Con rischi indicibili e traversie innumerevoli avete aperto questo articolo, per riprendervi il bambino che noi abbiamo rapito. Quale bambino? Ma sì, il vostro bambino interiore, quello che ancora non ha superato il film del 1986 Labyrinth – Dove tutto è possibile.
Per trovarlo, ripercorriamo insieme un intero filone di storie fantastiche (e infinite) del cinema fantasy anni Ottanta. Storie che brulicano nell’immaginario di una generazione di ex infanti con le loro scene insolitamente tenebrose, in cui marionette inquietanti venivano spacciate per elfi e draghi, con talismani di gioielleria un po’ kitsch e con principesse ed eroi dalle chiome volanti.
Non riuscite a ricordare quale sia la trama di Labyrinth? Forse vi sono rimaste stampate nel subconscio l’aderentissima calzamaglia del Re dei Goblin, la scena del ballo con l’eroina Sarah sulle note ipnotiche di As the World Falls Down e il ribollire olezzante (e fin troppo sonoro) della Gora dell’Eterno Fetore.
Oppure siete nel numero di coloro per i quali Labyrinth non ha segreti? La vostra conoscenza di questo film di Jim Henson è forte quanto la nostra? Il vostro regno è altrettanto grande? Scopriamolo!
Labyrinth: non è il gioco da tavolo
Per non perderci, iniziamo proprio dalla trama. Sarah, una ragazza dei giorni nostri, esprime avventatamente un desiderio in formula magica, finendo col cedere il proprio fratellastro molesto ai goblin (cose che succedono). Per recuperare il frugoletto dalle grinfie di Jareth, Re dei Goblin, Sarah dovrà attraversare un labirinto pieno di enigmi, illusioni ottiche e creature ambigue, fra cui alcuni inaspettati compagni di viaggio: l’avido nano Gogol, il cagnetto-cavaliere Sir Didymus e il tenero bestione Bubo.
Sarah troverà la strada per il castello del Re dei Goblin? E soprattutto cosa incontrerà lungo la strada?
Di sicuro non la via per il successo al botteghino, ma, in barba ai disastrosi incassi, Labyrinth oggi è un cult. La giovanissima Sarah è interpretata da una Jennifer Connelly sedicenne, mentre il magico tiranno Jareth è nientemeno che il cantautore David Bowie nella sua ennesima trasformazione. Il fratellino di Sarah, suo padre e la sua matrigna premurosa ma stressante sono gli unici altri personaggi in camicia a sbuffo e ossa: il resto del cast è composto da pupazzi, animati da performer e artisti.
Bambini, goblin e altre cose selvagge
I rugosi e gibbosi mostriciattoli che popolano ogni angolo del labirinto, in battaglioni caotici, zoppicanti e borbottanti, sono frutto di diverse menti creative. Con il loro aspetto allegramente grottesco e la loro sfrontatezza infantile richiamano i “mostri selvaggi” dell’illustratore Maurice Sendak, autore del capolavoro per l’infanzia Nel paese dei mostri selvaggi.
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In Labyrinth come nel libro illustrato di Sendak, la storia è innescata dai malestri di una personcina molto giovane, la cui caotica espressione di sé entra in conflitto con le pretese genitoriali e con la scomoda necessità di crescere. Così come il piccolo e pestifero Max di Nel paese dei mostri selvaggi si rifugia in un mondo di creature turbolente fra cui può essere re, Sarah, teenager in crisi, si identifica con la principessa di una fiabesca pièce teatrale che sta provando, intitolata casualmente proprio Labyrinth.
Sempre guarda caso, Nel paese dei mostri selvaggi compare fra i libri nella cameretta di Sarah, insieme ad altre opere ispiratrici del film: Alice attraverso lo specchio di Lewis Carroll e Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum. Sia Alice sia Dorothy sono eroine smarrite in un altro, labirintico mondo, magari tracciato da un sentiero dorato, magari situato sottoterra (Underground è la canzone di apertura di Labyrinth, naturalmente intonata da Bowie). Ma gli arredi scelti da Sarah contengono molti altri easter egg.
Labirinti e Miss Piggy
Fra i soprammobili di Sarah, per esempio, troviamo i peluche delle creature del labirinto, per non dimenticare un simpatico reggilibri a forma di Gogol. Ma chi ha creato tutti i personaggi-pupazzi che “recitano” nel film, a parte l’ispirazione fornita da Sendak?
Il regista Jim Henson ci ha messo del suo, avendo già esperienza con delle vere superstar in fatto di pupazzi: i Muppets. Ideati da Henson nel ’55, questi pupazzi-marionette (le parole “marionette” e “puppet” formano il loro nome) sono gli idoli della TV statunitense grazie alle trasmissioni The Muppet Show e Sesame Street. Il loro aspetto, le loro voci e il loro linguaggio spaziano fra il buffo, il mostruoso e il totalmente senza senso, un po’ come per le creature di Labyrinth.
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Io non sono un goblin, sono una marionetta, ia ia ho!
Prima del regista però, i fondamentali designer dei goblin e dei mostri assortiti sono Wendy e Brian Froud. I due coniugi e artisti avevano già lavorato al fianco di Jim Henson nel film Dark Crystal (1982), un altro fantasy di culto dove burattini e animatronics la fanno da padrone, tanto da accompagnarsi a zero personaggi umani.
Wendy Froud è una scultrice, appassionata di creature fatate e creatrice di bambole dall’età di cinque anni. La sua realizzazione più famosa è il pupazzo di Yoda per L’Impero colpisce ancora. Brian Froud è un pittore e illustratore altrettanto propenso al fantasy: potreste conoscerlo per il libro Fate, una raccolta illustrata di storie, ballate e nozioni sul piccolo popolo scritta insieme ad Alan Lee e pubblicata in Italia nel ’79.
Un componente altrettanto importante della famiglia Froud è il figlio della coppia, Toby. Il suo contributo a Labyrinth è l’interpretazione del fratellino frignone di Sarah, chiamato proprio Toby. Oggi il rampollo dei Froud ha trentotto anni e lavora a sua volta come burattinaio e creatore di effetti speciali. Sì, esatto. Trentotto. Feel old yet?
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Non dimentichiamo inoltre il contributo di Ron Mueck, marionettista e doppiatore del pelosissimo Bubo e oggi scultore iperrealista di successo, noto per modellare figure umane in silicone e acrilici dalle proporzioni sfasate e dall’aspetto vulnerabile, pensosamente affondate nel labirinto dell’esistenza.
Fra sogno, realtà e anni Ottanta
Il film inizia dal mondo reale, da una dimensione quotidiana, borghesuccia, dove floridi ragazzini americani brancolano nel loro microcosmo di giocattoli e hobbies, alla ricerca della propria identità a scapito delle noiose aspettative degli adulti e dello spietato confronto coi coetanei. L’avventura della loro vita si trova all’interno di un mondo di fiaba, a sua volta nascosto fra le pagine di un libro. Forse già scritto, ma ancora da raccontare. Stiamo parlando di Labyrinth? Di La storia fantastica? O di La storia infinita?
In tutte queste opere, la storia si svolge su più dimensioni, inserite una nell’altra come scatole cinesi, talvolta mosse e scambiate fino a confondere la realtà prosaica stile “America oggi” dell’eroe, quella colorata ed epica della fiaba e infine quella del libro, misteriosa “terra di mezzo” e trait d’union fra i mondi. Il libro nel film è la storia del film, una storia che influenza l’eroe e ne è influenzata, come fosse una manifestazione cartacea, eppure viva e mobile, dello sviluppo di una personalità adolescente. Con le sue paure e i suoi desideri, i suoi sogni e i suoi incubi.
“Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti da me!”
Concepita inizialmente come vera principessa di un film epic fantasy, poi come fanciulla vittoriana (sempre al salvataggio di un fratellino disperso), Sarah si configura infine come la versione hollywoodiana (e commerciale) della ragazza americana moderna. Ma rispetto ai colleghi Bastian di La storia infinita e al nipotino annoiato di La storia fantastica, Sarah è l’assoluta protagonista, narratrice ed eroina della propria storia, nella dimensione fiabesca e in quella contemporanea. Anzi, in modo metateatrale ne è l’attrice: non si limita a leggere o ascoltare il libro Labyrinth, ma lo mette in scena, con tanto di cambi di costumi, trucchi e improvvisazioni istrioniche attraverso cui, inconsciamente o meno, si ritrova a guidare gli sviluppi delle proprie avventure come fossero le trame e i personaggi di un sogno.
Proprio la distinzione fra il conscio e l’inconscio è un tema al contempo sottile e determinante nel film. Sarah desidera davvero che i goblin portino via il fratellino, colui che sembra rubarle tutte le attenzioni famigliari, ma come si suol dire, non lo desidera “davvero davvero“. Quali saranno gli altri desideri repressi, le fantasie e le tensioni di una ragazza che sembra opporre resistenza alla crescita, reclusa com’è fra monologhi solitari e le quattro mura di una stanza piena di pupazzi e travestimenti, affezionata alla frase “non è giusto!” come risposta a tutti i suoi guai?
Quindi Labyrinth è sogno o è realtà?
Qualche indizio arriva proprio dalla cameretta di Sarah, il luogo dove la ragazza custodisce con ostinata gelosia i feticci di un’infanzia agli sgoccioli. Alcuni oggetti quotidiani rievocano gli elementi che compaiono nel labirinto, come se l’avventura fantastica fosse uno specchio distorto del vissuto di Sarah, o forse in tutto e per tutto una fantasia con cui la ragazza rielabora la propria realtà. In effetti nella cameretta, oltre alle bambole dei personaggi, è esposto un plastico del labirinto e la stampa Relatività di M. C. Escher, che raffigura perfettamente gli impossibili interni del castello del Re dei Goblin.
Ma non è tutto: un album di ritagli ci aiuta a ricostruire la situazione famigliare di Sarah, suggerendoci la chiave di lettura della psicologia del personaggio. La passione della ragazza per la recitazione potrebbe venire dalla madre “Linda Williams”, celebre attrice, le cui foto sui giornali sono conservate con amore. I titoloni annunciano anche il divorzio della diva e il suo legame con un nuovo partner. Questo spiega perché Sarah abiti (suo malgrado) con suo padre e una matrigna, ma offre anche una prospettiva inaspettata sulle vicende del labirinto: il nuovo ganzo della madre di Sarah ha lo stesso volto di Jareth (ovvero Bowie), ben visibile sulla foto incollata alla specchiera della camera.
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Non aprite quelle fanfiction!
Il rapporto fra Jareth e Sarah non è affatto privo di un sottotesto erotico: nel corso del monologo teatrale che porta la ragazza allo sfortunato patto coi goblin, lei si descrive come un’eroina amata e corteggiata dal Re. Le azioni antagonistiche di Jareth sono in sostanza un disperato sforzo di compiacere le pulsioni egoistiche e irrazionali di Sarah, offrendo ai suoi piedi di tutto, ma nulla di ciò che sarebbe davvero importante per lei. Jareth è come un incantevole genio che esaudisce i desideri, ma a patto di annientare l’individualità di Sarah e lasciarla dominare dai suoi istinti (ossia da lui stesso).
E la scena del ballo? Sì, ora ci arriviamo. La scena dove Sarah indossa il principesco abito della ballerina di un carillon e attraversa una lussuosa festa in maschera per raggiungere Jareth, magnetico e sfuggente, è il momento dove la caccia fra i due assume connotati maliziosi e rappresenta i turbamenti di una ragazza che, come una virginale sposina in bianco, si affaccia con fascino e timore alla sensualità matura.
Possibile che Sarah, da ragazzina con l’ormone a palla, abbia una cotta per il ganzo della sua adorata madre attrice? O ha un supersonico complesso di Edipo, e vorrebbe avvicinarsi a una figura paterna meno fragile e più interessante della propria? Oppure vuole indossare in tutto e per tutto i panni di quella madre lontana, narrata solo dai giornali e quindi assai più facile da idealizzare rispetto a una matrigna che è sempre presente, nel bene e nel male? Allora il labirinto è solo un sogno malandrino di Sarah? Un fumetto sequel ufficiale del film, Ritorno a Labyrinth, ripercorre le avventure magiche attestandole come reali. Ma in fondo, cosa ne sa la Jim Henson Company?
È ora di parlare della calzamaglia di David Bowie
Forse, non possiamo biasimare Sarah per la sua attrazione nei confronti del Re dei Goblin. Affascinante e maledetto, capace di apparire in pompa magna o di nascondersi nelle tenebre in ambigui travestimenti, colui che catalizza l’eros, la rabbia e ogni tentazione proibita nel cuore di un’adolescente… insomma, chiaramente una rockstar. Nello specifico, David Bowie.
Nel suo eccezionale percorso artistico, Bowie è più che un interprete e autore di canzoni, più che un attore di personaggi e più che un indossatore di look particolari: è una creatura mutaforma, che cambia identità trascendendo la persona, il genere e l’essere umano, creando regni di fantasia di un solo individuo dove svaniscono i confini fra la musica, il cinema, le arti visive e il performer medesimo. Forse per questo immaginiamo il Re dei Goblin non come il ruolo di Bowie nel film Labyrinth, ma come un vero titolo nobiliare spettante di diritto alla star. Titolo che, aggiungendosi agli appellativi Duca Bianco e Ziggy Stardust (per citare solo due suoi personaggi, ciascuno col suo carattere e la sua storia) sancisce la sua natura aliena, ambigua, labirintica.
Un Oberon dispettoso, un dittatore fragile, un istrione danzante, un subdolo ed estroso trasformista (tiranno, mago, mendicante, barbagianni), sia padre accondiscendente sia temuto seduttore per la gioventù: questo è Bowie… cioè Jareth. Il lato seduttivo del Re dei Goblin è sottolineato dai pantaloni rinascimentali con una conchiglia centrale bella in vista, mentre il suo lato animale (da palcoscenico) è espresso dalla parrucca bionda simile a pelo di lupo, ispirata alla maschera del “leone padre” in una celebre danza kabuki.
Sorge spontanea la domanda su quale sia il confine tra recitazione e comportamento che l’attore avrebbe comunque tenuto al di fuori della scena. Come Sarah, lo spettatore non può resistere all’attrazione magnetica del Re dei Goblin. Alla fine, Labyrinth (e pure questo articolo!) non sarebbero gli stessi senza Bowie… cioè Jareth. Ma è la sola eredità rilevante del film? O c’è dell’altro?
Labirinto o dedalo?
Il labirinto di Labyrinth è in realtà un dedalo (equivalente del termine “maze” nella lingua originale del film), dove il percorso non è univoco dall’inizio fino al centro, ma obbliga a continue scelte di direzione e offusca il senso dell’orientamento. Questa tortuosità in Labyrinth non è data da una perversa ma razionale architettura (all’inizio il labirinto, agli occhi di Sarah, sembra proseguire addirittura rettilineo), bensì dal modo in cui la percezione delle immagini e di ogni esperienza sensoriale (per Sarah e per gli spettatori del film) continua a ribaltarsi e a sfuggire a ogni tentativo di ordine. L’escamotage di Sarah di disegnare un percorso col rossetto, come una novella Teseo con il filo di Arianna, è inutile, dato che i goblin capovolgono le mattonelle dove la ragazza traccia frecce segnaletiche.
Non a caso l’artista Escher è citato a profusione in Labyrinth, in quanto creatore di spazi immaginari dove l’impossibile, attraverso la paradossale applicazione di leggi geometriche e prospettiche, diventa possibile. L’influenza di Escher si nota nelle rampe di scale pluridimensionali dove Jareth passeggia tranquillo, cantando il suo malinconico brano Within You, ma anche nelle “sfere di cristallo” che compaiono più volte come accessori del Re, manovrate acrobaticamente dalle sue dita (in realtà sono le dita del giocoliere Michael Moschen, pioniere del contact juggling e aiutante di Bowie per il film).
“Di quando in quando, nella mia vita, senza apparenti ragioni, io sento il bisogno di tutti voi!“
La cameretta di Sarah e il labirinto, a più riprese sovrapposti e confusi, sono entrambi universi ambivalenti. Duplici, come il vecchio goblin che ha una testa d’uccello sopra la propria (quasi un’opera del surrealista Max Ernst), o come i guardiani bicefali che pongono a Sarah un indovinello della serie Cavalieri e Furfanti di Raymond Smullyan.
Cameretta e labirinto rappresentano sia l’oppressione di un’infanzia cristallizzata (dove il peso della responsabilità viene sepolto sotto cumuli di fronzoli e ciarpame, perdendo ogni occasione di profondità e crescita), sia il lato creativo, gioioso e liberatorio dell’infanzia stessa, che arricchisce di linfa vitale anche la vita adulta. La corsa di Sarah all’interno del labirinto, mentre il tempo segnato dal perfido Jareth scorre inesorabilmente, è la ricerca di un equilibrio fra l’essere matura e l’essere bambina. Un equilibrio che forse a molti, in qualche momento della crescita, sarà sembrato impossibile da trovare. Ma il labirinto ci insegna che nulla è come sembra e nulla va dato per scontato, e che in fondo, dopo averlo attraversato, possiamo trovare la nostra via d’uscita.
Verina Romagna
Grazie ad Havana Romagna!
Fonti:
Wikipedia | Sir Dan of C | LOLWOT | Labyrinth Nook | Labyrinth Wiki | Finestre sull’Arte | Velvetgoldmine.it