Parlare di una storia in termini assoluti – e dunque definirla “la più bella” o “la più brutta” di sempre – è un’operazione complessa, in un certo senso arbitraria e, forse, non troppo utile. Nello scrivere di Paperino e il muro del riso (Martina-Carpi), però, sorge quasi spontaneo il desiderio di descriverla come la storia Disney più scorretta di tutti i tempi.
Perché? Perché è un perfetto concentrato di aspetti che oggi non avrebbero alcun posto sulle pagine di un settimanale il cui target di riferimento sono i ragazzi. Lo dichiariamo subito, a scanso di equivoci: non vogliamo lamentarci dei tempi moderni facendo passatismo spicciolo. D’altra parte, però, non ci interessa nemmeno mettere sotto accusa autori del passato, soprattutto per una storia uscita più di mezzo secolo fa.
Riteniamo interessante analizzare Paperino e il muro del riso anzitutto come documento storico, con il distacco critico che l’analisi di una fonte storica richiede. Questa storia, pubblicata nel 1954, racconta molto sulla sensibilità del tempo, così diversa dalla nostra. Ci offre inoltre spunti per riflettere sull’orizzonte culturale di un autore del secondo dopoguerra, e sul fascino che potevano esercitare Paesi lontani prima di Internet e della globalizzazione. Per tutti questi motivi, ci sembra utile e interessante dedicarle un’analisi.
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Il muro del riso e l’orientalismo
Nel 1978 veniva pubblicato il celeberrimo saggio Orientalismo, di Edward Said. Nel libro, in estrema sintesi, l’autore sostiene che gli occidentali abbiano sempre “raccontato l’Oriente” con un bias di fondo. Tutte le storie sui paesi dell’Est del mondo, secondo Said, sarebbero costruite a partire dall’implicita certezza che l’Occidente sia superiore per cultura e tradizioni storiche, e che per questo il colonialismo fosse quasi una “missione” per le potenze europee. Ogni racconto sull’Oriente, secondo questa tesi, non racconterebbe dunque grandi verità sull’Oriente. Piuttosto, racconterebbe qualcosa sugli atteggiamenti degli occidentali verso il resto del mondo nel corso dei secoli.
In Italia, per esempio, Emilio Salgari può essere ritenuto un vero e proprio campione della “letteratura orientalista”. Pur non essendo mai stato in Oriente, l’autore nei suoi romanzi raccontava di terre orientali tanto affascinanti quanto pericolose: pirati, avventurieri e tesori da scoprire facevano sempre coppia con pericolosi assassini, strangolatori e insidie di ogni genere.
A cosa serve questa lunga introduzione sulla letteratura orientalista? Riteniamo che, per scrivere Paperino e il muro del riso, Guido Martina abbia attinto a piene mani da questa “tradizione letteraria”, e in particolare proprio dalle opere di Emilio Salgari.
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Il risultato? Come prevedibile, la storia non racconta quasi nulla di vero sull’Oriente. Racconta però molto sulle letture dei ragazzi cresciuti nell’Italia del primo Novecento: Martina potrebbe tranquillamente essere stato un grande lettore di Salgari da ragazzo. Racconta poi ancor di più sulle idee, per forza di cose confuse e approssimative, che un autore attivo nel secondo dopoguerra poteva avere di Paesi così lontani dal suo.
Cosa succede in Paperino e il muro del riso?
Esaminiamo allora brevemente gli spunti narrativi offerti da Paperino e il muro del riso. I Paperi, per un errore di Paperino sul lavoro, sono costretti a recarsi in viaggio a Benares. Lo scopo del viaggio è il recupero di un rubino, finito per errore nell’impasto di un carico di mattoni acquistati da Mister Bambalore. Inoltre, Paperino e i nipoti saranno costretti a portare con loro una cassa, piena di… oggetti non meglio precisati che Bambalore stesso ha acquistato da Paperone.
Già a partire da questo breve riassunto della trama, salteranno all’occhio alcune peculiarità: innanzitutto il nome del cliente di Paperone, Bambalore. Si tratta di un’evidente distorsione di Bangalore, nome della capitale di uno Stato dell’India del Sud (Karnataka). Ma è leggendo la storia che emergeranno, di pagina in pagina, le tracce di una visione a dir poco stereotipata dell’India.
Alcuni di questi elementi possono far sorridere, oggi, per quanto appaiono ingenui: abbondano ovviamente i fachiri e gli incantatori di serpenti, e si viaggia spesso e volentieri a bordo di elefanti. Anche il contenuto della cassa trasportata dai Paperi è emblematico: diecimila lacci di seta, ovviamente destinati a un gruppo di letali strangolatori thug.
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Fin qui, insomma, siamo di fronte a una storia che racconta per giustapposizione di stereotipi. Ma non è tutto.
Le stupefacenti notti d’Oriente
Veniamo ora all’aspetto più divertente di Paperino e il muro del riso, almeno per un lettore contemporaneo: in questa storia… c’è moltissima droga. Prendete un secondo di tempo, rileggete questa frase e assimilate quanto abbiamo scritto.
Nei primi anni della storia di Topolino libretto i riferimenti agli alcolici erano tutto sommato abbastanza diffusi. Al contrario, non ci vengono in mente molti altri esempi così espliciti di rappresentazione delle droghe pesanti.
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In parte, ciò è una conseguenza dell’atteggiamento “orientalista” di fondo: il lontano Oriente, nell’immaginario europeo, è stato per secoli la terra dell’oppio. Vediamo cosa comporta ciò a livello di sviluppi narrativi. I Paperi, circa a metà del loro viaggio (e della storia), arrivano a Lucknow, capitale dello Stato indiano dell’Uttar Pradesh. Qui, affamati, si recano nel quartiere delle delizie in cerca di qualcosa da mettere sotto ai denti.
I nipotini, più saggi dello zio che vorrebbe sperperare denaro al ristorante, optano per un pasto economico e salutare: canna da zucchero. Anche nella scelta dell’alloggio i Paperi si dimostrano abbastanza assennati. Riescono infatti a dormire nella camera di un fachiro, che grazie ai suoi incantesimi li fa dormire sospesi per aria.
Nirvana
Paperino, malgrado la canna da zucchero, non riesce a dormire per la fame. Decide così di tornare ad avventurarsi nel quartiere delle delizie di cui sopra, e di sedersi a tavola in un ristorante con tutti i crismi. La lista delle specialità non lo aggrada troppo. Nelle lontane terre d’Oriente si mangiano prelibatezze come bachi, serpenti e, ovviamente, il piatto preferito di ogni fachiro che si rispetti: cocci di cristallo.
Alla fine, il papero si avventa sull’unico piatto che gli sembri appetibile anche per i suoi standard: il nirvana. Il cameriere glielo presenta come “una zuppa di verdure speciali, che toglie la fame, la sete e la stanchezza”. Quando Paperino gli intima di servirgliela, raccomandandosi di non metterci dentro niente di disgustoso, la risposta del maître è eloquentissima: “Sta’ tranquillo, sahib! Nel nirvana troverai soltanto cose piacevoli”.
Andiamo dunque a scoprire insieme gli ingredienti “a sorpresa” di questa incredibile zuppa di verdure. Si tratta di condimenti… particolari. Al posto dei più classici sale e olio, infatti, nell’India immaginata da Martina si usano oppio, cocaina e hascisc (sic). Sì, tutti e tre contemporaneamente.
Non è difficile immaginare gli sviluppi della vicenda: un Paperino… visibilmente alterato si aggira per le strade di Lucknow, leggero come una piuma. Coccola serpenti velenosissimi, accarezza tigri e, dulcis in fundo, si rende protagonista di un caso di cronaca. No, non è una cosa positiva.
I misfatti di Paperino
Scendiamo ulteriormente nel dettaglio. Sotto l’effetto del nirvana, Paperino si aggira per le strade della città e si imbatte in una donna velata. In un colpo solo, il papero si rende reo di un episodio di molestia e dimostra di non essere l’individuo adatto per favorire il dialogo interreligioso. Riteniamo che le vignette cui ci riferiamo, in questo caso, siano fin troppo eloquenti, e dunque lasceremo parlare loro. Ci limitiamo a sottolineare che lo sguardo di Paperino nella terza vignetta, così fuori personaggio, ha popolato per anni i nostri incubi.
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Se poi si vuole portare avanti il discorso del “rispetto interreligioso”, la storia è… problematica anche da un altro punto di vista. Il muro del riso del titolo, infatti, è chiaramente un riferimento al muro del pianto, ossia il muro occidentale del Tempio di Gerusalemme, sacro secondo la religione ebraica. Ma che ruolo ha questo muro del riso, nell’economia del racconto?
Gran finale: il muro del riso
Fino alle ultimissime tavole della storia, non vi è traccia di muri, né tantomeno di riso. Tutto cambia dopo l’incontro con mister Bambalore. Il signore dei thug, che oltretutto è per forza di cose uno spietato assassino, non ha più i mattoni di Paperone. Li ha infatti rivenduti a mister Fu-San, abitante di Lanchow (Lanzhou, nella provincia cinese del Ganzu).
Quest’ultima sequenza si presenta come un’appendice poco integrata col resto della storia. Eppure solo ora entra in scena il muro tanto atteso. Il signor Fu-San, infatti, ha usato i mattoni di Paperone (tra cui quello che dovrebbe contenere il rubino incriminato) per riparare un tratto della Grande Muraglia. I Paperi sono dunque costretti a distruggere, martelli alla mano, qualche chilometro dell’importante monumento.
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La Muraglia, chiaramente, affaccia su una distesa ininterrotta di risaie (e come potrebbe essere altrimenti, nella Cina immaginata da Martina?). I nostri protagonisti sono così costretti a mangiare riso ogni giorno, per settimane intere, arrivando addirittura a scoppiare in risate incontrollabili. Chiaramente non vi è una ragione logica: Martina deve aver trovato divertente la sinonimia tra riso (alimento) e riso (inteso come “risata”, “atto del ridere”).
Dunque, la Grande Muraglia diventa per i Paperi un nuovo “muro del pianto”, ribattezzato per l’occasione “muro del riso”. Mentre i nostri protagonisti distruggono un pezzetto del patrimonio culturale dell’umanità, dunque, Martina ci regala un’ultima burla, ai danni di un’altra delle tre religioni abramitiche. Un finale sorprendente, se non altro.
Un bilancio
Che dire, in ultima analisi, di Paperino e il muro del riso? Anzitutto si può fare un’osservazione forse banale: riteniamo che questa storia sia eccezionalmente cruda, pure a confronto col vasto repertorio di avventure sceneggiate da Guido Martina.
Salta all’occhio, in particolare, quanto la storia sia invecchiata. Alcune delle stranezze di Paperino e il muro del riso sono divertenti: non capita tutti i giorni di vedere Paperino ingollare una zuppa a base di droghe varie. Per altri versi, certo, siamo di fronte a una storia che oggi non potrebbe essere concepita né pubblicata. I tempi cambiano, e per fortuna mutano i valori.
Ecco, dunque, perché abbiamo scelto di definire questa storia come la “più scorretta” mai apparsa su Topolino. Il nostro intento non è quello di fare la morale, ma solo di rilevare quanto Paperino e il muro del riso sia lontana dal nostro modo di immaginare i Paperi e le loro avventure. L’aggettivo “scorretta” va sempre inteso così, ossia in riferimento a quella che è la sensibilità contemporanea.
Alessandro Giacomelli
Immagini © Disney – Panini Comics
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