Ci penserà una bella tazza di tè aromatizzato alla noce moscata a rimettere a posto le mie vecchie ossa
Paperon de’ Paperoni
Correva l’anno 1962 quando su Uncle $crooge n. 39 usciva A spicy tale, una storia di Carl Barks da noi conosciuta come Zio Paperone e gli indiani Paperuti.
Questa storia è interessante non solo perché segna la seconda apparizione della segretaria dello Zione, della quale per la prima volta si apprende il nome – Miss Quackfaster, da noi Miss Paperett –, ma soprattutto perché il Maestro dell’Oregon ci rende edotti rispetto a un particolare costume del nostro magnate preferito, ovverosia l’abitudine di sorseggiare un singolare infuso a base di una varietà speciale di noce moscata, da cui il titolo originale (che ovviamente gioca con un aggettivo che ha che fare con la spezia ma che qualifica anche la storia come “pepata” nel suo svolgimento).

Un uso, questo, al quale Paperone non è disposto a rinunciare. Neppure quando gli indiani Paperuti (Cura de Coco in originale), ispirati, per stessa ammissione di Barks, alla tribù Jivaro dell’Amazzonia sudoccidentale, decidono di interrompere la fornitura del prezioso frutto, perché attirati da uno stile di vita più moderno e non più legato ai costumi “agricoli” e selvaggi tradizionali.
Questo è l’antefatto dell’avventura nell’alta Amazzonia, che, attraverso due filoni che finiscono per poi ricongiungersi, vede da una parte il nostro plutocrate preferito andare a recuperare la propria scorta di noci moscate e dall’altra Paperino e nipoti partiti per fare da “precettori” di vita moderna agli indigeni. Quello che ne conseguirà è prevedibile… Lasciamo comunque alla curiosità dei lettori scoprire come gli eventi si concludono.
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Quello che in questa sede è più interessante è proprio lo spunto di partenza: il tè alla noce moscata dello Zione. Caratteristica bizzarra che il maniacale filologo Don Rosa riproporrà anche in una delle sue storie: “Zio Paperone – Fuga dalla valle proibita”, del 1999.
La noce moscata
La Myristica fragrans è un albero tipico dell’arcipelago indonesiano delle isole Molucche, il cui frutto è appunto la noce moscata. Il nome non ha nulla a che fare con le “mosche”, bensì con la città di Mascate, capitale dell’Oman, luogo dal quale ne cominciò in modo massiccio la commercializzazione. Ora la pianta è diffusa e coltivata in parecchie aree subtropicali.
In cucina – soprattutto quelle italiana, indonesiana e indiana– questo particolare frutto, ridotto in polvere, grattugiato o macinato, ha l’uso di speziare e/o insaporire diversi tipi di ricette, dai piatti salati a quelli dolci, dalle zuppe alle carni, da purè e salse ai ripieni.
Insieme al gusto e al suo tipico aroma, la noce moscata, se assunta in dosi “culinarie”, ha anche alcune benefiche proprietà. Stimola infatti la digestione, è carminativa – cioè limita la formazione di gas nell’apparato digerente –, antisettica e attenua alcuni disturbi come vomito, nausea ed è utile contro la dissenteria. Inoltre è uno stimolante e ha un effetto tonico contro stanchezza ed astenia.
E fin qui tutto bene. Lo Zione potrebbe assumere il suo tè come un tonico corroborante.
La noce moscata però, se assunta in dosi più elevate, grazie alla miristicina in essa contenuta ha un effetto stupefacente. Questo può provocare dipendenza, allucinazioni, convulsioni e in casi estremi addirittura morte per overdose.
In poche parole, la natura di questo frutto non si rivelerebbe solo essere quella di una droga alimentare…
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Paperone e la noce moscata
L’espediente narrativo usato da Barks nel tratteggiare la smania di Paperone nel ricercare a tutti i costi di [ri]ottenere la sua scorta personale di quelle rare noci moscate selvatiche (rare wild nutmeg, in originale) tanto da smuoverlo dagli affari per fargli intraprendere un lungo e dispendioso viaggio in Amazzonia, sembra rivelare (in maniera ovviamente spiritosa) una sua dipendenza da questo infuso. Lo Zione sembra quasi andare in crisi di astinenza (cfr. l’ultima vignetta della prima tavola).
In un interessante articolo, si riporta che durante un’intervista datata 29 maggio 1973 Daniel van Eijmeren ne chiede conto allo stesso Barks. Questa è la risposta che il Maestro diede, accomunando il fatto a qualsiasi altra caratteristica dello Zione apparsa oneshot nelle sue storie (come, ad esempio, la perdita di memoria ne La Stella del Polo):
“Ogni cosa era un espediente, ogni cosa era il veicolo o la gag in corso della storia. Come la storia in cui era dipendente dal tè alla noce moscata. Ho iniziato a ottenere alcuni ritagli da questo fumetto underground chiamato Cream che implica che lui era un tossicodipendente perché era dipendente dalla noce moscata, perché la noce moscata presa in quantità sufficienti può avere un effetto sulla tua mente. Il motivo per cui ho scelto la noce moscata è che era qualcosa che cresceva ai tropici e gli dava una scusa per andare ai tropici. Altrimenti avrei potuto dire ‘code di merluzzo’ e mandarlo in Islanda”.
Sempre nello stesso articolo, l’occhio attento di un lettore si accorse di un’operazione di censura operata nell’editing dell’ultima vignetta della storia nella quale Paperone dice “[…] a fibber I am”. La parola fibber – gergale per bugiardo – è evidentemente una correzione al lettering originale della storia. Che forse Barks stesso avesse inserito un’allusione alla tossicodipendenza del nostro magnate? Il lettore si spinge oltre nella sua interpretazione: il fatto che Paperone si trovi ancora serrato da una catena che gli attanaglia il collo e voglia liberarsi da questo vincolo, abilmente nascosto sotto la palandrana nelle vignette precedenti, non è forse una citazione indiretta a una dipendenza, tenuta comunque segreta, dalla quale vuole sottrarsi, non riuscendoci?
Queste domande rimarranno sospese, ed è probabilmente inutile specularci intorno.
Ma si sa, come diceva Gregorio Magno “Scriptura crescit cum legente” e così è anche per le grandi Storie, che continuano a crescere con gli occhi dei lettori di là dalle intenzioni dei loro autori.
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don Matteo D’Arsié
Fonti: Disney Comics | Seriesam
Immagini: Panini/Disney e aventi diritto