordaliso (Fleur-de-Lys de Gondelaurier nell’originale) è proprio il nome della fidanzata di Febo, una pupattola aristocratica che non monopolizza il cuore e le mutande del volubile capitano, ma ha un discreto successo nel romanzo e soprattutto nel musical in qualità di rivale di Esmeralda e suo rovescio: “sposabile” per questione di vanità e convenzioni, candida soprattutto in superficie, rappresenta sarcasticamente l'”amore puro“. Questo contrasto viene sottolineato nel musical, che attribuisce a Fiordaliso una gelosia addirittura omicida verso Esmeralda (vedi l’esplicita canzone La cavalcatura).
No, Febo non ama neppure Esmeralda. La invita sì a conoscersi meglio nella camera di una ruffiana (romantico), ma non guida nessuna rivolta popolare per salvarla dalla forca (anziché dal rogo come nel film), anche se gli basterebbe molto meno. Esmeralda infatti è accusata di averlo infilzato durante il loro appuntamento, mentre è quasi successo il contrario (cough, cough!).
“…ma il vero miracolo è uscire di qua!”
Ma quindi nessun personaggio si ribella alla condanna della povera Esmeralda? Neanche una misera torcia e un forcone sotto Notre-Dame? In realtà sì, non preoccupatevi: è Victor Hugo a regalarci la scena dove Quasimodo sventola Esmeralda come una bandiera in cima alla cattedrale, acclamato dalla folla sottostante.
La vera rivolta tuttavia parte dalla Corte dei Miracoli, ossia dalla società di emarginati e briganti che si raduna fra le ombre e i falò di una piazza malmessa (niente catacombe a dispetto dello scenario del film, che rappresenta in modo più letterale il carattere sotterraneo dell’associazione) e funge da famiglia adottiva di Esmeralda e di suo marito. Sì, perché alla faccia di Frollo, Quasimodo, Febo e compagnia cantante, Esmeralda è già moglie del poeta spiantato Pierre Gringoire, secondo un rituale della Corte celebrato al cospetto del cupo leader dei tagliagole, Clopin Trouillefou.
Gringoire vi dirà tutto… o era Clopin?
Il poeta Gringoire è un personaggio reale, essendo ispirato al drammaturgo francese Gringore (vissuto davvero fra il XV e il XVI secolo), ma è inesistente nel film, dove la maggior parte del suo ruolo (la parte da istrionico comic relief, tendente ad affabulare ora con vanagloria, ora con toni melodrammatici un pubblico spesso immaginario) è assunta dallo stesso Clopin. Nel musical tuttavia è Gringoire, e non Clopin, l’insostituibile narratore delle vicende, quasi un coro greco che partecipa emotivamente alla storia, portando con sé il punto di vista della gente umile e dandogli voce attraverso gli strumenti della sua erudizione.
Questa visione del “poeta” è molto poetica, per l’appunto. Peccato che nel romanzo Gringoire sembri invece incarnare, ridendo e scherzando, il fallimento di una società che trasforma l’artista in mendicante, nonché la vuota, ridicola impotenza di una cultura che non ha nessun contatto con la realtà della vita. Gringoire fa la fame scrivendo allegorie altisonanti, che il popolo non può capire e che i potenti non gli pagano abbastanza. E per quanto il poeta declami la bellezza di Esmeralda, nel suo matrimonio non c’è nulla di vero: né amore, né passione, né – da parte di lui – sacrificio.
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Il frivolo fratello di Frollo (e altre storie)
Come abbiamo capito, se c’è qualcosa che non scarseggia in Notre-Dame de Paris sono i personaggi (e il numero di pagine). Per non scrivere anche noi un romanzo, elenchiamo i principali che sono stati esclusi da Il Gobbo di Notre Dame. Giustamente? Ditelo voi:
- Jehan Frollo du Moulin, da non confondersi con altri ventimila Jehan nominati nel romanzo, chiamato anche “Joannes” (in latino) per aumentare la chiarezza. È il fratello minore/figlio adottivo di Frollo, studente a tempo perso e sua unica gioia (figuriamoci, quindi). Quasimodo viene “caritatevolmente” raccolto da Frollo proprio perché Jehan possa accumulare un credito in Paradiso, e qui si esaurisce la funzione di questo insopportabile moccioso.
- Suor Gudule/Paquette la Chantefleurie, sex worker sfortunata, per la troppa jella si è convertita e trasformata in vecchia penitente. Gira e rigira, è sempre Fantine de I Miserabili: Victor Hugo potrebbe anche inventarsi altri personaggi.
- Jacques Coppenole, ambasciatore fiammingo di bassa estrazione, tirato fuori da un guazzabuglio di politica medievale che abbiamo voglia di leggere quanto di spiegarvi. È abbastanza ignorante da diventare l’anima della Festa dei folli, guidando la gara di smorfie vinta da Quasimodo. Ma la Disney doveva dare altro lavoro a Clopin.
- Re Luigi XI, perché sì.
Ultime parole (“Mmgh! Mmgh!”)
Al centro de Il Gobbo di Notre Dame c’è il tema del pregiudizio e il tentativo di capovolgere una vecchia e povera narrazione della disabilità e della diversità in generale: Quasimodo non è un “mostro” malefico o da baraccone, ma l’eroe della storia, con sogni, paure e una crescita in cui possiamo immedesimarci, mentre Frollo, con la sua immagine integra e rispettabile, è incapace di essere una guida anche per se stesso. La polarità fra questi due personaggi è il perno del film, che mostra quindi i connotati di una fiaba dove nonostante il rimescolamento dei ruoli, con i benpensanti crudeli e i furfanti dal cuore d’oro, prevale una chiara dicotomia fra bene e male e una morale altrettanto precisa: il vero mostro è l’uomo “brutto dentro“, non quello “brutto a veder“.
In Notre-Dame de Paris Quasimodo è forse il personaggio più emblematico, ma non è il protagonista, non è l’eroe e non riceve la minima occasione nella vita (e ti pareva!). Dalla sua miseria, apparentemente innata, sembra impossibile emanciparsi, e pare che sia lo stesso (solo meno palesemente) per tutti gli altri personaggi. Non esistono eroi o villains nel romanzo, giacché tutti hanno qualcosa di mostruoso, di segreto, di contraddittorio: una “stortura” nel fisico, nell’identità o nella morale. Il mondo li costringe a parlare la lingua dell’apparenza anche quando la sostanza è tutt’altro, in un dialogo grottesco come l’interrogatorio di Quasimodo da parte dell’uditore sordo (!) Florian Barbedienne.
“…è quello che dicono tutti”
Eppure gli jellatissimi Quasimodo ed Esmeralda, per i quali la distruzione sembra tristemente l’unica liberazione, non sono mai davvero “caduti in polvere”: così come Notre-Dame, fra un incidente e un restauro, continua a vivere, così questi personaggi, pur cambiando mille volte le loro vesti, attraversano il tempo per far suonare in noi le loro campane.
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Verina Romagna
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