Calma! Dobbiamo calmarci e scrivere un commento maturo e ordinato sul nuovo film Disney-Pixar Red (Turning Red è il titolo originale), uscito l’11 marzo direttamente su Disney+. L’articolo riflette solo un’opinione personale dell’autrice e se non siete d’accordo dovete avere anche voi molta calma e… no, questo bisognava dirlo dopo!
Incominciamo da come si presenta il film. Il trailer ci ha promesso una buffa storia di trasformazione magica che riflette, in modo spumeggiante e surreale, i cambiamenti adolescenziali di una ragazzina come tante, che non possiede quel tipico stock di caratteristiche vendute come cool, ma lei non lo sa ed è cool lo stesso. Sì, andava detto prima, abbiamo rovinato tutto! AAARGH!
Mi è arrivato il panda rosso: Turning Red
“Turning red” significa “arrossire“. Può diventare rossa la luna, oppure diventano rosse le mutande quando le mestruazioni arrivano inattese (fingiamo che succeda solo la prima volta! N.d.A). “Arrossisce” anche chi prova emozioni così forti da scaldare tutto il corpo: si arrossisce di rabbia, di vergogna, per il pianto o per l’eccitazione – sì, anche sessuale. Succede anche a Mei, tredicenne sino-canadese protagonista di Turning Red, solo che, dopo essersi risvegliata una mattina da sogni agitati, con ogni forte emozione si ritrova trasformata in un enorme panda rosso.
Turning Red è un’opera fresca, esuberante e sfrontata di Domee Shi, già regista e sceneggiatrice del cortometraggio-premio Oscar Bao per i Pixar Animation Studios.
Alla personalissima visione di Shi, prima donna accreditata come singola regista di un film Pixar, si unisce quella della produttrice Lindsey Collins, della co-sceneggiatrice Julia Cho, della co-autrice Sarah Streicher, della scenografa Rona Liu e di Danielle Feinberg, supervisore agli effetti visivi. Queste professioniste costruiscono un credibile universo dominato dalla prospettiva femminile di Mei, rinnovando una lunga storia di narrazioni soprattutto maschili della Pixar.
Perché proprio il panda rosso?
La tenerezza viscerale del panda rosso di Domee Shi, morbido come un peluche e pigro come una teenager, è all’origine di una storia che rievoca l’adolescenza della regista, la sua famiglia e la sua cultura. Il panda rosso del film, che emerge con la pubertà e si associa a emozioni ballerine, è una metafora chiara… eddai, non l’avete capita? Il corpo peloso e ingombrante, l’improvvisa urgenza di sapone… sì, parliamo della crescita in generale, ma anche delle mestruazioni. Turning Red è il secondo film di animazione Disney a trattarle (dopo il cortometraggio didattico “The Story of Menstruation“) e il primo dove compaiono assorbenti.
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Il panda non rappresenta solo una trasformazione corporea, ma anche l’emotività, che per le adolescenti è un terreno altrettanto minato da pregiudizi e costrizioni. Le emozioni intense non sono per le “brave ragazze” ma sono bestiali, per non parlare di quelle “emozioni” che ci spingono a leggere troppi shojo manga, a disegnare fanart dall’erotismo preoccupante e ad “ampliare i nostri orizzonti musicali” attraverso boyband dove tutti i cantanti si chiamano Aaron.
Ogni adolescente trova in sé un mostruoso panda da nascondere, reprimere, preferibilmente eliminare: ma è possibile farlo? È questo l’unico modo di sopravvivere alla crescita?
Panda, non magia!
Un po’ come per Bao, gli elementi magici di Turning Red si fondono, con naturalezza onirica, nella quotidianità della Toronto piccolo-borghese del 2002. La nostalgia avanza per il pubblico ex young adult del film, chiamato a immergersi (di nuovo) fra Tamagotchi, cellulari a conchiglia, ciuffi emo e vampiri mezzi ignudi. Non esiste un grande ed elaborato “mondo magico” sovrapposto a quello reale, ma solo l’eredità, epica e prosaica allo stesso tempo, di una morigerata famiglia di immigrati cinesi. Quello che accade in Turning Red, attraverso la metafora della ragazzina-panda, è familiare e verosimile per l’interiorità di Mei, delle sue tre inseparabili amiche e di svariate adolescenti, alle prese con una doppia identità di figlie-adulte e/o divise fra due diverse radici culturali.
Tuttavia non è facile mantenere l’equilibrio fra l’accuratissima miniatura della vita di Mei e le potenzialità fantastiche del panda rosso, conservando sempre il ritmo scoppiettante da beatbox del film: nei momenti in cui la tensione viene a mancare, si insinua l’impressione che il panda non ne combini poi tante e che, “bollino verde” permettendo, potrebbe pure comportarsi peggio. Ma arrivando sino alla fine, il debito ai monster movies può considerarsi pagato e nessuna scintillante magia nasconde lacrime, sudore, peli, graffi, tendenza a dimenare le anche e a far rimbalzare la pancetta.
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Vale la pena vedere Turning Red (sì, non è una domanda)
Turning Red è una piccola, tenera e sfacciata rivoluzione a base di deodorante e patatine sbriciolate. La sua estetica anni 2000, raffigurata con dettaglio fotografico, rimanda all’espressività morbida, accesa ed esasperata degli anime, della Aardman Animations e di Lizzie McGuire. Ma soprattutto si ispira a ciò che siamo noi, a ogni nostra curiosa e imbarazzante parte.
Quand’è che quel feroce panda, dentro di noi, smette di devastarci la vita e seminare distruzione? Forse quando riusciamo ad accettarlo, col sostegno di chi non cerca di correggerci e dirigerci, ma ama tutto quello che siamo. E mentre il legame fra madre e figlia va verso un’inevitabile trasformazione, per fortuna ci sono le amiche (delle “soggettone” quanto noi). La regista Domee Shi, con il suo film profondamente intimo e bizzarramente personale, ha presentato il suo strambo panda al resto del mondo. E voi, ve la sentite di farlo?
Verina Romagna
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