Di momenti commoventi, nella Saga di Paperon de’ Paperoni, ce ne sono a bizzeffe.
Sono moltissimi gli attimi commoventi e struggenti che ci hanno spezzato il cuore leggendo le avventure di Paperon de’ Paperoni, dalla sua nascita fino a quando è diventato il papero più ricco del mondo.
Le mani molti di noi, ancora bambini, nel giugno del 2000 stringevano il capolavoro di Don Rosa, raccolto in un volume dal titolo Paperdinastia. L’opera – The Life and Times of Scrooge McDuck – era stata pubblicata in Danimarca per la testata Anders And & Co. n. B33 dal 10 agosto 1992.
Pensavamo fosse un fumetto con protagonista quell’eccentrico miliardario che popolava le pagine di Topolino e che ci faceva sbellicare dalle risate. Magari un’antologia delle storie migliori – volume che invece sarebbe stato pubblicato, con prefazione di Alessandro Baricco, da Rizzoli sempre nel 2000.
Ciò che in realtà stringevamo fra le mani non era altro che un grande romanzo di formazione a fumetti. Dopo trent’anni la Saga ha ancora tanto da insegnare: si è rivelata una di quelle opere che invecchiano incredibilmente bene. Non c’è niente di più attuale, d’altro canto, della necessità di inseguire i propri sogni.
Come l’eroe di Vogler, questa sorta di Gilgamesh piumato si apprestava ad affrontare un viaggio. L’obiettivo? Ottenere “tutto ciò che il denaro può comprare“, e anche qualcosa di più.
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Tutti noi eravamo con lui. Lo abbiamo accompagnato per dodici capitoli (per non parlare degli extra), e siamo rimasti catturati dalla maestria di Don Rosa.
Il buon Keno si era infatti insinuato nelle storie del suo amato maestro Carl Barks, e aveva ricostruito le origini di Paperon de’ Paperoni proprio a partire da esse.
Ora bando alle ciance: iniziamo a vedere quali sono i 5 momenti più strappalacrime, spezza-piume e commoventi dell’intera Saga di Paperon de’ Paperoni.
Disclaimer: l’articolo contiene (ovviamente) spoiler.
5) Un altro arcobaleno
Ogni volta che Paperone vive dei momenti particolarmente commoventi e struggenti, il pathos che si percepisce deriva da una serie di istanti pregressi che all’improvviso, ma con immensa maestria, si compongono, come se stessimo guardando un puzzle. Vi ricordate come inizia questa grande opera?
“Colle Fosco, ragazzo, desolato come tante altre terre di Scozia.”
In apertura della storia vediamo un giovane Paperone che con il padre Fergus osserva da lontano il vecchio maniero di proprietà del clan. Un castello dal quale i de’ Paperoni, ora in estrema povertà, sono tenuti lontani dalle angherie del clan rivale.
Paperone riesce solo con gli anni a salvare il castello di famiglia. Le tasse che gravano su di esso vengono pagate con un assegno di diecimila dollari, ottenuto grazie ai duri sacrifici fatti nei cinque anni trascorsi in America.
Il quinto capitolo della Saga, Il nuovo proprietario del Castello de Paperoni, pubblicato per la prima volta sulla rivista Anders And & Co n.11 del 15 marzo 1993, racconta di un episodio avvincente della vita di Paperone.
Fin da subito, durante le sue avventure da adolescente in America in cerca di fortuna, Paperone ha avuto innumerevoli occasioni di mettersi alla prova. Ha patito una serie di fallimenti dai quali si è sempre rialzato con tenacia, rifiutando, pur se così povero, le facili scorciatoie di una vita comoda.
Eppure, il Paperone che fa ritorno a casa dopo cinque lunghi anni è attanagliato dai dubbi.
Nonostante suo padre lo rincuori, il giovane papero deve superare nell’arco dell’episodio una serie di prove. La più rilevante è un duello con un esponente del clan dei Whiskerville, loro rivali per eccellenza. Lo scontro vede vittorioso Paperone, che però cade nel fossato e finisce per svenire sott’acqua, morendo.
Così il papero arriva nel paradiso del clan. Sconvolto, il duca Quaquarone – fantasma che abita il castello e primo mentore del ragazzo – cerca di convincere gli altri membri a dargli una seconda possibilità. Per giudicare al meglio decidono di leggerne il futuro sul Libro del clan.
Solo quando gli antenati scoprono che Paperone diventerà “il più miserabile, strizzarape, avaro tirchioso della terra”, questo ottiene una nuova opportunità.
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Il momento commovente
L’essere riuscito a salvare il castello ridà a Paperone quella fiducia che in fondo era sempre stata dentro di lui. Già durante la sua avventura nel Montana, d’altro canto, aveva manifestato una determinazione invidiabile.
Sul finale di questo quinto capitolo, dopo tutte le emozioni e dopo l’incontro con gli avi, Paperone osserva con il padre l’arcobaleno formatosi dopo una notte di turbolenze (in tutti i sensi). L’insegnamento che Paperone ci elargisce è talmente struggente, profondo e importante che sarebbe riduttivo sintetizzarlo in un articolo, figurarsi in poche righe. Ci proveremo comunque.
Provarci e riprovarci, questo è il succo del discorso. Una persona non è definita dai propri fallimenti ma da come reagisce alle sconfitte. In un’atmosfera quasi mistica, Paperone giura a se stesso di non darsi mai per vinto. Infatti, persino dopo la più tragica delle tempeste, sorgerà un altro arcobaleno.
Fergus e Paperone che sollevano il cappello per dare il benvenuto ad un nuovo giorno racchiudono in questa vignetta intrisa di poesia un grande messaggio di ottimismo, dando coraggio a tutti i noi lettori che, in lacrime, non possiamo che seguire l’esempio e rialzarci. Ancora una volta.
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4) La morte di Fergus de’ Paperoni
Nella Saga la morte, il dolore della perdita, l’elaborazione del lutto non sono tabù. Il viaggio che Paperone intraprende celebra la vita. E la celebrazione della vita non può prescindere dalla necessità della morte.
La morte di Fergus de’ Paperoni strazia il cuore perché, sebbene lontano, lui è sempre stato il principale punto di riferimento per il figlio. Ha sempre creduto in lui, ha sempre fatto il tifo per lui, ne ha appoggiato le scelte, lo ha incoraggiato e, forse, è stato l’unico che fino in fondo lo ha sempre ascoltato e capito.
Fergus ci lascia nel silenzio, nella serenità e nella pace. La commozione, come per la scena vista più su, giunge per via di una serie di istanti pregressi altrettanto commoventi.
L’evento viene raccontato nel decimo capitolo, Il miliardario di Colle Fosco. Paperone torna in Scozia da ricco e, almeno all’inizio, con l’intenzione di restarci. La sua famiglia è lì ad attenderlo e lo porta al Castello, a casa. Paperone, però, manifesta il desiderio di andare a trovare la madre.
Sappiamo, dal capitolo precedente, che Piumina o’ Drake non c’è più. La vignetta della visita al cimitero è avvolta in un religioso silenzio, intriso di rumore.
Questo primo momento ci stringe il cuore. Neanche il lettore, davanti alla lapide, osa emettere un fiato. Il fatto che, da quando Paperone è partito, questo sia stato solo il secondo incontro tra madre e figlio è straziante.
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Paperone prova a inserirsi nel contesto scozzese, a partecipare agli eventi, ma non riesce in alcun modo a integrarsi. La madrepatria Scozia, che lo ha visto andar via ragazzo, non lo accoglie come uomo.
E allora che fare? Paperone propone al padre e alle due sorelle di trasferirsi a Paperopoli, dove ha acquistato una collina da un tale di nome Casey Coot.
Il padre dà la propria benedizione per questa nuova avventura, ma si sente stanco: non se la sente di andare con loro.
Inizia un addio straziante. Il padre è consapevole di lasciar andare i propri figli verso una vita migliore e che probabilmente non si vedranno mai più.
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All’alba, Paperone e le sue sorelle si preparano a partire. Vedono due figure dalla finestra e si sbracciano per salutare.
Da qui, la sorpresa per il lettore. Fergus è sì affacciato alla finestra, ma con accanto la moglie, teoricamente defunta.
Fergus si sta preparando per andare dall’altra parte. Accolto dal Duca Quaquarone, fantasma custode del castello, si prepara per lasciare questo mondo.
Con la pace e la serenità di aver assolto al meglio delle sue possibilità il proprio ruolo di padre e guida, Fergus attraversa il muro mano nella mano con Piumina, mentre si intravedono le spoglie e il fidato cappello sul letto.
Il capitolo, improvvisamente agrodolce, si chiude però con una nota di speranza.
Il futuro del clan de’ Paperoni, Paperone e le sue sorelle, si dirigono verso Paperopoli, verso quella vita nuova che altro non è che l’ultimo desiderio del padre.
3) “Tsk! Tsk! Voi ragazzi non dovreste essere così crudeli con un piccoletto che ha appena perso la mamma“.
Il modo brutale, privo di empatia, quasi goliardico con cui a Paperone viene rivelata la morte della madre non può che raggiungere il gradino più basso del podio.
Sì, Paperone ha patito ancora di peggio, ma ci arriveremo più avanti. Procediamo con ordine.
L’episodio in questione si trova ne L’argonauta nel fosso dell’agonia bianca, capitolo che precede Il miliardario di Colle Fosco (analizzato invece nel punto precedente). L’anno è il 1896 e Paperone giunge in Alaska, nello Yukon, più precisamente a Dawson.
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Il suo obiettivo, come ne Il re di Copper Hill, è di provare a fare fortuna come minatore. I tempi, però, sono molto difficili e il nostro papero preferito si ritrova in un batter d’occhio privo di risorse e costretto a fare affidamento su mezzi poco ortodossi.
Finisce così nelle mani di Soapy Slick, professione strozzino.
Per ripagare il debito Paperone si trova costretto a cercare un territorio inesplorato. Con un po’ di fortuna, riesce a trovare un’intera landa a sua disposizione e a trovare nuove ricchezze.
La sua capacità di riuscire a ripagare il debito, complice anche il fatto che non abbia ancora fatto registrare la sua concessione mineraria per timore di farsela sottrarre, fa insospettire Slick. L’avido maiale inizia a chiedersi dove il papero riesca a trovare tutto quell’oro.
Egli, quindi, rapisce Paperone e lo incatena nel saloon di un battello con i suoi scagnozzi, per prendersi gioco di lui prima di farlo fuori.
Frugando nella borsa, trova delle lettere ricevute da casa. La prima è della madre, che racconta di sentirsi un po’ stanca e in colpa per non poter contribuire al ménage domestico.
Soapy Slick legge le parole della madre ad alta voce, incurante dei sentimenti di Paperone. Le confidenze e i timori della sua mamma vengono così lasciati alla mercé degli scagnozzi dello strozzino, che si prendono gioco di Paperone e del suo amore per la famiglia.
Ma Slick fa di peggio. Di fronte a un Paperone impotente legge un’altra lettera, stavolta del padre Fergus, che annuncia la morte della moglie.
Come il protagonista, noi lettori restiamo pietrificati. La violenza delle parole di Slick, lo scherno con il quale un evento così intimo, così privato viene spifferato pubblicamente, senza alcuna pietà, senza empatia e senza dare il tempo al giovane di elaborarlo, di piangere la scomparsa di un genitore, ci destabilizza.
Quella carezza di derisione sulla testa, quasi a scimmiottare un gesto consolatorio è troppo, non solo per Paperone ma anche per noi lettori. Alcuni avranno pianto di rabbia, quasi.
Tutto diventa istantaneamente troppo. E Paperone in questo trova la forza di reagire, di difendersi. La vignetta seguente, nonostante sia muta, urla.
La reazione di Paperone è violenta, inesorabile. Quegli occhi rossi ci fanno presagire che di lì a poco sarà un massacro (per gli altri).
D’altronde Paperone già nel capitolo Il terrore del Transvaal aveva dimostrato che la cosa che lo faceva sbarellare e uscire di senno era chi si prendeva gioco di lui.
Con Cuordipietra Famedoro – che si era approfittato di lui e lo aveva abbandonato nel deserto – aveva reagito allo stesso modo. Con tanto di occhi rossi.
Nello Yukon, il meccanismo che scatta in Paperone è il medesimo: nessuno può prendersi gioco di lui.
Sebbene la sua reazione lo faccia diventare una leggenda, a Dawson, non possiamo che preoccuparci per la piega che sta perdendo la sua personalità.
Questo è un momento che segna una linea di confine nel carattere di Paperone.
L’avevamo già visto diventare cinico, circospetto, solitario. La reazione alle parole di Slick è violenta, declinata al maschile e condita di testosterone. Dubitiamo fortemente che abbia elaborato il lutto in un modo più profondo.
Forse è questo che ciò più ci commuove. La perdita non solo di un genitore, ma di ogni definitivo scampolo di innocenza, e il prevalere della durezza come mezzo per reagire agli ostacoli della vita.
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2) Onesto con te stesso…
La condotta morale di Paperone si è sempre basata su una regola: essere onesto con se stesso, come gli aveva insegnato suo padre. Dovrebbe essere questa la ricetta per non perdere il filo della propria vita.
Da Il miliardario di Colle Fosco, facciamo un salto in avanti di un paio di capitoli (e di alcuni anni), e arriviamo a Il cuore dell’impero.
Questo episodio, l’undicesimo su dodici capitoli totali, rappresenta un tour de force di emozioni. I momenti struggenti sono tanti, ma il climax viene raggiunto verso metà.
Una volta stabilitosi con le sorelle sulla Collina Ammazzamotori, Paperone si fa vedere sempre più raramente al Deposito, e Matilda e Ortensia iniziano a risentire di questa lontananza.
Ciò le porta a insistere per farsi portare da Paperone nel prossimo viaggio d’affari che dovrà intraprendere.
Lì, però, il carattere spietato di Paperone – che non esita a mettere a ferro e fuoco un villaggio perché lo stregone capo Matumbo non glielo vuole vendere – le lascia allibite.
Le due prendono pertanto la drastica decisione di rientrare prima dal viaggio, lasciando a Paperone una lettera. Paperone non si aspetta minimamente che le sorelle lo abbiano “abbandonato” perché spaventate dal suo comportamento.
La lettera per il papero è come una doccia gelata:
“Caro Paperone, la tua vita non è stata facile, te ne sei andato di casa molto giovane, hai combattuto e hai vinto! Abbiamo cercato di giustificare la tua amarezza, il tuo cinismo! È stata la vita dura a renderti così! Ma, Paperone, non ci sono scuse per la disonestà! Torniamo a Paperopoli! Se cambi idea, sai dove trovarci. Matilda e Ortensia“
Proviamo a metterci nei panni di Paperone. Tutto ciò che ha fatto è sempre stato per la famiglia, senza possibilità di realizzare qualcosa per sé in primo luogo.
Da primogenito maschio, gli è toccato partire dalla posizione più bassa della catena alimentare e provare a risalire, con in testa un’idea di grandezza e nelle mani una serie di fallimenti più o meno impattanti. Tutto questo affrontando sempre le avversità da solo.
D’altro canto, gliel’aveva persino predetto Teddy Roosevelt che, per quanto appagante, la sua vita sarebbe stata solitaria.
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Non a caso, la prima volta che Paperone ottiene qualcosa – il filone minerario di rame dellla collina dell’Anaconda – nell’episodio Il re di Copper Hill, è costretto a rinunciarvi perché i suoi hanno bisogno che torni a casa per salvare il castello di famiglia, e a vendere la miniere per diecimila dollari a Marcus Daly e Howard Rockerduck.
Paperone vuole essere ricco tanto quanto ha paura di diventarlo. Lungo tutta la Saga ne abbiamo avuti tanti segnali, del resto. Nel settimo episodio, Il leggendario papero del deserto d’Australia, Paperone è tentato dall’idea di rubare un opale, che potrebbe risolvere facilmente i suoi desideri di ricchezza. La tentazione dura solo pochi istanti, prima che Paperone rida di sé e lasci perdere.
Anche ne L’argonauta nel fosso dell’agonia bianca Paperone, prima di scoprire la pepita uovo d’anatra, intrisa di fango, si pone degli scrupoli.
Paperone è conscio del cambiamento che comporta la ricchezza, così come sa che non smetterà di cercare e bramare nuove avventure, a prescindere da tutto. Sa da sempre che la ricchezza patrimoniale va difesa, va nutrita, va alimentata, e che il prezzo da pagare può essere alto.
Nonostante questo, alla domanda: “Ma io davvero voglio essere… ricco?“, Paperone risponde di sì, segnando un punto di non ritorno. E allora torniamo all’undicesimo capitolo, per guardare da vicino le conseguenze della sua scelta.
Il momento commovente
Paperone è rimasto solo, abbandonato dalle sorelle. Solo.
La propria amarezza nei confronti della situazione emerge e Paperone mette in dubbio la propria onestà, che lo ha sempre caratterizzato.
Ma ora? A cosa è servito sacrificare e sacrificarsi così tanto, per ottenere ciò che tutti si aspettavano da lui, per mantenere la sua famiglia, per dargli una vita migliore? Perché deve essere sempre Paperone l’esempio di rettitudine? Il miliardario ne ha abbastanza.
Ed è qui che la lotta interiore si fa struggente. Le versioni più giovani di Paperone gli parlano, cercando di farlo ragionare.
Non è giusto, dice Paperone! Non ce la fa, la sua coscienza lo sta assordando.
Si copre le orecchie, Paperone, e cerca di diventare sordo ai suoi rimorsi. Quanto è stata dura, la sua vita. Cosa ne sanno le sue sorelle, di cosa voglia dire lottare per i propri sogni? Troppo facile agire nella via della rettitudine quando non si ha nulla da difendere.
Ma Paperone è sempre stato un buono. Implacabile, certo, ma onesto. Soprattutto con se stesso.
Ed è qui che appare suo padre. E noi non possiamo che versare fiumi di lacrime di fronte a questa scena.
Paperone corre disperato, allora. Vuole scusarsi con le sue sorelle. Porre rimedio.
Purtroppo, sulla sua strada appare il Gongoro, la maledizione dello stregone Matumbo a Paperone per essersi preso gioco di lui e aver distrutto il villaggio.
Paperone, nel tentativo di sfuggirgli finisce al Polo Nord, a Wall Street, continua a fare affari e il suo proposito di far ritorno a casa si allontana di ben 27 anni. L’episodio “Il cuore dell’impero” è struggente, implacabile. Non ci dà respiro. A differenza degli altri, che si concludevano con una nota di speranza, magari agrodolce, stavolta la dura realtà ci viene sbattuta in faccia. Per questo motivo è necessario accennare anche al finale del capitolo, pur se abbiamo superato il momento struggente in seconda posizione nella nostra classifica.
“Un povero vecchio”
Paperone ritorna a casa, ma si è definitivamente chiuso in se stesso. Ignora la festa che tutta Paperopoli vuole celebrare in suo onore. Dimentica la ragione per la quale vuole riappacificarsi con le sue sorelle. Addirittura le ignora, quando dichiarano di voler mettere una pietra sopra le loro divergenze.
E noi lettori pensiamo che è diventato davvero il più duro dei duri. Esasperate da cotanto menefreghismo, le sorelle se ne vanno, giurando di non farsi più vedere, a meno che il fratello non si scusi. Queste scuse però non arrivano.
Paperone è rimasto di nuovo solo.
Ed è qui che, prepotente, si riaffaccia di nuovo la parte di Paperone più pura.
Dopo tanti anni il papero non ha ancora trovato pace, non ha ancora raggiunto un equilibrio che gli possa permettere di far coesistere tutti i lati del suo carattere. E giungono di nuovo, prepotenti, i ricordi.
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Paperone ha fatto tutto ciò che ha fatto, è diventato qualcuno solo per la sua famiglia. Questa consapevolezza riaccende Paperone, di nuovo.
Si alza, corre verso la porta, proprio come ha fatto qualche tavola prima, dopo aver pensato al padre, in un parallelismo in cui ciò che emerge è la disperazione di qualcuno che è vittima di se stesso, imbrigliato nella voglia di cambiare, ma privo degli strumenti per farlo.
Proprio come tre decadi (e qualche pagina) prima, il destino si fa beffe di Paperone. L’occhio gli cade su un regalo che il suo staff ha lasciato sulla scrivania, in cui gli viene rivelato che è diventato il papero più ricco del mondo.
Questo traguardo comporta però una grave perdita: la sua famiglia. Preso dai festeggiamenti, Paperone manca di nuovo le scuse con le sorelle.
Agghiacciante è la vignetta di Matilda che si asciuga le lacrime, rassegnata, mentre definisce suo fratello “solo un povero vecchio“.
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1) Diventare Zio Paperone
Arriviamo così all’ultimo capitolo della Saga di Don Rosa, all’ultima vignetta, che ci lascia commossi e con un senso di pace. E arriviamo, in parallelo, alla prima posizione della nostra classifica.
L’episodio Il papero più ricco del mondo rappresenta una svolta nella vita di Paperone. Il papero ottiene di nuovo ciò che ha sempre desiderato, una famiglia, e fa pace con la parte di sé che aveva finito di reprimere, quella più avventurosa.
C’è una ragione per cui Paperone non ha mai pagato nessuno per lavorare al posto suo. Il lavoro duro, sporcarsi le mani, raggiungere gli obiettivi, tutto ciò gli ha permesso di andare avanti.
L’incontro con i nipoti, quando ormai si era rintanato a marcire in una villa, quando ormai si era rassegnato a stare da solo, riaccende in lui il fuoco che pensava di aver perduto.
Si sente capito.
L’incontro con Paperino e i nipoti, del resto, sarà fondamentale per riappacificarsi in futuro con la sorella Matilda, nella struggente storia del 2004 Una lettera da casa.
Paperone, nel primo incontro con i nipoti, complice la circostanza di dover difendere il Deposito dai Bassotti, si sente rinato. La vignetta che chiude la Saga, per questo motivo, rappresenta uno dei momenti più commoventi.
Paperone non è ancora in pace con tutti. Come vedremo, negli episodi extra successivi, scritti e disegnati da Don Rosa, si ricongiungerà sia con Matilda che con Doretta Doremì, vecchia fiamma dello Yukon, convinta anche lei che Paperone sia sempre stato ricco di ricordi. Tuttavia, Paperone è già ora in pace con se stesso.
A differenza che ne Il cuore dell’impero, infatti, storia in cui ripensava alla propria infanzia felice ma perduta con tristezza e dolore, Paperone in questa tavola sorride, commosso, grato di tutte le esperienze vissute, che lo hanno portato a essere davvero ricco.
Ecco, forse anche con questa definizione Paperone si è definitivamente riappacificato: ha capito che la ricchezza propriamente intesa può declinarsi in tante sfumature e accezioni diverse, che fanno parte di lui e che finalmente possono coesistere in equilibrio.
Mentre Paperino suppone che tutto il denaro accumulato nel Deposito non sia altro che freddo e insignificante metallo, non possiamo che ridere di questa frase.
Perché noi, che per dodici episodi abbiamo accompagnato Paperone fra le brughiere scozzesi e il freddo di Dawson, fra il caldo africano e quello del deserto d’Australia, sappiamo che lo Zione – da adesso in poi sì che possiamo chiamarlo in questo modo – è sempre stato ricco, anzi, il papero più ricco del mondo.
Lidia Brancia
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