Quello di Walt Disney è un cinema noto, diffuso e amato. Tuttavia, com’è ovvio, in una produzione prolifica e apprezzata come quella della Casa del Topo risaltano film ricordati con particolare affetto. Scene ben precise possono addirittura marchiarsi a fuoco nella mente degli spettatori, per poi decidere di non abbandonarle mai più. Che dire, ad esempio, del bacio del Principe a Biancaneve? O della nascita di Bambi? Capita, però, che questi momenti iconici non siano sempre e solo piacevoli. L’estetica Disney può facilmente racchiudere un’anima nera – come abbiamo visto in altri episodi della serie Disney Dark, come questo o questo. Quello di oggi, però, è un incubo oscuro patinato di fucsia: l’indimenticabile Parata degli Elefanti Rosa, direttamente da Dumbo.
L’incubo degli Elefanti Rosa di Dumbo
Son qua, son qua… i Rosa Elefanti siam…
In quanti hanno sussultato leggendo questa frase, apparentemente innocua? Nessun mistero: si tratta del primo verso dell’onirica Parata degli Elefanti Rosa (Pink Elephants on Parade), un momento piuttosto celebre dell’altrettanto noto Classico Disney Dumbo. Nei suoi circa 5 minuti di durata, tutti musicati (da Oliver Wallace per le parole di Ned Washington), la Parata contiene una sezione di cantato eseguita in originale dai The Sportsmen e in italiano dal Quartetto Cetra, che accompagna l’effettiva intrusione degli Elefanti Rosa nell’inconscio dell’elefantino volante.
Prima di analizzare nel dettaglio questo autentico trip dai risvolti perturbanti, un minimo di contesto. La trama di Dumbo sarà probabilmente nota ai più: un cucciolo di elefante con le orecchie enormi viene deriso e perseguitato dalle elefantesse, dai clienti e dal personale del circo dove “lavora” la madre, la signora Jumbo, rinchiusa in una gabbia in seguito a una sfuriata in difesa del suo piccolo.
L’unico alleato su cui Dumbo può contare è il topo Timoteo, che fa in modo che l’elefantino diventi la punta di diamante del numero degli elefanti. Purtroppo il cucciolo combina un disastro, e il direttore del circo lo relega al ruolo di pagliaccio, l’ultimo gradino della piramide gerarchica circense.
Pagliacci ubriachi
Lo spettacolo dei pagliacci è grottesco. Neanche loro (!) stimano Dumbo che, anzi, viene sfruttato e canzonato in un numero a dir poco buffonesco. L’elefantino, scoraggiato e in lacrime, cerca quindi il conforto della madre, che gli canta una dolcissima melodia mentre lo culla con la proboscide attraverso la grata. Il momento è molto dolce, probabilmente uno dei più commoventi dell’intera cinematografia disneyana.
Lo stacco successivo ci riporta dai pagliacci: ne intravediamo solo le silhouette attraverso il tendone del circo, mentre sbevazzano a tutto spiano e propongono di far lanciare Dumbo da un’altezza più elevata.
– Mi viene un’idea… alziamo la piattaforma da cui si getta l’elefante!
Dialogo dei pagliacci
– Già! Se ridono quando si butta da sei metri, rideranno almeno il doppio quando salterà da dodici!
– Questa è pura matematica!
– Facciamo ventiquattro metri!
– Non essere spilorcio: facciamo centoventiquattro!
– Facciamo trecento!
– Mille metri!
– Non esageriamo! Il piccolo si farà male.
– Andiamo, gli elefanti non sentono nulla.
– No, sono come di gomma!
Queste dichiarazioni, da sole, sarebbero quasi sufficienti a giustificare questa puntata di Disney Dark. Dumbo è un film degli anni Quaranta, quando la sensibilità per i diritti degli animali era molto minore. Queste frasi oggi suonano un po’ troppo spinte, anche tenendo in considerazione la vena iperbolica dei clown e il contesto farsesco. Uno di loro afferma che gli elefanti siano “come di gomma” (“they’re made of rubber”, in originale). Curiosa scelta di parole. Tenetela a mente, ci torneremo.
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Una sbronza micidiale
La chiassosa combriccola di clown, di cui noi continuiamo a vedere solo le sagome, lascia il tendone cantando e col proposito di chiedere un bell’aumento al principale. È un riferimento al violento sciopero degli animatori che aveva realmente interessato gli studi Disney durante la lavorazione del film, nel maggio del 1941. L’accaduto aveva rammaricato profondamente Walt, modificando in modo irreversibile la concezione “familiare” che aveva dei suoi studios. Ma torniamo alla scena.
Uno dei pagliacci per errore fa cadere una bottiglia di prosecco in una tinozza piena d’acqua: è l’inizio della fine. Timoteo propone a Dumbo di bere ampie sorsate, e l’elefantino ben presto cade vittima dei fumi dell’alcol. Anche il topino casca nel secchio, finendo per ubriacarsi malissimo. Tra un singhiozzo e l’altro, l’avvinazzata coppia inizia a soffiare delle bolle; una di queste si trasforma in un curioso elefante che sembra fatto di gomma (vi ricordate quel che aveva detto uno dei clown?). Così, con una colossale sbronza, inizia l’incubo degli Elefanti Rosa di Dumbo.
Cosa vediamo nella scena degli Elefanti Rosa?
È quasi impossibile descrivere efficacemente la scena degli Elefanti Rosa a chi non l’ha mai vista. La sequenza si compone di un turbine di allucinazioni oniriche e inquietanti ambientate perlopiù in una location deserta, vaga e oscura, con protagonisti dei pachidermi deformi e privi di pupille.
Il primo elefante, quello generato dalla bolla di Dumbo, si moltiplica in cinque. Il gruppetto comincia a suonarsi le proboscidi come fossero delle trombe: è l’inizio del brano Pink Elephants on Parade, che accompagna la performance fuori di testa dei corpulenti istrioni. I pachidermi si gonfiano, riempiono lo schermo, si moltiplicano, invadono, prorompono, riempiono la scena. Sono un branco, un intero concerto e poi si riuniscono in un unico animale. Sono folli, astratti, colorati, avanzano minacciosi e si trasfigurano di continuo modificando anche l’ambiente intorno a loro.
Tra gli highlights più perturbanti della parata: la comparsa a sorpresa di due elefanti pallidi ed emaciati, quasi degli spiriti, con le orbite cave; un mostruoso essere variopinto composto di teste di elefanti che incede minaccioso verso lo spettatore; un elefante-cammello che si trasforma in un cobra, in una danzatrice del ventre e poi in un inquietante e realistico occhio umano.
Perché gli Elefanti Rosa ci fanno così paura?
Il tutto si svolge in uno spazio buio che potremmo definire del subconscio. La totale assenza di punti di riferimento ci pone in allerta, in uno stato di straniamento. La sequela di visioni surreali, molto distanti dal reale tangibile, ci proietta in una dimensione che scavalca continuamente i confini tra sogno e incubo, mettendoci in contatto con le nostre sensazioni più autentiche e primordiali.
Discorso a parte per la resa visiva degli elefanti e le loro trasformazioni. I pachidermi sono disegnati in modo esageratamente caricaturale, gommoso, le orecchie e le proboscidi sono illustrate in modo grottesco e i loro occhi sono spaventosamente cavi. Le metamorfosi risultano molto creative, non seguendo alcuna logica se non vaghe associazioni concettuali o estetiche, esattamente come avviene nel surreale.
La scena riesce a solleticare zone della nostra mente particolarmente sensibili, ponendoci in uno stato che ricorda quello del sogno. In italiano, inoltre, la parte di cantato si risolve con una inquietante richiesta di aiuto: salvatemi! Salvatemi! Salvatemi!
Non si può fare a meno di pensare, inoltre, che le allucinazioni di Dumbo siano state provocate proprio dall’affermazione dei pagliacci su come gli elefanti siano di gomma e non sentano nulla. Una reazione del subconscio del piccolo di fronte all’ennesima cattiveria nei suoi confronti.
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Animare dei Rosa Elefanti
La direzione di questa specifica sequenza fu affidata a Norman Ferguson, che supervisionò l’animazione di Hicks Lokey e Howard Swift. Il primo aveva lavorato nello studio dei fratelli Fleischer su diversi corti di Betty Boop, ed era poi stato assunto come animatore per Fantasia proprio grazie all’intercessione di Ferguson; Swift era invece di formazione prettamente disneyana.
In quel periodo negli studi Disney si incontravano due diverse contaminazioni stilistiche, una newyorchese e una della West Coast, più tipicamente disneyana. Quest’ultima concepiva l’animazione come un modo per raggiungere una perfetta mimesi del reale, interpretandolo in modo veritiero e naturalistico. A New York, invece, il vento soffiava in senso opposto: in aperta sfida al canone Disney, questa scuola d’animazione prediligeva l’artificio, il surreale, l’irrazionale, le sperimentazioni grafiche e le esasperazioni estetiche e materiche.
Vien da sé che la scena degli Elefanti Rosa sia il maggiore esempio di contaminazione newyorchese in Dumbo. Il primo elefante che vediamo conserva addirittura tutte le imprecisioni e la “sporcizia” della grafite, esaltando la spontaneità del tratto a matita, e tutti gli altri pachidermi si configurano in modo evidente come dei disegni, dotati pure di una certa “gommosità”, in perfetto stile East Coast.
Va sottolineato, però, come persino in questa scena si riescano a individuare gli elefanti rosa di Lokey e quelli di Swift. I primi sono quelli che si comportano in modo più sfacciatamente bidimensionale, ad esempio marciando lungo i margini dell’immagine, intorno a Dumbo: perché sono appunto consci che quella che abitano sia solo un’immagine. I secondi, pur manifestando un certo grado di sperimentazione visiva e catartica, non possono fare a meno di trattenere una quota di tridimensionalità.
Perché gli Elefanti Rosa?
In chiusura, non ci si può fare a meno di chiedere perché si sia scelto di rappresentare proprio degli Elefanti Rosa come concretizzazione delle paturnie di Dumbo. “Vedere gli elefanti rosa” (“Seeing pink elephants“) è un’espressione che in inglese si usa per riferirsi alle allucinazioni provocate da pesante abuso di alcol o droghe. Diffusasi dall’inizio del XX secolo, affiancò diverse affermazioni analoghe, quali “vedere serpenti” poiché nei soggetti affetti da delirium tremens il movimento delle palpebre provocava visioni simili allo strisciare di tali animali.
Nel 1884 P.T. Barnum, grande imprenditore circense, annunciò che avrebbe portato per la prima volta negli States un elefante bianco. Per il pubblico fu una totale delusione: l’animale era più definibile come rosato, con sparute chiazze biancastre in qualche punto del corpo. È plausibile pensare che l’espressione si sia diffusa proprio in seguito alla figuraccia di Barnum, e consegnata definitivamente alla Storia con la celebre scena di Dumbo.
Di questo, in fin dei conti, poco ci importa. Rosa, bianchi o verdi che siano, la Parata degli Elefanti di Dumbo ha saputo installarsi a fondo nelle menti e nei cuori degli spettatori più piccoli, al punto da tornare a infestare, ogni tanto, i loro pensieri persino una volta cresciuti. In perfetta tradizione Disney Dark.
Mattia Del Core
Un ringraziamento speciale ad Agnese Amato e Antonio Manno.
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Fonti
The Colorful History and Etymology of “Pink Elephant”
Regionalism in Disney Animation: Pink Elephant and Dumbo (M. Langer)