Natale è per antonomasia la festività che spinge le famiglie a riunirsi attorno a una tavola imbandita, talvolta spontaneamente, talvolta in maniera forzosa. Durante il cenone si intrattengono anche discussioni sui più svariati temi, dalle faccende private fino ai dilemmi di considerevole importanza per l’umanità, tra i quali la necessità o meno di indossare maglioni raffiguranti renne durante l’intero periodo natalizio. Ma c’è un dibattito che più di tutti rimane congelato durante l’anno fino a posarsi sulle tavole italiane, puntuale, a ogni Natale: panettone o pandoro?

La disputa sorge principalmente a causa della presenza dei canditi e dell’uvetta nel dolce tipico milanese, ma, in realtà, c’è chi semplicemente preferisce l’impasto della controparte veronese. Alla fine, non si arriva mai a decretare quale sia il più buono e l’unica certezza è la difficoltà ad alzarsi dalla sedia, causa cena luculliana. Un’altra certezza è che questo quesito è diventato di rilevanza nazionale solo in tempi (relativamente) recenti, in quanto i due dolci, i cui prototipi risalgono più o meno allo stesso periodo del Basso Medioevo, sono rimasti per lungo tempo confinati nelle rispettive aree di origine.
In che modo, allora, le due preparazioni sono entrate a far parte delle tradizioni del resto dello Stivale e, soprattutto, quali sono le origini di queste due ricette, tra storia e leggenda? Ebbene, ci sono diverse fonti che rispondono a queste domande e la stessa Disney fornisce la sua personale versione sulla nascita del panettone in due delle tante storie che lo vedono protagonista. Sarà nostra premura in questo articolo riepilogarne alcune, ma prima un po’ di storia!
Le prime tracce storiche del panettone

Partiamo dalle prime fonti storiche, trascurando per un momento le leggende: Cristoforo Messisbugo nel suo Libro Novo del 1564 scriveva “e impastarai il tuo Pane, avvertirai bene che l’acqua o latte non scottasse e farai anchora che i Torli d’Uova fian caldetti […] e questo pane è più bello a farlo tondo, che intorto”.
Quello che sembra essere un solenne passo dell’Antico Testamento non è altro che la prima ricetta attestata del panettone, o almeno del suo antenato. Messisbugo era lo scalco della corte degli Este e nel suo libro consegna alle generazioni future una ricetta che contiene tutti gli ingredienti del classico dolce natalizio, nonostante quello non fosse esattamente il prodotto che conosciamo oggi, ma un preparato che rientrava tra i pani di Natale.
Perché, all’epoca, ingredienti che oggi si trovano nelle dispense di chiunque come lo zucchero e le farine raffinate erano, al contrario, destinati alle famiglie più abbienti e per gli stessi fornai erano di difficile reperibilità. L’eccezionalità di un pane addolcito e modificato dalle uova e dal burro risiedeva proprio nella rarità che caratterizzava gli elementi dell’impasto, tanto da garantirne la presenza a tavola solo nelle festività natalizie.
Il pane festivo è rintracciabile in tutta Italia
A onor del vero, i pani festivi erano diffusi su tutto il suolo della penisola. Si pensi al pangiallo laziale, al pandolce genovese o al panpepato umbro-toscano, o anche quello a quello veronese, il “nadalin” uno dei probabili antenati del pandoro. Tuttavia, saranno soltanto quest’ultimo e quello milanese a varcare la soglia delle rispettive città e a contendersi le tavole italiane.
A contribuire a un simile successo è stato senza dubbio la rivoluzione industriale che ha favorito i commerci su larga scala: nel corso dell’Ottocento i pasticcieri milanesi spedivano i panettoni ovunque rendendoli il regalo perfetto da scambiarsi tra famiglie borghesi. Casi emblematici riguardano Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi che ringraziano in una lettera il loro editore musicale Ricordi per essere stati fregiati del dono di un panettone.
Il pandoro è vecchio come gli Antichi Romani
Per identificare le prime tracce del “nemico” numero uno del panettone nel corso della storia si può cominciare a indagare addirittura dall’Antica Roma. Se ne fa menzione, in particolar modo, nel I secolo d.C. quando Plinio il Vecchio scrive di un “panis” che ha come ingredienti principali burro, olio e farina, ideato da un cuoco di nome Vergilius Stephanus Senex. Un “pan de oro” è inoltre rinvenibile anche nel XIII secolo sulle tavole dei nobili veneziani.
Ad ogni modo, le fattezze dell’odierno dolce veronese sembrano essere proprio un’evoluzione del succitato nadalin, pane natalizio che era servito a inaugurare il primo Natale sotto la signoria della famiglia Della Scala. Questo antenato del pandoro aveva una consistenza meno gonfia e più compatta e sicuramente non era a forma di stella: fu Domenico Melegatti nel 1894 a inventare il canonico stampo e ad aggiungere la lievitazione.
In effetti l’idea del pandoro come dolce natalizio sviluppato in altezza nasce proprio dal pasticciere e imprenditore veronese, che volle semplificare la ricetta, rimuovendo canditi, mandorle e tutto ciò che influenzava la lievitazione, fino a ottenere un prodotto che avrebbe sbaragliato la concorrenza. Quando nel 1919 Motta rielaborò la ricetta del panettone per renderlo alto e soffice, riprese in parte i principi e le novità che aveva introdotto Melegatti. In un certo senso, la ricetta perfezionata dello storico dolce con l’uvetta deve parte del suo successo al suo acerrimo nemico, il pandoro.
Topolino è team pandoro o team panettone?
Il fatto che le storie natalizie disneyane non abbiano praticamente come oggetto il pandoro forse fornisce qualche indizio sulle opinioni degli autori in merito al più feroce dibattito di Natale. Il panettone regna incontrastato su Topolino, ma c’è anche da dire che ognuna di esse porta la firma di uno sceneggiatore italiano. Infatti, nel contesto dei fumetti Disney il panettone non ha mai varcato il confine italiano, a differenza della realtà in cui invece viene venduto in altri Paesi.
Pico e il panettone da favola
Pico e il panettone da favola è una storia scritta da Nino Russo e disegnata da Giulio Chierchini e pubblicata su Topolino nel 1994. Come nelle migliori tradizioni italiane, tutta la famiglia dei paperi è riunita per il cenone natalizio di Nonna Papera, in occasione del quale Paperone distribuisce ai parenti dei panettoni, rigorosamente prodotti dalle industrie dolciarie PdP. Ciò fornisce a Pico lo spunto per il suo personale regalo di Natale, perfettamente in linea con il suo personaggio: il racconto delle origini del panettone, a suo dire frutto della magia e dell’amore. “Macché magia e amore! È frutto delle mie fabbriche” è la risposta risentita di Paperone, ma Pico è pronto a contraddirlo e incomincia la sua narrazione.
Il papero plurilaureato evoca la Milano del tardo ‘400, in cui il fornaio Paperetto (nelle vignette impersonato da Paperino) lavora per suo zio Paperun (interpretato da Zio Paperone, il cui nome modificato è un evidente richiamo ai suoni tipici di alcuni dialetti lombardi). Al pari della sua controparte contemporanea, Paperetto è caratterizzato da una certa maldestrezza, compensata però da una forte ambizione: aspira a vincere un concorso di pasticceria emanato dal corpulento granduca di Milano, per poter lavorare a corte.
L’imbranataggine del fornaio costringe però Paperun a licenziarlo, e a fornirgli come liquidazione semplicemente avanzi di farina, candidi, lievito, burro, zucchero e qualche uovo. Quel tanto che basterebbe per la ricetta di un ben noto dolce natalizio: il panettone.
La misteriosa Brisella e la sua ricetta magica
Ma Paperetto ancora non lo sa: torna a casa affranto con la pessima notizia da dare ai nipotini, quando si presenta alla porta una vecchia mendicante, Brisella della Cascina Luna, che aveva aiutato giorni addietro elargendole del pane all’insaputa dello zio. Questa donna gli suggerisce che quegli ingredienti messi assieme possono essere una fortuna e, infine, gli fornisce quella che sarà la ricetta vincente. Paperetto non ci pensa due volte, mescola, fa lievitare e inforna i giusti elementi che gli danno come risultato un dolce paradisiaco. Decide, dunque, di presentarlo alla gara: il granduca ne è entusiasta e gli chiede quale sia il nome di quel pane così delizioso. Paperetto arriva alla conclusione che in effetti è un pane molto grande e decide, per l’appunto, di chiamarlo “panettone”.
Quando Paperetto torna nel forno dove lavorava per ripagare tutti i debiti a Paperun, gli racconta tutta la storia, compresa Brisella e, proprio grazie allo zio, scopre che era morta da molto tempo e la Cascina Luna era bruciata quarant’anni prima. La scomparsa della donna, seppur esplicitata molto delicatamente, rappresenta uno dei rari casi in cui il concetto di morte ha fatto capolino tra le pagine di Topolino.
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Topolino e la leggenda del panettone
Topolino e la leggenda del panettone, storia del 1986 sceneggiata da Bruno Sarda e disegnata da Massimo De Vita, vede Zapotec e Marlin bramosi di conoscere chi ha contribuito maggiormente al progetto del Duomo di Milano. I due incaricano delle indagini Topolino e Pippo, spediti con la macchina del tempo nella Milano del 1300, precisamente nel giorno in cui il duca Gian Galeazzo Visconti approvò, durante una cena di Natale, la realizzazione della struttura.
Topolino e Pippo creano il panettone
Giunti in città, i due protagonisti si ritrovano alle dipendenze del pasticciere di corte, Brambilla, il cui nipote Angelo, falegname, vorrebbe presentare al duca il progetto della Cattedrale. Tuttavia, quest’ultimo non viene preso in considerazione a causa della sua scarsa istruzione e del suo lavoro umile, nonostante il modellino da lui costruito sia niente di meno che l’esatta riproduzione in scala del Duomo come lo conosciamo oggi.
Fortuna vuole che la ricetta insegnata a Topolino e Pippo per preparare i pandolci natalizi (piccoli e poco lievitati) finisce per essere modificata involontariamente dai due nuovi garzoni, fino a far lievitare i pani a dismisura, ottenendo, di fatto, il tipico panettone con i candidi.
Il panettone di Topolino come il cavallo di Troia

Le dimensioni spropositate del dolce si prestano per contenere il modellino, così da farlo recapitare al duca durante i festeggiamenti, quasi come se il panettone fosse una sorta di cavallo di Troia. Il duca scopre il modellino e sceglie il progetto di Angelo per la costruzione del Duomo. Non solo: trova così gustoso il panettone da indicarlo come dolce festivo per tutti i Natali a venire.
Alla fine della storia, secondo questa versione disneyana, sono Pippo e Topolino ad aver inventato il panettone, le cui origini sono strettamente intrecciate a quelle del Duomo.
Super Pippo e il Natale salvato
Come dicevamo, a Natale c’è chi odia il Panettone. In Super Pippo e il Natale salvato, pubblicata su Topolino nel 1992 con i testi di Nino Russo e i disegni di Sergio Asteriti, gli scienziati Frio e Kalor mettono a punto un macchinario in grado di congelare o incenerire i panettoni di una nota azienda dolciaria di Topolinia, al fine di esigere un riscatto di un milione di dollari.
Super Pippo tenta di impedirlo catturando i due malfattori, ma alla fine è lui stesso a venire congelato e i due, che non si sentono presi sul serio, decidono di dar prova della loro perfidia mettendo in atto la minaccia. Tutti i panettoni della fabbrica Ke-bon diventano ghiaccioli ormai immangiabili. Ciò causa un disastro, in quanto la città è a corto di panettoni e la storia, per qualche vignetta, viene calata in un contesto distopico in cui i cittadini sono schiavi del consumismo e il mercato nero degenera: un uomo tenta di vendere panettoni al quintuplo del loro valore.
Nonostante continuino i ricatti alle altre fabbriche di dolci della città, Super Pippo non si scoraggia e, dopo vari tentativi, indossando una sfavillante giacca di lustrini fornitagli da Clarabella, riesce a riflettere il raggio inceneritore volgendolo contro Frio e Kalor.
Colpa di uvetta e candidi?
Una volta catturati, spiegano le ragioni di tanto astio nei confronti del famoso dolce natalizio e, no, non risiedono nei candidi e nell’uvetta, ma nella disastroso panettone che il cuoco del collegio in cui i due criminali vivevano da bambini obbligava a trangugiare.
Nonostante i due ormai siano al fresco, la gente è ancora in tumulto. È a questo punto che Super Pippo decide di unire tutti gli ingredienti per il panettone in un enorme silos. Dopodiché, servendosi dei raggi “calorifici” dei due scienziati, lo cuoce fino a creare un dolce gargantuesco, che soddisfa tutte le richieste della città.
Paperino e il panettone agostino
Parlando di scorte di panettoni e consumismo, Paperino e il panettone agostino, storia scritta da Nino Russo, disegnata da Alessandro Gottardo e pubblicata nel 2006 su Topolino, ha come oggetto proprio la produzione di massa delle industrie di panettoni PdP, che sono già al lavoro nonostante l’estate sia ancora in pieno corso. Sfortunatamente, un milione dei panettoni già sfornati sono stati conditi con il sale invece dello zucchero.
Approfittando di un’insolita intraprendenza lavorativa di Paperino e Paperoga, lo Zione affibia loro (con l’inganno) l’incarico di smaltire i dolci malriusciti, tra l’altro in pieno agosto.
L’intervento di Gastone
Il caso vuole che il cugino Gastone sia nei paraggi per canzonarli come suo solito, ma sarà proprio la sua arroganza a inchiodarlo nel contratto dello zione. I due cugini sfidano la sua buona stella, sostenendo che non sia abbastanza efficace da vendere dei panettoni con il caldo estivo. Gastone non permette una simile insolenza e si fa carico dell’impegno per dimostrare che hanno torto.
Nel giro di qualche ora, il papero più fortunato del mondo trova un biglietto di andata e ritorno per le Isole Baguettes, in cui il pane non viene più comprato da quando Paperone, che ne detiene il monopolio, ne ha fatto lievitare (è il caso di dirlo) sensibilmente il prezzo. Inutile dire che Gastone riuscirà a vendere i panettoni, i quali, in quanto salati, sono scelti dagli abitanti del posto come sostituti del pane.
Zio Paperone nababbo di Natale
Nelle vicende di Zio Paperone nababbo di Natale (scritta nel 2002 da Stefano Ambrosio per i disegni di Silvia Ziche), il Natale è vissuto dallo Zione con sentimenti contrastanti. Da una parte la solita corsa per surclassare il rivale Rockerduck, dall’altra il malcelato amore per la sua famiglia e per i suoi nipoti.
Qualche giorno prima di Natale Paperone è al club dei miliardari dove si tiene un contest nel giorno della vigilia per eleggere il “nababbo di Natale”, cioè colui che ha venduto più prodotti natalizi e, come prevedibile, a contendersi il titolo sono lui e il suo storico rivale, Rockerduck.
Paperone vende articoli tradizionali, Rockerduck spinge per prodotti più orientati verso l’innovazione. Dunque questa competizione va oltre la classica rivalità tra i due paperi e fa scendere in campo ciò che è vecchio e garantito e l’incertezza delle novità in una lotta il cui esito, a differenza del solito, non è affatto scontato.
Il valore della tradizione
Il Vecchio Cilindro si accorge di aver trascurato un settore in particolare, quello dolciario, e Rockerduck vende panettoni stracolmi di canditi a quantità ingenti. Ed è qui che il valore della tradizione si fa sentire: Paperino involontariamente suggerisce allo zio di produrre panettoni dalla ricetta originale di Cornelius Coot, cioè senza canditi e con tanta glassa (versione che in realtà potrebbe provocare un malore ai lettori di Topolino amanti del panettone classico). La pubblicità PdP, a conferma dei vecchi valori di Paperopoli di cui Cornelius Coot è il fondatore, recita “scegli la tradizione! Panettone senza candidi PdP! Una bontà… storica!”
Con questa trovata, Paperone risale la vetta del punteggio, ma, alla Vigilia, scopre che è primo a pari merito con Rockerduck e, a meno che a pochi minuti dalla chiusura dei negozi qualcuno non compri anche solo un articolo per far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra, entrambi verranno dichiarati vincitori. Inoltre, lo Zione, assieme ai nipotini che lo aspettano per andare insieme a cena con il resto dei parenti, scopre che il vincitore dovrà pronunciare il discorso del nababbo allo scoccare della mezzanotte, impedendo al plurimiliardario di partecipare al cenone. La Vecchia Tuba, a questo punto, è ostinata a vincere: arriverebbe addirittura ad acquistare lui stesso un prodotto PdP, senza farsi alcuno scrupolo e dimostrando di non dare importanza alla ricorrente cena di famiglia. I nipotini lo accusano di essere un imbroglione e, ancora peggio, un gelido calcolatore che, pur di vincere, rinuncerebbe a passare del tempo con i suoi affetti.
Più tardi, durante la cena, Paperone bussa alla porta con un panettone tra le mani e racconta agli astanti della vittoria di Rockerduck. Sembrava poco probabile, ma poi Paperino nota i canditi nel dolce e tutti si rendono conto che era stato proprio il vecchio taccagno a comprare l’articolo natalizio decisivo per la vittoria del suo rivale, con il solo scopo di rendere omaggio ai suoi parenti e festeggiare la Vigilia con loro. Una sorta di conversione di dickensiana memoria, già presente in molte storie a tema della Disney, sia in ambito cinematografico che fumettistico, e che predispone a un insolito trionfo di Rockerduck.
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Topolino e il panettone dell’imperatore
A proposito di nababbi, in Topolino e il panettone dell’imperatore, storia scritta nel 1959 da Guido Martina e disegnata da Giulio Chierchini, fanno capolino molti personaggi della Banda Disney, sia topi che paperi.
Paperone invia Paperino e i nipotini a ritirare in India un omaggio a lui indirizzato dal rajah di Barbabuk. Arrivati nel subcontinente, i paperi vengono a conoscenza della legge 1313 (chiaro presagio di sventura) del nuovo codice del regno: i quattro paperi cavalcavano un elefante, animale considerato sacro e, pertanto, vengono condannati a morte… per impalamento. Tra varie peripezie e inseguimenti riescono finalmente a raggiungere il palazzo del rajah il quale consegna loro il dono, ossia un panettone di cinque chili.
A questo punto, Paperino e i nipotini sono liberi di ripartire, stavolta risalendo il Gange su una barca giungendo all’aeroporto di Benares dove, per risparmiare, si imbarcano su un aereo sgangherato. Inutile dire che, dopo pochi chilometri, il catorcio li fa naufragare e, nel trambusto, perdono il dono “da nababbo”. Decisono quindi di sostituire il panettone con uno dalla simile mole.
Topolino recupera il panettone
Ed è proprio in pasticceria che Paperino incontra Topolino a cui racconta tutta la storia. Il Topo decide di accompagnarli al deposito così da chiedere a Paperone un obolo per i bambini poveri. Quest’ultimo gli viene negato, tuttavia, lo Zione si propone di regalare loro il grosso dolce, per lui inutile, alla festa di Minni per i suddetti orfanelli. Topolino va via insoddisfatto e, grazie all’immancabile spunto di Pippo, pianifica di recuperare il panettone che stranamente, anziché galleggiare, si è inabbissato.
Quando Paperone si presenta alla festa e vuole onorare la sua promessa, Topolino tira fuori il pesante panettone… pesante perché fatto di oro massiccio e gioielli. A questo punto, Paperone reclama il prezioso oggetto, tuttavia, al di là di ogni aspettativa, fa dono agli orfani del corrispettivo in denaro del suo valore. Così anche questa storia dall’ambientazione non proprio natalizia (seppur venne pubblicata nella settimana di Natale) ha il suo lieto fine, che contempla anche in questo caso la conversione dell’avaro.
Topolino e il panettone artigianale
Sempre parlando di scambi di panettoni dall’elevato valore, Topolino e il panettone artigianale (scritta nel 1990 da Carlo Panaro e disegnata da Giampiero Ubezio) narra di una Vigilia di Natale in cui Gambadilegno sembra essere nel pieno dell’ennesimo losco piano. In particolare, si intrufola nelle case di alcuni cittadini che hanno acquistato dei panettoni (e di cui ha una lista) tra i quali ritiene ce ne sia uno di suo interesse e in cui probabilmente è contenuto qualcosa di valore, richiamando vagamente la ricerca dei vinili di Rick Purcell in Topolino e l’unghia di Kalì. Sfortuna vuole che il prossimo della lista sia Topolino. Da questo momento in poi iniziano una serie di tentativi di ingannarlo per impadronirsi dell’agognato dolce.
Dopo una serie di discutibili tentativi di farsi consegnare il dolce, Gambadilegno decide di travestirsi da un ispettore sanitario che ha ricevuto una segnalazione su una partita di panettoni non conformi alle norme sulla sicurezza alimentare. Topolino però è ancora sospettoso, per cui Pietro, a questo punto, confessa che cercava quel preciso panettone perché vi era finito per sbaglio il regalo di Natale per Trudy, con allegata una poesia su cui aveva lavorato un mese intero. Topolino, allora, scopre che nonostante i suoi metodi fossero loschi, il fine era nobile, dunque rinuncia al panettone e lo consegna a Gambadilegno, garantendo anche al suo eterno rivale un felice Natale.
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Le leggende che hanno probabilmente ispirato le prime due storie
Attorno alla figura ormai mitologica del panettone aleggiano due leggende distinte, di quelle da ascoltare proprio godendosi un pezzo del suddetto dolce, e rigorosamente a Natale.
Ughetto e Adalgisa
La prima leggenda è una storia d’amore, di quelle che scaldano il cuore ai romantici e fanno venire il diabete ai più cinici, come del resto accade se si mangiano troppi dolci. Ai tempi di Ludovico il Moro viveva un giovane di buona famiglia, figlio di Giacomo Degli Atellani, il cui nome era Ughetto. Era profondamente innamorato di Adalgisa, la figlia del fornaio la quale, però, era troppo umile, per cui il signor Atellani ostacolava un eventuale matrimonio.
Ad aggravare la condizione della giovane c’era il fatto che il forno della sua famiglia non godeva di buona fama. Ecco perché Ughetto decise di farsi assumere dal fornaio come garzone: voleva rendere la bottega un luogo di pregio così da migliorarne le reputazione. Si impegnò così tanto da iniziare a sperimentare nuove ricette: la prima che gli riuscì particolarmente bene era volta a rendere più gustoso il loro pane, aggiungendo burro e zucchero.
Non essendo, però, ancora perfettamente soddisfatto decise di aggiungere anche candidi di cedro e uova e, così, ottenne un pane talmente buono e gustoso da conquistare l’intera città e da far diventare il forno la bottega più famosa. Esattamente come Paperetto, Ughetto chiama il suo dolce “panettone” giocando proprio sul fatto che sia un “pane grande”. A questo punto il signor Atellani non ebbe più ragioni per impedire il matrimonio tra il figlio e Adalgisa e, dunque, arrivò il lieto fine.
“L’è ‘l pan de Toni”
La seconda leggenda è, invece, di ispirazione per entrambe le storie Disney sulle origini del panettone. Questa volta la storia comincia alla corte di Ludovico il Moro, dove si celebrava la tradizionale cena di Natale in cui si radunavano i nobili per ricchi e lauti festeggiamenti. Nelle cucine, tutti i servi erano in fermento per preparare le vivande, ma qualcosa andò storto per via di un certo Toni il quale era incaricato di sorvegliare i dolci che erano in forno.
Toni, essendo stanco e stremato, si addormentò nel bel mezzo del suo lavoro facendo bruciare proprio il dolce principale. Preoccupatissimo per le reazioni dei suoi padroni decise, in fretta e furia, di arrabattare degli ingredienti avanzati e riparare al suo danno: pasticciò uova, burro, canditi, e uvetta e li aggiunse agli avanzi dell’impasto delle ciambelle che ovviamente contenevano farina e zucchero. Lo mise a cuocere e, una volta pronto, un po’ intimorito dalla reazione del cuoco, glielo sottopose.
Con sua grande sorpresa quest’ultimo, nonostane fosse un po’ scettico sul successo che avrebbe potuto avere quel dolce improvvisato sulla grande tavola natalizia, si ricredette subito quando osservò i commensali gradire molto la nuova ricetta. Quando Ludovico il Moro chiese al cuoco come si chiamasse il dessert, lui rispose “l’è ‘l pan de Toni”, da cui poi deriverebbe il celebre nome “panettone”.
Il panettone nel cuore degli italiani
In conclusione, possiamo dire che, qualunque siano le reali origini di questo dolce, esso è entrato nel cuore degli italiani diventando simbolo della tradizione, al pari della pizza e della pasta. Non è un caso che si sia creato il neologismo “cinepanettone”, termine comunque non proprio gratificante, per identificare un genere cinematografico genuinamente italiano che ha come oggetto il Natale.
A riprova di ciò ci sono delle vignette del Corriere dei Piccoli che risalgono al 1924. Questa rubrica, nella settimana del Natale, era solita dedicare una pagina a una storia festiva e in questo numero il protagonista è proprio il panettone, a testimonianza del fatto che era un dolce già noto oltre i confini di Milano.

I protagonisti sono zia Carlotta, Kikì e un pappagallo parlante. L’autore, Antonio Rubino, narra che la zia in questione, volendo fare una sorpresa al nipote, inserisce nel panettone il pappagallo affinché spunti fuori al momento opportuno ed esclami “Buon Natale!” così come gli aveva insegnato.
Una storia semplice ma che riflette una cultura che ha già accolto a braccia spalancate, ovunque sul territorio italiano, il dolce originario del Nord Italia e ha fatto sì che arrivasse a noi che, anche satolli dell’ennesimo pezzo di lasagna, troviamo sempre un angolino nello stomaco per mangiarne un pezzo.
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Martina Cerilli
Immagini © Disney, Mondadori, RCS
Fonti:
10 fumetti sul panettone – Fumettologica
Panettone – Wikipedia
Storia del panettone, il lievitato dolce e tondo nato nel 1500
Pandoro – Wikipedia
Melegatti – Wikipedia