
La corte suprema statunitense ha “eliminato” il diritto costituzionale all’aborto, è questa la notizia che il 24 giugno ha sconvolto gli Stati Uniti e, di riflesso, il mondo intero. La situazione risulta però molto più complessa di come può apparire a una prima occhiata; la decisione della corte, ribaltando la storica sentenza Roe contro Wade del 1973, ha aperto una crepa fra gli Stati americani, che in queste settimane si stanno schierando tra pro-choice e pro-life. Alcune delle più grandi aziende americane si sono esposte sul tema, tra le prime c’è la Disney Company che, attraverso un portavoce, fa sapere che sosterrà le spese delle dipendenti costrette a cambiare Stato per abortire.
Le immediate conseguenze e la reazione della Company
Con effetto immediato la sentenza, rimettendo la disciplina sull’aborto ai singoli Stati, rende di fatto illegittima l’interruzione di gravidanza volontaria (come la conosciamo) in tredici Stati. L’aborto sarà quindi limitato a casi di natura eccezionale. Ma alcuni sono andati oltre, come l‘Arkansas in cui la nuova legge non prevede eccezioni neanche in caso di stupro e incesto.
Secondo un calcolo di Axios, il diritto all’aborto nella maggior parte delle forme rimarrà protetto in 16 Stati. Grandi aziende come Disney, Netflix e Apple, con dipendenti sparsi in varie regioni americane, di fronte ad una situazione del genere non potevano non esporsi. Per milioni di donne l’accesso all’interruzione di gravidanza diverrà complesso ed estremamente costoso, nel caso si debba cambiare Stato per poter accedere al servizio in maniera legale. Il tutto acuirà le enormi disparità sociali che già dilaniano il Paese: sono infatti le fasce più povere a ricorrere con maggior frequenza all’aborto volontario.
La Walt Disney Company si farà carico di tutte le spese per le dipendenti che dovessero aver necessità di spostarsi in un altro Stato per interrompere una gravidanza. La sede principale del colosso statunitense è in California, dove al momento il diritto è ancora garantito. Molte dipendenti si trovano però nella sede di DisneyWorld in Florida, Stato in cui dal primo luglio scatteranno le prime limitazioni. La questione aborto non è la prima a generare tensioni tra la Company e lo Stato della Florida.
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Un tema lungamente dibattuto
Gli Stati Uniti sono una Repubblica Federale di 50 Stati. Pertanto, ogni Stato detiene gran parte della sua sovranità. La Costituzione e di conseguenza la Corte Suprema, che si occupa della sua interpretazione, rappresentano il collante che unisce gli Stati e conferisce a tutti i cittadini americani i diritti fondamentali. Redatta sul finire dell’ottocento, la Costituzione Americana è la più antica carta fondamentale scritta e rigida ancora in vigore; non sorprende quindi che spesso e volentieri, per affrontare tematiche contemporanee, la Corte (vista la normativa che regola la sua composizione) debba basarsi su interpretazioni che possono apparire alquanto divisive. I padri fondatori, più di 200 anni fa, non affrontarono il tema del diritto all’aborto, come tanti altri neanche immaginabili o concepibili per gli intellettuali e giuristi dell’epoca. Per questo motivo, sino a una cinquantina di anni fa, furono i singoli Stati a regolamentare l’interruzione di gravidanza. Ovvero ciò che vedremo nuovamente accadere da ora in poi, in quanto la competenza in materia è ritornata esclusiva dei singoli Stati.
Dal 1973 l’accesso all’interruzione di gravidanza su tutto il territorio nazionale venne sancito con la sentenza “Roe contro Wade”. Nel 1970 Jane Roe (alias Norma McCovery) cita in giudizio lo Stato del Texas, rappresentato dall’ avvocato Wade, per affermare il suo diritto all’aborto. La causa approda alla Corte Suprema dove i giudici esaminarono la Costituzione in cerca di un emendamento che permettesse di decidere della questione. Il diritto all’aborto per libera scelta personale della donna doveva essere tutelato a livello nazionale?
La Corte Costituzionale si espresse sulla base del quattordicesimo emendamento, stabilendo che esiste un diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta. Tale diritto si applica a ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo e dunque anche alla scelta di avere o meno un bambino. Quindi la possibilità di abortire divenne da allora un diritto di tutte le donne americane.
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Scompare il diritto all’aborto: un fulmine a ciel sereno?
Il dibattito non cessò con la sentenza, restando al centro dell’opinione pubblica nei decenni successivi. Nonostante il parere della Corte Suprema, gli Stati più conservatori continuarono ad applicare limitazioni e restrizioni, al fine di ostacolare la pratica. Ma la sentenza poneva dei vincoli alla libertà di agire dei singoli Stati e molte restrizioni sono state di volta in volta annullate dalla Corte Suprema.
Dopo la nomina, durante la presidenza Trump, di tre giudici della Corte Suprema di indirizzo antiabortista, era chiaro che presto le cose sarebbero cambiate. Molti Stati repubblicani avevano infatti già preparato le leggi da far entrare in vigore dopo la sentenza. Con 6 giudici su 9 di indirizzo (ultra) conservatore, il diritto all’aborto è potrebbe essere solo il primo a vacillare. Prepariamoci a una rilettura in chiave conservatrice di molti diritti che i cittadini americani avevano iniziato a considerare acquisiti.
Nelle motivazioni della sentenza emerge infatti la volontà da parte della Corte di riconsiderare alcune importanti sentenze che regolano la contraccezione, le relazioni fra persone dello stesso sesso e il matrimonio gay.
La Walt Disney Company, in questo mutato contesto sociale, sembra abbia deciso di schierarsi per il movimento pro-choice, estendendo le polizze assicurative sanitarie anche ai viaggi e gli alloggi in altri Stati finalizzati all’esecuzione dell’interruzione volontaria della gravidanza.
A prescindere dalle opinioni personali in merito alla questione, è chiaro quanto le conquiste in tema di diritti civili siano fragili. L’America è stata spesso l’apripista di molte battaglie di civiltà, non è quindi da escludere che il vento conservatore si spanda anche sul resto dell’occidente.
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Maria Concetta Spampinato
Immagini: Il Post/Disney e aventi diritto
Fonte: Il Post