La storia de Il re leone, film uscito nelle sale di tutto il mondo nel 1994, inizia nell’ancor più lontano 1988. Su un aereo intercontinentale che collega l’America all’Europa si trovano tre pezzi grossi della Walt Disney Feature Animation: Jeffrey Katzenberg, Peter Schneider e Roy Edward Disney, figlio di Roy Oliver, in viaggio con l’obiettivo di promuovere nel Vecchio Continente il film Oliver & Company. Proprio mentre stavano sorvolando una considerevole porzione del pianeta, i tre si resero conto che lo studio non aveva mai approfondito adeguatamente, nei lungometraggi animati, un continente in particolare: l’Africa.
Su quell’aereo, e su quella generica base di una storia ambientata nel Continente Nero, nacque quindi la prima, embrionale idea, per lo sviluppo di un film che sarebbe diventato uno dei fiori all’occhiello del Rinascimento Disney, nonché, probabilmente, dell’intera storia della compagnia: Il re leone, 32° Classico Disney.
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Il contesto storico della produzione de Il re leone
Già alcuni anni prima della distribuzione de Il re leone, avvenuta negli Stati Uniti il 15 giugno 1994, gli studi erano entrati nella cosiddetta fase del “Rinascimento Disney“, ossia un periodo di tempo ricco di successi di critica e botteghino e che avrebbe fatto da contraltare al “Medioevo” dei quindici anni precedenti, in cui le produzioni non raccolsero i risultati sperati, col serio rischio del ridimensionamento definitivo della compagnia.
A partire dal 1989, con La sirenetta, la società intraprese la giusta via, che l’avrebbe portata ad affermare il suo ruolo di leader nel campo dell’intrattenimento. Il re leone corrispose a uno dei picchi di questa fortunata fase, riuscendo nell’impresa di divenire il film con più incassi non solo del Rinascimento, ma anche della storia della compagnia e dell’animazione, fino all’arrivo di Toy Story 3 nel 2010.
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La “rivalità” tra Il re leone e Pocahontas
Col senno di poi, è quindi difficile pensare che Il re leone fosse un progetto “di serie B“. Eppure, la sua stessa produzione era insidiata da un rivale eccellente, ossia Pocahontas, il 33° Classico Disney, che sarebbe uscito nelle sale l’anno successivo, il 1995, e avrebbe riscontrato un’accoglienza meno calorosa rispetto al suo predecessore, almeno sotto l’aspetto della critica.
Una parte degli animatori e dei musicisti della Disney era in infatti già impegnata nel film sulla nativa americana, sul quale la stessa compagnia aveva puntato molto, e l’idea generica di un film con protagonisti animali della savana non aveva scaldato i cuori degli addetti ai lavori: solo alcuni decisero di dedicarsi a Il re leone, o quantomeno a entrambi i film.
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Effettivamente, le produzioni disneyane del Rinascimento che, fino a quel momento, avevano riscosso ottimi riscontri di pubblico e critica, erano incentrati su protagonisti umani o umanoidi: La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin. L’unica pellicola che invece trattava di animali, Bianca e Bernie nella terra dei canguri, deluse le aspettative dei vertici della compagnia.
Diversi furono i motivi che portarono una parte degli artisti a non accettare di lavorare a Il re leone, recentemente svelati da alcuni animatori. Anzitutto, l’idea di Jeffrey Katzenberg di proporre almeno un lungometraggio l’anno portò la compagnia a identificare due macro-gruppi di lavoro: uno che si sarebbe dovuto occupare dei progetti a lungo termine, quale era Pocahontas, e un altro che si sarebbe impegnato nei lavori (almeno nelle intenzioni) più immediati. Un certo numero di dipendenti, quindi, era effettivamente già impegnato con Pocahontas, motivo per il quale ci si rivolse al cosiddetto “team B“.
Il “team A”, impegnato su Pocahontas, era composto dai registi Mike Gabriel, che aveva diretto il sequel di Bianca e Bernie, e Eric Goldberg, animatore del Genio di Aladdin. Infine, si unì al progetto anche Glen Keane, supervisore all’animazione dei tre grandi successi rinascimentali precedentemente citati. Se da un lato c’erano questi tre pezzi grossi, nell’altra lavorazione la regia fu affidata a Roger Allers e Rob Minkoff (che sostituì in corso d’opera George Scribner), i quali erano al loro primo lavoro di regia. Ciò indusse molti a pensare che Pocahontas avrebbe avuto un successo molto più facile. In più, Pocahontas narrava di una storia americana, e quindi ci si aspettava che attirasse molto di più il pubblico statunitense.
Un altro grande, Alan Menken, si stava occupando delle musiche di Pocahontas e ciò non fece altro che consolidare le opinioni dei dipendenti, tanto più che la scelta di Elton John (non si sapeva ancora che si sarebbe unito anche Hans Zimmer) era vista inappropriata da alcuni, visto il genere musicale dell’artista britannico.
Il terzo aspetto riguardava gli animatori: pochi furono quelli già affermati che decisero volontariamente di dedicarsi immediatamente a Il re leone, tra i quali spiccarono Andreas Deja, animatore di Scar, e Ruben Aquino, supervisore all’animazione di Simba da adulto.
Dietro le quinte della Rupe dei Re
All’inizio, la compagnia affidò la regia al navigato George Scribner, che aveva già lavorato a Oliver & Company e Il Principe e il povero. In seguito, aderì al progetto in veste di co-regista Roger Allers, che aveva collaborato come autore di storyboard o sceneggiatore a La Sirenetta, La bella e la bestia e Aladdin. A lui si aggiunse, come ulteriore co-regista, anche Rob Minkoff, che aveva lavorato, in altre vesti a Taron e la pentola magica e Basil l’investigatopo, e che sostituì proprio George Scribner, il quale abbandonò la lavorazione poiché contrario all’idea di rendere il film alla stregua di un musical.
Si arrivò quindi alla formazione definitiva della squadra: alla regia Roger Allers e Rob Minkoff, alla sceneggiatura Linda Woolverton, che aveva lavorato a La bella e la bestia, accompagnata da Irene Mecchi (che in futuro si sarebbe dedicata a Il gobbo di Notre Dame ed Hercules) e Jonathan Roberts (anche lui nel futuro team de Il gobbo di Notre Dame). Il ruolo di produttore spettò a Don Hahn (La bella e la bestia e Chi ha incastrato Roger Rabbit?), che affiancò il produttore esecutivo Thomas Schumacher, il quale fu poi promosso a un alto ruolo dirigenziale all’interno della compagnia. Gary Trousdale e Kirk Wise, i futuri registi de Il gobbo di Notre Dame, collaborarono in maniera ufficiosa con Hahn e Allers alla scrittura del personaggio di Simba e della seconda parte della sceneggiatura.
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A supervisionare l’intero lavoro fu invece la regista e sceneggiatrice Brenda Chapman, voluta proprio da Allers in quanto aveva collaborato con lui ad alcune delle sequenze principali de La bella e la bestia.
Gli altri artisti, tra cui i tecnici e gli animatori, furono invece circa seicento.
La trama de Il re leone
La trama de Il re leone è molto lineare, ma allo stesso tempo coinvolgente. Il film parte mostrando la nascita di Simba (“leone” in swahili), figlio del re Mufasa e destinato a regnare su una parte della savana nota come “Terre del Branco“. Ciò suscita le invidie del tenebroso e ambizioso fratello di Mufasa, Scar, che, in alleanza con le iene (bandite dal regno), decide di fare fuori sia il re che il principe, per ottenere di diritto la carica di sovrano. Simba riesce a sopravvivere e a scappare il più lontano possibile, superando il trauma della morte del padre grazie ai suoi nuovi amici, il suricato Timon e il facocero Pumbaa, e volendo dimenticare a tutti i costi il suo passato. Solo l’incontro fortuito con la sua amica d’infanzia Nala e il saggio consigliere di Mufasa, Rafiki, lo convincerà a tornare nella sua terra per porre fine al malvagio dominio di Scar e delle iene, che ha ridotto alla carestia l’intero regno.
I titoli del Re
Come accade spesso per le produzioni cinematografiche, e a maggior ragione per quelle che si rivelano essere monumentali, il progetto de Il re leone subì diverse fasi di revisione.
Basti pensare che, all’inizio, la sceneggiatura prevedeva che Scar non fosse lo zio di Simba e che fosse a capo di un branco di babbuini che avrebbe dichiarato guerra ai leoni, mentre Rafiki avrebbe dovuto essere un ghepardo. In più, il leoncino avrebbe dovuto avere altri due amici di infanzia, oltre a Nala: Mheetu, sorella minore di quest’ultima, che Simba avrebbe salvato da una carica di gnu, e Bhati, un otocione (volpe originaria della savana). La sceneggiatrice Linda Woolverton propose poi di rimuovere i due personaggi per non distogliere troppo l’attenzione dalla trama principale.
È quasi scontato sottolineare che il titolo originale del concept non fu “Il re leone“. In particolare, lo scrittore Thomas Disch collaborò inizialmente alla stesura dello script, suggerendo il titolo “The King of Kalahari“, dal nome del deserto che si estende per buona parte del Botswana. Successivamente, la Woolverton propose altre due versioni: King of the Beasts e poi King of the Jungle. Andando avanti con la stesura della sceneggiatura, il gruppo si rese conto che la maggior parte della storia sarebbe stata ambientata nella savana, motivo per il quale il titolo “Il Re della Giungla” sarebbe risultato improprio e si decise di virare sulla denominazione che tutti noi conosciamo e che riassume perfettamente la natura del protagonista e il suo dovere all’interno dell’arco narrativo: Il re leone.
Le origini de Il re leone
Non ci vuole molta immaginazione per trovare alcune somiglianze tra Il re leone e altre narrazioni di fama mondiale. Quella che spicca è sicuramente l’affinità con l’Amleto, tragedia scritta da William Shakespeare tra il 1600 e il 1602. Gli stessi membri della Disney non hanno fatto mistero dei parallelismi presenti tra le due opere. In particolare, lo stesso regista Rob Minkoff associò la visione dello spirito di Mufasa da parte di Simba al momento in cui Amleto pronuncia la fatidica frase “Essere o non essere“, in quanto entrambe sono dirimenti per le strade che prendono i protagonisti delle rispettive opere.
Ma, soprattutto, la presenza di Mufasa può essere anche facilmente accostata a quella del fantasma di Re Amleto, padre dell’omonimo principe dell’opera shakespeariana. Un altro momento associabile a “Essere o non essere” è poi quello in cui Scar, tronfio sul trono che fu di Mufasa, tiene sulla zampa un teschio animale.
Oltre a Minkoff, anche un altro membro della compagnia hanno paragonato esplicitamente le due opere: la sceneggiatrice Irene Mecchi soprannominò ironicamente Il re leone “Bamblet“, ossia una fusione tra “Hamlet” e “Bambi“. Sulla somiglianza con Bambi fu d’accordo anche Roy E. Disney, che paragonò entrambi i film definendoli “allegorie animali”.
Oltre alle testimonianze di chi fu direttamente coinvolto nella lavorazione, l’analogia con Amleto è facilmente evincibile anche dagli spettatori. Volendosi soffermare solo su due elementi, il fratricidio che Claudio commette su Re Amleto, sebbene meno cruento, è sovrapponibile a quello di Scar su Mufasa. E allo stesso modo, i discorsi che gli spiriti dei padri fanno ai figli sono il motore che permette alla trama di accelerare.
Altrettanto immediata è l’analogia con Bambi: nel film d’animazione Disney del 1942, è presente la morte di una fondamentale figura genitoriale (in questo caso, la madre del protagonista), nonché il percorso che il cervo deve affrontare per adeguarsi al suo ruolo di principe della foresta.
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Tuttavia, per stessa ammissione della troupe, l’Amleto e Bambi non sono le uniche due storie a cui si è fatto riferimento. I soggettisti e gli sceneggiatori hanno infatti trovato ispirazione (assai meno evidente delle precedenti) anche nella Bibbia, e in particolare nelle vicende dei patriarchi Mosè e Giuseppe.
Per quanto riguarda Giuseppe, costui era uno dei figli di Giacobbe. Alcuni suoi fratelli, gelosi dell’adorazione del padre verso l’altro figlio, lo ingannarono e lo vendettero al mercato degli schiavi, condannandolo di fatto all’esilio. Dopo varie peripezie, Giuseppe riuscì a ritrovare e perdonare la sua famiglia.
La storia di Mosè, invece, vede il patriarca ebreo adottato dalla famiglia del Faraone. Allontanatosi per una serie di vicende dalla corte, decide di aiutare la sua gente vittima del dominio dispotico degli Egizi. Lo stesso co-regista Allers ha affermato che il discorso dello spirito di Mufasa a Simba è ispirato al momento in cui Dio parla a Mosè attraverso il roveto ardente.
Infine, Allers ha incluso tra le fonti di ispirazione anche Ben-Hur, riferendosi alla ribellione del protagonista verso il regime romano, che tormenta il suo popolo e la sua famiglia, dalla quale si era allontanato.
Il fulcro della storia, quindi, come affermato esplicitamente dallo stesso Allers e dal produttore Don Hahn, verte proprio sui rapporti familiari e, in particolare, sul rapporto d’amore tra padri e figli, nonché sul dovere di questi ultimi di trasmettere gli insegnamenti ricevuti alle generazioni successive e sul timore di non essere all’altezza dei propri genitori. L’emblema di questa contraddizione, secondo Allers, viene adeguatamente mostrato nella scena in cui Mufasa e Simba ammirano la Costellazione del Leone, rappresentativa dei “grandi re del passato“: poco prima, la zampa del cucciolo scivola nella grossa orma del padre, rendendolo immediatamente consapevole di quanta strada debba ancora percorrere per eguagliarlo.
La questione Kimba
È nota a una parte dell’opinione pubblica la controversia nata dalle somiglianze tra Il re leone e Kimba – Il leone bianco, manga scritto da Osamu Tezuka tra il 1950 e il 1954, e da cui fu tratta una serie anime andata in onda nel 1965. In effetti, entrambe le opere narrano di un cucciolo di leone destinato a diventare re (nel caso del film, della savana; nel caso del manga, della foresta). I protagonisti hanno un nome simile (Simba per la Disney, Kimba per l’opera giapponese) ed entrambi perdono la rispettiva figura paterna.
Inoltre, molti intravedono delle similitudini nell’aspetto dei personaggi e in alcune scenografie. Il leone del manga Claw ricorda esteticamente Scar, e anch’egli ha due iene come sottoposti. Anche il padre di Kimba, Panja, fa affidamento su due figure simili a quelle che circondano Mufasa: il pappagallo Pauly e il mandrillo Mandy. Vi sono ovviamente delle divergenze, che rendono le trame molto meno simili di quanto in apparenza potrebbero sembrare. Basti pensare che in Kimba, a differenza del film Disney, fanno la loro comparsa anche gli esseri umani.
Per poter comprendere appieno la natura di questa controversia, alimentata anche su internet dai confronti tra varie sequenze animate e presunti schizzi disneyani raffiguranti un leone bianco, è necessario tenere conto delle considerazioni di chi ha effettivamente lavorato alle due opere. Anzitutto, pare che solo alcuni conoscessero effettivamente l’anime.
Tra di loro Matthew Broderick, doppiatore di Simba, che alla lettura del nome del protagonista pensava di dover lavorare a un rifacimento di Kimba. Anche un portavoce della Disney, Howard Green, ha confermato che alcuni membri della troupe erano a conoscenza della serie animata, e una fonte anonima riportata da The Hollywood Reporter avrebbe confermato di aver accennato alla serie durante la lavorazione.
Rob Minkoff, il co-regista che subentrò a Scribner, affermò invece di non aver mai sentito parlare né del manga, né del suo autore e che, dal momento in cui prese parte al progetto, nessuno aveva mai fatto minimamente riferimento all’opera nipponica. L’altro co-regista, Roger Allers, dichiarò di aver consultato sia Scribner che la sceneggiatrice Linda Woolverton e che nessuno di loro gli aveva mai parlato di Kimba. Infine, aggiunse anche che se si fosse davvero ispirato al lavoro di Tezuka, non avrebbe avuto alcun problema a dichiararlo apertamente, come fatto con Amleto, Bambi e Ben-Hur.
Altrettanto indicativa fu la reazione della controparte orientale. Takayuki Matsutani, presidente della Tezuka Productions (lo studio di animazione fondato da Osamu Tezuka), affermò al San Francisco Chronicle che la posizione ufficiale dell’azienda è che “Il re leone sia diverso da Kimba – Il leone bianco e che sia da considerare una produzione Disney completamente originale“. Aggiunse anche che Tezuka, il quale incontrò Walt Disney a Tokyo nel 1964, sarebbe stato orgoglioso se la società americana avesse preso ispirazione da Kimba per una propria produzione.
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Il viaggio in Kenya
Gli artisti che lavorarono al film presero molto sul serio l’idea di rendere realistica l’ambientazione. Decisero perciò di intraprendere un viaggio in Kenya per riprodurre fedelmente i colori e i suoni della flora e della fauna locali. La zona al centro della loro attenzione fu la Great Rift Valley, e in particolar modo il Parco Nazionale Hell’s Gate. Durante questa esperienza, i disegnatori ritrassero i più svariati panorami che quella perla dell’Africa orientale aveva da offrire.
Fondamentale fu il lavoro del direttore artistico Andy Gaskill: cercò personalmente di condensare tutti gli elementi paesaggistici (che nella realtà distavano chilometri l’uno dall’altro) per rendere ogni scena completamente immersiva. L’unico punto che non è stato preso dal vero parco nazionale è forse il più iconico de Il re leone: la Rupe dei Re, il “palazzo reale” della storia. L’insieme di grosse rocce che si stagliano in due direzioni è frutto unicamente della fantasia degli autori.
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I disegni e le animazioni de Il re leone
Gli animatori seguono essenzialmente tutti gli stessi processi che fa qualsiasi attore, con la differenza che devono mostrare le espressioni su carta. E quindi i registi scelgono gli animatori proprio come se dovessero scegliere degli attori.
– Don Hahn
Per il film furono preparati più di un milione di disegni, tra i quali circa 120.000 fotogrammi colorati individualmente e circa 1.200 sfondi dipinti a mano.
Per quanto riguarda il character design, ebbero un ruolo importante diversi membri che avevano preso parte ad altre fasi storiche della divisione cinematografica della Casa di Burbank, come l’Epoca d’oro ma anche il Medioevo, a dimostrazione del fatto che, quella che viene talvolta considerata un'”epoca buia” per le produzioni disneyane, pose comunque le basi per la successiva ripresa. Tra coloro degni di nota spiccano Joe Grant (storico artista in forza alla Disney che aveva già lavorato a Fantasia, Dumbo e, di lì a poco, a Pocahontas), Mike Hodgson (Taron e la pentola magica), Mel Shaw (Bambi, Basil l’investigatopo, Taron e la pentola magica), Vance Gerry (Basil l’investigatopo).
Un ruolo fondamentale fu poi svolto ovviamente dagli animatori. Fra di essi, come accennato, è importante ricordare Andreas Deja, animatore di Scar, che fu ispirato dal doppiatore Jeremy Irons. Deja era già un importante animatore all’epoca, essendosi personalmente occupato dell’animazione di Gaston in La bella e la bestia e di Jafar in Aladdin. La triade Gaston-Jafar-Scar gli fece guadagnare il soprannome di “maestro dei cattivi“.
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Altro nome importante fu il già citato Ruben A. Aquino (che aveva già lavorato a La Sirenetta), supervisore all’animazione del protagonista Simba (a cui collaborò Dale Baer), nonché primo animatore a essere scritturato. Fu dato a lui l’incarico di coordinare il resto degli animatori e, per ottenere le maggiori informazioni possibili sulle movenze dei personaggi, si dedicò con anima e corpo a qualsiasi documentario o libro di testo che gli permettesse di conoscere al meglio le caratteristiche dei personaggi.
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Tuttavia, una fonte preziosa fu costituita dai precedenti Classici Disney: per sua stessa ammissione, l’animatore fu ispirato da Bambi, Il libro della giungla e, soprattutto, Lilli e il vagabondo. La scena più complessa da girare fu quella della gola, in cui sono presenti decine di gnu che galoppano: per portarla a termine, infatti, gli animatori impiegarono ben due anni.
Per quanto riguarda gli altri personaggi, Timon e Pumbaa furono affidati a Tony Bancroft e Mike Surrey. Il motivo era essenzialmente la loro esperienza con un altro famoso duo comico: Tockins e Lumière, de La bella e la bestia.
Un animale particolarmente difficile da muovere, poiché non si limita a camminare ma anche a volteggiare nell’aria, fu il bucero beccogiallo Zazu, che fu affidato a Ellen Woodsbury, una delle prime donne a ricoprire il ruolo di supervisore dell’animazione all’interno della compagnia. Infine, altro nome da ricordare fu James Baxter, animatore di Rafiki (altro personaggio dalle movenze peculiari), che si era distinto in passato per le animazioni di Belle e avrebbe sfruttato l’ esperienza che avrebbe maturato sugli arrampicamenti anche per il personaggio di Quasimodo ne Il gobbo di Notre Dame.
I veri leoni
Dopo che parte della troupe era andata in Kenya per immergersi nell’ambientazione della storia, gli animali… ricambiarono il favore. In linea con la meticolosità messa in pratica fin dall’inizio del progetto, gli animatori volevano approfondire minuziosamente il comportamento dei protagonisti della storia. Per poter riuscire nell’intento, occorreva qualcuno che permettesse di osservarli da vicino senza che gli addetti rischiassero la propria incolumità. E fu in quel momento che entrò in scena Jim Fowler.
Jim Fowler era un acclamato zoologo e divulgatore scientifico statunitense, noto soprattutto per il programma documentaristico Wild Kingdom, che lo vide partecipe per ben 25 anni, dal 1963 al 1988. Fu lui il lasciapassare per i leoni direttamente negli studi cinematografici Disney, e la sua consulenza fu fondamentale per comprendere e riproporre fedelmente sullo schermo gli atteggiamenti dei felini.
Fowler mostrò come i leoni appoggiano la propria testa sotto il mento dei compagni in segno di affetto, nonché come, quando sono a terra, tendano a difendersi sdraiandosi sulla propria schiena e respingendo l’aggressore con i propri artigli. Infine, quando i leoni lottano, sono soliti alzarsi sulle proprie zampe posteriori. Vi ricorda qualcosa?
Il cast de Il re leone
L’aspetto migliore quando registri per un film d’animazione è vedere [i disegnatori] cambiare l’aspetto di un personaggio in base alla personalità che gli conferisci con la tua voce.
– Jeremy Irons
Gli interpreti che diedero la voce agli abitanti delle Terre del Branco furono pescati a piene mani dal mondo del doppiaggio americano, ma anche dagli ambienti teatrali e cinematografici. Anche per i meno avvezzi al mondo della Settima Arte, è assai improbabile non riconoscere la grandezza di Jeremy Irons, che rese memorabile il machiavellico Scar, nonché l’iconicità di due mostri sacri della commedia anglo-americana: Rowan Atkinson, che avrebbe prestato i suoi toni al bucero maggiordomo Zazu, e Whoopi Goldberg, che si nasconde dietro all’ambizione del capo delle iene, Shenzi. In particolare, Jeremy Irons fu preferito ad altri due attori assai noti per le loro interpretazioni inquietanti: Malcom McDowell, con il suo Alex DeLarge in Arancia Meccanica, e Tim Curry, con la sua rappresentazione clownesca del mostro It, nato dalla penna di Stephen King.
Anche gli altri interpreti non furono da meno, e consolidarono la loro fama nel mondo del doppiaggio: Mufasa, saggio e possente padre di Simba, ebbe la voce del grande attore teatrale James Earl Jones, storico doppiatore di Darth Vader in Star Wars.
L’amorevole e protettiva madre del protagonista, Sarabi, fu invece affidata all’attrice giamaicano-statunitense Madge Sinclair. Curiosamente, Earl Jones e la Sinclair avevano già ricoperto il ruolo di re e regina africani nella storica commedia con Eddie Murphy Il principe cerca moglie, diretta da John Landis nel 1988.
Il protagonista Simba ebbe invece ben quattro interpreti: due per la sua versione giovane, due per la versione adulta. All’allora quindicenne Jonathan Taylor Thomas furono affidati i dialoghi del principe imberbe, mentre il bambino-attore Jason Weaver, che salì alla ribalta grazie a una serie televisiva sull’infanzia di Michael Jackson, si occupò delle parti musicate. A interpretare Simba da adulto fu il già citato attore Matthew Broderick, mentre le sue canzoni vennero affidate a Joseph Williams, figlio del celeberrimo compositore John, nonché membro del noto gruppo musicale Toto.
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Anche Nala, la migliore amica e futura compagna di Simba, necessitò di quattro doppiatrici. Per il personaggio da giovane, l’attrice Niketa Calame si occupò dei dialoghi, mentre la collega Laura Williams si dedicò alle canzoni. Per il personaggio adulto, la voce fu dell’attrice Moira Kelly e le canzoni furono interpretate da Sally Drowsky (che avrebbe poi offerto la sua voce – cantando – a Miriam ne Il principe d’Egitto e, soprattutto, alla Principessa Fiona in Shrek).
Il saggio babbuino (disegnato però come un mandrillo) Rafiki fu invece interpretato dall’allora già pluripremiato (agli Emmy Award) Robert Guillaume che, come nel caso di Jeremy Irons con Scar, portò a un rimodellamento del personaggio: inizialmente la scimmia avrebbe dovuto avere un atteggiamento molto più serioso e formale; fu poi la stravagante risata ideata da Guillaume a suggellare il cambio di personalità del consigliere del re.
L’attore teatrale Nathan Lane, vincitore di innumerevoli e prestigiosissimi premi, diede la sua voce al suricato Timon, mentre il suo fedele compagno facocero Pumbaa fu doppiato dall’attore Ernie Sabella. Banzai e Ed, i due luogotenenti di Shenzi, furono doppiati rispettivamente dal comico Cheech Marin (già Tito in Oliver & Company) e da Jim Cummings, avvezzo al mondo dell’animazione (tra le sue performance sono da annoverare Pietro Gambadilegno, Darkwing Duck, Razoul in Aladdin, Nesso in Hercules e, al di fuori della Disney, il Diavolo della Tasmania e Yosemite Sam).
Meritano una menzione anche le voci italiane, che resero comunque giustizia alle prestazioni dei colleghi d’Oltreoceano: agli ottimi e ben noti doppiatori Riccardo Rossi (Simba), Laura Boccanera (Nala), Rita Savagnone (Shenzi) e agli altri rappresentanti della scuola di doppiaggio italiana, si aggiunsero il grande Vittorio Gassman, che conferì un tono austero ma comprensivo al re Mufasa, il compianto Tonino Accolla (voce, tra gli altri, di Homer Simpson e Eddie Murphy) per Timon e il comico de Il Trio Tullio Solenghi, che contribuì a rendere assai tenebrosa l’aura di Scar in maniera non dissimile da quanto egregiamente fatto da Jeremy Irons.
A causa di un non meglio precisato errore tecnico nella selezione delle tracce audio, tuttavia, nell’edizione home video del 2003 le voci di Tonino Accolla e di Ernesto Brancucci (doppiatore italiano di Pumbaa) furono sostituite da quelle di Luigi Ferraro e Renato Montanari, i quali avevano registrato a suo tempo una loro versione del doppiaggio che fungesse da riferimento per quella definitiva di Accolla e Brancucci.
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La morte di Mufasa
Com’è facilmente intuibile, la scena madre de Il re leone non fu messa in piedi con troppa leggerezza. Non solo per le difficoltà da un punto di vista tecnico (come accennato, la sequenza degli gnu nella gola occupò gli artisti per ben due anni), ma anche e soprattutto per il suo valore emotivo.
Come accennato, il paragone con Bambi, uscito comunque 52 anni prima, continuava ad aleggiare tra la troupe, in particolare per il dettaglio della morte di un genitore. Per questo motivo, diversi addetti ai lavori, tra cui lo stesso Minkoff, proposero una scelta artistica praticamente opposta: se la morte della madre del cervo non era stata mostrata, quella di Mufasa sarebbe dovuta essere ben evidente.
Stavamo cercando di testare i confini di ciò che era possibile in un film d’animazione, un film per famiglie, un film Disney.
– Rob Minkoff
Questa proposta non fu accolta a cuor leggero da tutti: il coordinatore artistico Randy Fullmer affermò che alcuni animatori erano contrari, in quanto i loro figli erano già stati traumatizzati dal pensiero della madre di Bambi, e quindi lo sarebbero stati a maggior ragione se avessero visto la morte di Mufasa con i propri occhi.
Tra coloro di opinione opposta, e che quindi permisero la realizzazione della scena così come la conosciamo, ci fu Andy Gaskill, che ritenne che la morte potesse essere affrontata in modo schietto, in quanto “realtà biologica e sociale”. A rendere ancor più drammatica la sequenza fu il supervisore agli effetti visivi Scott Santoro, che decise di introdurre il rotolamento dei sassi mentre Mufasa scala la parete della gola, per conferire un’ulteriore sensazione di angoscia.
Abbiamo generato la polvere al computer. Questo ha reso tutto più realistico. Quando rivedi Mufasa per la prima volta, vedi questo grumo scuro per terra. Quindi il suo corpo viene gradualmente rivelato. Ti rendi conto di cosa sta succedendo insieme a Simba. Quando Simba inizia a piangere, le sue lacrime lasciano una scia attraverso la polvere sul suo viso. Ci siamo concentrati su quel dettaglio della lacrima affinché esaltasse il tenore della scena.
– Andy Gaskill

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Le canzoni e la colonna sonora de Il re leone
Per le musiche e le canzoni gli studi Disney si affidarono a tre notevoli personalità. Alcune già lo erano (è il caso di Elton John), altri si erano già avviati a diventare tali (è il caso di Hans Zimmer, oggi compositore di fama mondiale).
Per le canzoni, fu scelto come paroliere Tim Rice, che aveva già lavorato a quelle di Aladdin. Fu egli stesso a scegliere un musicista con cui lavorare, causa l’indisponibilità del grande Alan Menken, musichiere, tra le altre, della canzone In fondo al mar de La Sirenetta, di Beauty and the Beast (la canzone della sala da ballo de La bella e la bestia, nota in Italia come È una storia sai), de Il mondo è mio di Aladdin e de I colori del vento di Pocahontas, nonché delle rispettive colonne sonore di queste produzioni del Rinascimento Disney e di altre innumerevoli opere, che lo rendono la quinta personalità più premiata nella storia dei Premi Oscar, con ben otto statuette.
Per sostituire un artista di tale portata Tim Rice, anch’egli attualmente con tre Oscar all’attivo, contattò dapprima gli ABBA, che però erano già impegnati in un altro musical. La scelta virò allora su Elton John, che, come affermato in un’intervista al periodico americano The Billboard, fu assai intrigato dalla proposta, in quanto avrebbe voluto scrivere delle melodie godibili sia da un pubblico giovane che dagli adulti, a suo dire in maniera simile a quanto riuscì a fare George Bruns ne Il libro della giungla.
Le canzoni frutto del lavoro di Rice e John furono Il cerchio della vita, Voglio diventar presto un re, Sarò re, Hakuna Matata e L’amore è nell’aria stasera, cui si aggiunse nelle edizioni home video Il rapporto del mattino, inizialmente scartata, e che fa da sottofondo al resoconto di Zazu a Mufasa sulle attività delle Terre del Branco.
Circle of life
Il cerchio della vita, cantato nella versione italiana da Ivana Spagna, colpì assai positivamente i produttori del film, complice la scena a cui fa da sottofondo: quella iniziale, in cui avviene la presentazione di Simba ai suoi sudditi. Il gioco di note e colori fu ritenuto talmente soddisfacente, che la compagnia decise di utilizzare esclusivamente quella scena in uno dei trailer della pellicola. Fu la prima volta che ciò avvenne per un lungometraggio Disney.
Oltre alle parole in lingua inglese, Circle of life contiene alcuni versi in swahili.
Nants ingonyama bagithi, baba
Sithi uhm ingonyama
Nants ingonyama bagithi, baba
Sithi uhhmm ingonyama
Ingonyama siyo nqoba
Ingonyama ingonyama nengw enamabala
Di seguito, una delle traduzioni più diffuse:
Ecco che arriva il leone, padre
È proprio un leone
Ecco che arriva il leone, padre
È proprio un leone
Sarà dei nostri, padre
Il leone, il leone, e [gli animali] maculati arrivano qui
Un’altra canzone in swahili, opera della band sudafricana The Soil, è quella che Rafiki canticchia prima di incontrare Simba e mostrargli lo spirito del padre.
Asante sana,
cocco, banana!
Wewe nugu,
mimi hapana!Grazie mille,
cocco, banana!
Sei tu il babbuino,
io no!
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I just can’t wait to be king
Voglio diventar presto un re è la canzone cantata da Simba e Nala per coinvolgere gli animali delle Terre del Branco, far perdere le proprie tracce a Zazu e arrivare al territorio delle iene, il Cimitero degli Elefanti, su suggerimento (in cattiva fede) di suo zio Scar. Questa canzone esprime l’iniziale irriverenza e spavalderia di Simba, che non si cura dei suggerimenti del maggiordomo e della lezione del padre, per cui “essere re vuol dire molto di più di fare quello che vuoi“. L’incoscienza di Simba va poi a scontrarsi col reale pericolo delle iene, al quale scampa soltanto grazie all’intervento di Mufasa, il cui coraggio ha tentato invano di eguagliare.
Be prepared
Sarò re, nota in originale come Be prepared (“siate pronti”), è la canzone cantata da Scar per preparare le iene sue alleate all’uccisione di Mufasa e Simba e alla presa del potere nelle Terre del Branco. Alcuni dettagli, quali la disposizione delle luci e dei personaggi, hanno spinto alcuni critici a identificare in questa sequenza un vago riferimento al documentario propagandistico di Hitler Il trionfo della volontà, diretto nel 1935 da Leni Riefenstahl.
In particolare, alcuni pongono l’attenzione sulla parata delle iene davanti a uno Scar posizionato su un “piedistallo” roccioso, oltre che sull’illuminazione della scena, che ricorderebbe la “cattedrale di luci” presente durante i discorsi del dittatore.
Hakuna Matata, la canzone che non doveva esserci
Hakuna Matata, una delle canzoni più rappresentative de Il re leone, ha un ruolo non di poco conto nella pellicola, poiché contribuisce ad alleggerire l’atmosfera in seguito alla morte di Mufasa in quello che, a tutti gli effetti, rimane un film destinato principalmente ai bambini. Viene cantata da Timon e Pumbaa e, infine, anche da Simba, per convincere quest’ultimo a lasciarsi alle spalle la terribile esperienza della morte del padre e le proprie responsabilità sul regno e godersi la vita “hakuna matata“, ossia “senza pensieri“.
Tuttavia, la canzone non era presente nello script originale: la transizione tra la vita della savana e quella della giungla sarebbe stata affidata a He’s got it all worked out (assente dall’opera definitiva), incentrata sulla dieta a base di insetti. Un’idea non eccezionale, per stessa ammissione di Rob Minkoff.
Il caso volle che alcuni membri della troupe che si era recata in Kenya per studiare l’habitat da rendere nel film, avessero sentito dalla popolazione locale la locuzione swahili “hakuna matata“. Tim Rice notò una certa musicalità in quelle parole, a suo dire simile a quella di “bibbidi-bobbidi-bu“, e decise sviluppare la canzone partendo proprio da lì. Effettivamente, sia Hakuna Matata che la canzone cantata dalla Fata Smemorina in Cenerentola contribuiscono a risollevare l’animo dei protagonisti proprio nel momento in cui tutto sembra andare per il peggio.
Can you feel the love tonight
Furono candidate all’Oscar per la miglior canzone sia Circle of life, che Hakuna Matata e Can you feel the love tonight (L’amore è nell’aria stasera). Fu proprio quest’ultima, che narra dell’innamoramento tra Nala e Simba e del timore di Timon e Pumbaa di perdere il loro amico, ad aggiudicarsi il premio.
L’intruso: The lion sleeps tonight
In una delle scene ambientate nella giungla, poco prima che Nala dia la caccia a Timon e Pumbaa per poi ritrovare Simba, la suricata canta la canzone Il leone si è addormentato, facendo riferimento al fatto che non abbia più paura di Simba poiché è diventato un suo caro amico.
La canzone fu oggetto di controversie, in quanto, in un primo momento, sembrava che la Disney (in realtà incolpevole) non avesse corrisposto il pagamento dei diritti agli eredi del relativo autore, il cantante sudafricano Solomon Linda, che la incise nel 1939 intitolandola Mbube (“leone” in lingua zulu).
In realtà, Linda aveva ceduto la gestione dei diritti alla casa discografica Abilene Music, che ne concesse l’utilizzo alla Disney. Tuttavia, secondo gli avvocati della famiglia, dopo venticinque anni dalla morte dell’autore (avvenuta nel 1962), i diritti sarebbe dovuti tornare agli eredi, che avrebbero dovuto godere dei relativi guadagni. La questione fu portata in tribunale e, nel 2006, fu stabilito che la Abilene Music avrebbe dovuto risarcire gli eredi di Linda con un assegno da oltre un milione di sterline.
Hans Zimmer
Hans Zimmer non ha bisogno di presentazioni. Molte delle sue colonne sonore sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo: sebbene negli ultimi anni abbia sfornato moltissimi capolavori, già a metà degli anni ’90 aveva collaborato a diverse produzioni accolte positivamente da pubblico e critica. Sua è la colonna sonora di Rain Man del 1988, ma anche quelle di A spasso con Daisy (1989) e Thelma & Louise (1991).
Tuttavia, le due opere che più di tutte spinsero i produttori ad assoldare Zimmer furono le colonne sonore di due film ambientati in Africa, Un mondo a parte del 1988 e La forza del singolo del 1992, entrambi incentrati sull’apartheid in vigore in Sudafrica fino al 1991.
Il maestro tedesco impiegò ben due anni per terminare la colonna sonora. Per rendere più fedele le musiche all’ambientazione africana, predilesse alcuni strumenti musicali tipici di una parte del continente. A proposito dei suoni, fondamentale fu il lavoro del direttore artistico Andy Gaskill, che introdusse alcuni rumori quali il fruscio del vento, lo scroscio della pioggia e il canto di uccelli tipici per rendere ancor più fedele l’ambientazione.
Il duro lavoro di Hans Zimmer portò l’autore a un’importante gratificazione personale: nel 1995 vinse il suo primo Premio Oscar per la miglior colonna sonora, consentendo a Il re leone di vincere due statuette complessive, se si conta anche quella per la miglior canzone ottenuta da Elton John. Potrebbe risultare strano che una pellicola di questa portata non si sia aggiudicata l’Oscar per il miglior film d’animazione. La risposta è semplice: quel premio fu istituito solo nel 2002 (per altri grandi lavori della stessa categoria venivano creati ogni tanto dei premi ad hoc, come nel caso di Biancaneve e i sette nani), e a vincerlo non fu la Disney, ma la Dreamworks, con Shrek.
L’accoglienza
I ricavi
Il re leone costituì un grande successo di pubblico e critica. Per quel che riguarda il box office, a partire dal 15 giugno 1994, giorno di uscita nelle sale statunitensi (in Italia giunse il 23 novembre), la pellicola arrivò a incassare 858 milioni di dollari (a fronte di un costo di produzione di 45 milioni) che lo resero, fino all’arrivo di Toy Story 3 nel 2010, il film d’animazione più redditizio della storia del cinema.
In particolare, nel primo weekend di programmazione negli Stati Uniti, incassò un milione e mezzo di dollari, rimanendo quasi ininterrottamente nella top ten dei ricavi per quattro mesi e arrivando a 313 milioni di dollari in Nord America. Nel resto del mondo, le entrate ammontarono a 546 milioni di dollari.
Il grande successo della pellicola spinse la Disney a riproporla più volte, e in particolare, a partire dal 16 settembre 2016, nella versione 3D: ciò consentì a Il re leone di raggiungere proventi complessivi per oltre un miliardo di dollari, che gli permettono di essere attualmente il 39° film con i maggiori incassi della storia del cinema (non tenendo conto dell’inflazione).
Anche il merchandising fece sorridere i vertici della Disney: al 2004, i ricavi provenienti da questo settore arrivarono a un altro miliardo di dollari, di cui oltre 200 milioni ottenuti nel solo Natale del 1994.
Infine, un altro importante record fu infranto grazie alla versione home video in VHS, la quale, secondo Vanity Fair, con 55 milioni di copie fu la più venduta della storia.
La critica
Il film fu molto apprezzato dal pubblico e dalla critica: su Rotten Tomatoes, la percentuale di apprezzamento ammonta al 93% su più di 250.000 recensioni; su Metacritic, il punteggio è di 8.8, basato su più di 900 pareri. Gli utenti di IMDb gli hanno invece conferito un punteggio di 8.5 su 10, basato su oltre un milione di votazioni.
Anche gran parte della critica specializzata elogiò il film, definendolo “spettacolare”, “impressionante” e “il più maturo dei film Disney”. Tra le poche voci fuori dal coro, non si può non menzionare quella di Gene Siskel, stimato critico cinematografico americano, il quale affermò che la trama non fosse adeguatamente approfondita, nonostante il film nel complesso rimanesse valido.
I riconoscimenti
Il film ricevette 75 nomination dai più disparati festival del mondo, ottenendo ben 40 premi.
Come accennato, Elton John e Tim Rice ricevettero tre nomination agli Oscar per la miglior canzone, vincendo la statuetta per Can you feel the love tonight, che primeggiò su Circle of life e Hakuna Matata. Ad Hans Zimmer andò invece il premio per la miglior colonna sonora.
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Di simile avviso furono i giurati del Golden Globe, che nominarono Circle of life e Can you feel the love tonight (facendo vincere quest’ultima), premiarono Hans Zimmer e fecero vincere alla pellicola anche il premio come “miglior film commedia o musicale“.
Le musiche ebbero successo anche ai Grammy Awards. Elton John vinse il premio per la migliore interpretazione vocale maschile, mentre Hans Zimmer ottenne due riconoscimenti: uno per il miglior album musicale per bambini, l’altro per il miglior riarrangiamento (per la canzone Circle of life).
Infine, nel 2016, il National Film Preservation Board indicò di conservare il film nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, onore che spetta alle pellicole ritenute dal comitato storicamente, culturalmente o esteticamente rilevanti.
L’universo de Il re leone
Il successo della pellicola al cinema spianò la strada ad altri due film in versione home video, consolidando la politica spesso adoperata dalla Disney per i suoi Classici.
Il Re Leone II – Il regno di Simba
La prima opera fu un vero e proprio sequel: Il Re Leone II – Il regno di Simba, distribuito nel 1998. Come si può evincere dal titolo, la narrazione è ambientata in seguito alla salita al trono di Simba ed è collegata in maniera assai diretta col film precedente. La scena finale de Il Re Leone, in cui viene mostrato ai sudditi il cucciolo di Simba e Nala (e che raffigura la prosecuzione del cerchio della vita), è esattamente quella iniziale de Il Re Leone II, in cui si scopre che quel cucciolo è la principessa Kiara.
Se il primo film era ispirato all’Amleto, il secondo strizza l’occhio a un altro lavoro shakespeariano: Romeo e Giulietta. La trama verte sull’amore tra Kiara e Kovu, figlio di Zira, una leonessa rimasta fedele a Scar e che lo ha addestrato per uccidere Simba e guidare una battaglia che porti le leonesse rinnegate a impossessarsi di nuovo delle Terre del Branco.
Sebbene quest’opera presenti alcune deviazioni rispetto alla trama del film principale, in cui la fazione avversaria era rappresentata dalle iene e non da altri leoni, la critica le ha comunque conferito delle recensioni tiepidamente positive, con punteggi che la definiscono assai inferiore al suo predecessore, ma comunque superiore ad altri sequel dei Classici.
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Il Re Leone 3 – Hakuna Matata
La terza pellicola è invece Il Re Leone 3 – Hakuna Matata, del 2004. Questo film è prettamente un midquel, ossia narra di fatti svolti in contemporanea con quelli della pellicola originale, ma che non erano stati mostrati. In particolare, la trama verte sulle storie di Timon e Pumbaa, da prima che si conoscessero e fino all’incontro con Simba e alla battaglia sulla Rupe dei Re. Anche il midquel ricevette recensioni sopra la norma per un’opera secondaria: la rivista specializzata Tv Guide lo definì “una rivisitazione degna dell’opera originale”, conferendogli un punteggio di 3,5 su 4.
Timon e Pumbaa
Timon e Pumbaa è una serie animata prodotta tra il 1994 e il 1999, che vede gli amici di Simba protagonisti di vicende ambientate nella foresta o, addirittura, in città. In quest’opera fanno capolino anche alcuni personaggi del film, quali Rafiki, Zazu, Simba, Shenzi, Ed e Banzai, nonché alcuni essere umani, che hanno un ruolo attivo nella storia. Nathan Lane ed Ernie Sabella ripresero il loro ruolo di doppiatori del duo.
The Lion Guard
Nata nel 2015 e mandata in onda per la prima volta su Disney Channel, The Lion Guard è una serie animata incentrata su Kion, figlio di Simba e Nala, che ha il compito di guidare la “Guardia del Leone”, un insieme di “vigilanti” che ha il compito di sorvegliare e tutelare le attività delle Terre del Branco. Tra i compagni d’avventura di Kion figurano un tasso, un ippopotamo, un’egretta, un ghepardo e un’aquila. Questa serie vede anche il ritorno di Scar, il quale veste i panni dell’antagonista principale.
Libri e fumetti
Oltre alle innumerevoli ristampe a strisce della storia originale, sono stati prodotti alcuni libri e fumetti direttamente ispirati a Il re leone, che però non fanno parte del canon ufficiale. Per quanto riguarda i libri, spicca in particolare The Lion King: Six New Adventures, una serie di sei racconti pubblicati negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 1994, poco dopo l’uscita del film, e incentrati sul passato di Mufasa e Scar, nonché su un ipotetico figlio di Simba, Kopa. Sempre nel 1994, fu poi pubblicato The brightest star, in cui Mufasa, guardando i grandi re del passato, racconta a Simba la storia del proprio nonno, Mohatu, evidenziandone l’animo nobile.
Per quel che riguarda il mondo delle vignette, nel 2005 fu pubblicata in Germania e in Olanda Schlangen im Paradies (“serpenti in paradiso”), mini-opera a fumetti che approfondisce l’infanzia di Simba e Nala.
I videogiochi su Il re leone
Il successo de Il re leone lambì anche l’universo videoludico: sempre nel 1994 la Virgin Interactive pubblicò un videogioco dallo stesso titolo della pellicola, che riproponeva in maniera altrettanto fedele le varie fasi della vita di Simba, fino allo scontro con lo zio Scar. Il videogioco sul secondo film venne invece distribuito nel 1998. Nel 1995, la 7th Level pubblicò invece un titolo su Timon e Pumbaa, dal nome Timon & Pumbaa: Giochi nella giungla.
Nel 2000, la Activision pubblicò Il re leone: La grande avventura di Simba, in cui sono presenti sia le vicende del primo film che del secondo e che vede come antagonista, oltre che Scar, anche la madre di Kovu, Zira.
Il mondo delle Terre del Branco è anche giocabile in Kingdom Hearts II, uscito tra il 2005 e il 2006 in esclusiva per la Play Station 2. Inoltre, il personaggio di Simba è presente in altri titoli della serie e nel videogioco per Nintendo DS Disney Friends.
Attualmente, sono presenti su varie piattaforme diversi videogiochi ispirati alla serie The Lion Guard, come Protectors of the Pridelands, Assemble e To the rescue.
Il remake del 2019
Come è ormai prassi da alcuni anni, la Disney non si fece sfuggire l’occasione per un remake in CGI di uno dei film più redditizi della sua storia. Fu così che, nel 2019, arrivò nelle sale di tutto il mondo una nuova versione de Il re leone. La trama è pressoché identica all’originale, eccezion fatta per alcuni dettagli aggiunti o modificati dallo sceneggiatore Jeff Nathanson, che per la Disney aveva già lavorato a Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar. Le musiche furono quelle del 1994 di Hans Zimmer (a tratti riarrangiate), mentre l’unico tra i doppiatori originali a prendere parte al remake fu James Earl Jones, che reinterpretò Mufasa. La regia fu affidata a Jon Favreau, il quale, nell’ambito dei remake Disney, si era già dedicato, nel 2016, a Il libro della giungla.
La critica accolse con cautela la pellicola, considerandola comunque sufficiente, ma definendo la trama inevitabilmente “prevedibile“, le immagini “meno vivaci di quelle disegnate” e il film “più verosimile, ma con meno capacità immaginativa“.
Il film riscosse un ottimo successo al botteghino, arrivando a incassare ben un miliardo e 663 milioni di dollari, che lo rendono, senza contare l’inflazione, l’ottavo film con i maggiori incassi della storia del cinema, il primo della Disney se si escludono le controllate come la 20th Century Studios e la Marvel. La stessa compagnia ha previsto un prequel della pellicola, intitolato Mufasa: The Lion King, la cui uscita è prevista nel 2024, per la regia di Barry Jenkins e il ritorno alla sceneggiatura di Jeff Nathanson.
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Il musical
Una delle opere più famose collegate a Il re leone è probabilmente l’omonimo musical: The Lion King è un’opera in due atti scritta da Roger Allers e Irene Mecchi, per la regia di Julie Taymor, la quale si è aggiudicata due Tony Awards per la miglior regia e i migliori costumi ed è divenuta la prima donna ad aggiudicarsi il premio per aver diretto un musical. Le coreografie sono curate dal maestro giamaicano Garth Fagan, mentre la scenografia è dello zimbabwese Richard Hudson. Le luci sono opera dello statunitense Donald Holder, mentre le musiche sono di Elton John e Hans Zimmer, con il sudafricano Lebo M. responsabile dei cori.
Lo spettacolo debuttò all’Orpheum Theatre di Minneapolis nel 1997, per poi spostarsi a Broadway dopo qualche mese e arrivare a essere, fino ad allora, il terzo spettacolo più rappresentato di tutti i tempi nella zona dei teatri di Manhattan.
Lunga vita al Re
Il re leone si è quindi affermato come uno dei film di maggior successo mai realizzati dalla Disney. Se si pensa alle premesse della produzione, vista inizialmente come una sorta di ripiego di Pocahontas, il risultato è ancor più eclatante. A contribuire a questo successo è stata senza dubbio la qualità messa in atto da chi ha partecipato alla pellicola, in linea con quella degli altri grandi nomi che avevano contribuito agli altri lavori del Rinascimento, e arrivando forse rappresentarne il culmine.
Un altro aspetto è stato sicuramente la volontà degli autori di mettere in scena degli elementi che suscitassero l’emozione dello spettatore, sia dal punto di vista di regia e sceneggiatura (la morte di Mufasa) sia dal punto di vista scenografico (grazie ai dettagli prese a piene mani dalla natura africana). Questi dettagli rendono Il re leone un must-see immortale, che può essere apprezzato da un pubblico eterogeneo e che consente di rifugiarsi tra musiche e colori che scaldano il cuore. Traumi permettendo.
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Mattia Rispo
Immagini © Disney
Fonti:
mentalfloss.com – allears.net – thedailybeast.com – Mirror – Vanity Fair – Focus – gamingpark.it – Curiosità Disney – The Lion King: The Making of a Walt Disney Masterpiece 1 e 2 – Making of The Lion King, part 1, 2 e 3 – The Art of The Lion King, Christopher Finch, Disney Editions (Google Libri) – Il re leone (Wikipedia) – Il re leone (IMDb) – Pop Matters – thethings.com – The Billboard (Google Libri) – BBC – the-take.com – National Geographic – Fumettologica – The Hollywood Reporter – Tezuka Productions – tor.com – Refinery29 – thedisneyblog.com – bestmovie.it – Mufasa: Il re leone (IMDb) – The Lion King (Box Office Mojo) – Top Lifetime Grosses (Box Office Mojo) – disney.sg – Willdubguru – La Repubblica – daninseries.it – Tv Guide (archive.org) – eltonjohnitaly.com – vulture.com