Quante volte ci siamo domandati come mai l’ispettore Manetta non porti più alle labbra il sigaro? Oppure, come mai nel corso degli anni la serialità delle storie è aumentata in maniera esponenziale? E perché alcuni storcono il naso vedendo un Gastone meno fortunato? Tutti quesiti che possono essere rivolti a un’unica persona, il direttore di Topolino Alex Bertani. E così abbiamo fatto.
Benvenuto, Alex Bertani. Da quasi tre anni sei al timone di Topolino. Come giudichi il tuo operato finora e, se dovessi guardare indietro, cambieresti certe scelte oppure confermeresti tutto quello che hai fatto?
“Il giudizio dovrebbero sempre darlo i lettori, è l’unico che veramente conta. Posso dire che ho sempre cercato di fare le cose nel modo che mi sembrava migliore, ma, come sempre nella vita, si possono fare anche valutazioni errate. Sì, se avessi la macchina del tempo, sicuramente alcune scelte non le ripeterei o perlomeno correggerei un po’ il tiro, anche a causa di un minimo di inesperienza forse.
Diciamo però che tutto si può dire tranne che non ascolti i pareri delle altre persone, non è certo un problema mettermi in discussione e fare autocritica e, se opportuno, tornare sui miei passi. L’ho fatto diverse volte. Tra l’altro sono un direttore anomalo, vengo da esperienze diverse, ho studiato economia e mi sono sempre occupato di marketing (credo di essere il primo direttore di Topolino non-giornalista).
Per contro porto ‘in dote’ decenni di onnivore letture fumettistiche e una grande passione per il fumetto. Insomma… dopo tanto tempo passato a lavorare ‘in sala’ ho voluto provare anche ad ‘andare in cucina’, là dove si preparano i piatti!”
Una delle tante evoluzioni che abbiamo visto recentemente su Topolino è una maggior presenza di personaggi adolescenti e in un certo senso nuovi (come Newton Pitagorico). Da cosa è motivata questa scelta?
“Topolino ha sempre avuto due fasce di lettori: quello più giovane, dei ragazzini che arrivano alla lettura con Topolino e che va più o meno dai 7 fino agli 11 anni (che rimane il target di riferimento); e quello più adulto, fatto spesso da persone che hanno letto il giornale nel passato e hanno continuato a conservare questi personaggi e questo universo nel loro cuore.
È un dato importante e che influisce molto sulla produzione dei contenuti del giornale (a fumetti e non): è infatti ovvio che per i lettori più giovani sia più facile e più immediato immedesimarsi e provare empatia per quei personaggi che li rappresentano di più, è una parte a cui per me è impossibile non prestare attenzione. Senza dimenticare il resto, ovvio… ma senza neanche trascurarla.
Attorno a questi personaggi più giovani abbiamo lavorato e stiamo lavorando molto. Per esempio Newton è un po’ un mio pallino, ho sempre avuto l’idea che fosse un personaggio con grosse potenzialità inespresse. Ci ho investito molto e devo dire col senno di poi sono abbastanza contento di questa scelta. Contrariamente a quello che si dice, non sono un gran sostenitore del ‘Facciamo vedere i personaggi nel periodo della loro giovinezza’: in 3 anni di direzione mi sembra che solo la serie ‘Topolino le origini‘ si sia basata su questo concetto (le altre cose simili uscite le ho ereditate).
Mi interessa molto di più raccontare l’attualità dei characters più giovani e di farlo in storie in cui esista una forte interazione con gli adulti. Anche il discorso di differenziare Qui, Quo e Qua e Tip e Tap va alla fine in questa direzione: sono personaggi che, a mio modo di vedere, per diventare più credibili e vivi hanno bisogno di una loro fisionomia e psicologia, e di sviluppare un loro profilo personale.
La rappresentazione che spesso si è fatta di loro come personaggi-fotocopia mi sembra un po’ superata. Peraltro, una volta che avremo gradualmente costruito una loro identità narrativa più autonoma, sarà più facile dare ricchezza al racconto e costruire trame più articolate e intriganti.
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I personaggi Disney possono essere approfonditi in tantissimi modi, perché un po’ rappresentano la complessità umana.
“Assolutamente sì, rappresentano spesso valori che sono universali e condivisi. Ho sempre pensato che fosse un peccato non approfondirli e limitarsi a utilizzarli in modo superficiale o bidimensionale. A volte si è descritto Zio Paperone solo come un ricco avaro, Paperino come uno sfaticato con poca voglia di fare o Gastone come il papero fortunato e basta. Nulla di più falso.
Questi personaggi sono vivi, hanno spessore e una loro complessità narrativa, e se li racconti così è perché forse non sei capace di descriverli e raccontarli diversamente. Mi piace l’idea di scavare e tirare loro fuori delle cose. Lo stesso che accade quando leggi le storie dei grandi autori Disney. Sono quelle le storie che restano più nei nostri ricordi, credo. Però per farlo serve tirarsi su le maniche e lavorare sodo.”
Hai citato Gastone e ci viene da pensare anche a Gambadilegno, due personaggi che hanno subìto evoluzioni veramente importanti. Ciò ha sollevato delle critiche: c’è chi giudica Gambadilegno troppo bonaccione e chi guarda a Gastone come a un personaggio meno antipatico di com’è in realtà. Come rispondi a queste critiche? Sono fondate?
“Mah… sì! Penso sia oggettivo. Mi ricollego un po’ anche alla risposta precedente. Credo tu ti riferisca alla, per me bellissima, storia di Gastone (‘La solitudine del quadrifoglio’ ndr.) uscita recentemente: una storia forte, che lo ha descritto con maggiore profondità e con un pizzico di verosimiglianza in più. Mi sembra lo abbia reso più vivo, lontano da stereotipi, come detto prima, più bidimensionali. Qualcuno ha obiettato che così Gastone diventa meno antipatico, come se questo fosse un problema.
Non saprei bene cosa replicare, se si legge questa storia con attenzione non c’è nulla che contraddica quanto uscito fino ad oggi su di lui: la sua fortuna è intatta e anche il suo rapporto con gli altri personaggi, alla fine si modifica il giusto. Semplicemente impariamo a conoscerlo di più e a capire meglio certi suoi atteggiamenti.
Poi uno può anche pensare che i personaggi dei fumetti debbano essere sempre immobili e immutabili nel tempo. Io credo sia un grosso errore, i personaggi evolvono… sempre. Se pensiamo ai grandi autori della tradizione del fumetto Disneyano, il loro essere diventati dei maestri è spesso legato alla loro capacità di essere riusciti a raccontarci questi personaggi sotto una luce diversa, con sfumature nuove e mai esplorate prima, in una parola a farli crescere, pur rimanendo coerenti con il loro profilo.
Mi piacerebbe continuare su questa strada, e di farlo anche per altri personaggi (vi segnalo a breve un grande lavoro di ricostruzione che faremo su Macchia Nera) per cercare di arrivare a una loro rappresentazione sempre più moderna e intrigante. I lettori di oggi sono sempre più esigenti e disincantati. Capisco che per alcuni lettori certe storie potranno sembrare spiazzanti, ma credo che alla fine si affezioneranno anche a queste evoluzioni. Il mondo cambia, noi cambiamo, i gusti e la consapevolezza del lettore anche. Francamente non capisco perché il fumetto dovrebbe restare sempre fermo, immobile ed eternamente replicante di se stesso.”
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Prima hai detto che Topolino è un fumetto che ha un pubblico abbastanza eterogeneo. Ci viene da pensare all’influenza di Ventenni Paperoni sul vostro lavoro, per esempio quando è stata realizzata una storia di Paperino Paperotto e dei suoi amici da grandi, un desiderio recondito della community da tanti anni. Quanto influiamo sulle vostre decisioni editoriali? E già che ci siamo, le storie di PP8 da grande torneranno?
“Personalmente ho l’abitudine di ascoltare e leggere molto di fumetto, e ovviamente leggo anche le vostre cose (articoli, recensioni, interviste), come anche quelle di altre community disneyane. Lo faccio perché tra voi ci sono persone anche attente e preparate. A volte ne traggo spunti buoni, sarebbe stupido non tenerne conto o non valutarli, e parlo anche (e soprattutto) delle critiche.
A prescindere che sia d’accordo o meno, sono comunque opinioni con cui mi piace confrontarmi. Quindi la risposta è sì, siete persone animate da una grande passione (e in questo mi rispecchio molto) e a volte, da grande competenza, sarebbe poco accorto chiudersi sotto una teca di vetro. Per rispondere invece alla tua ultima domanda, al momento non sono in programma altre storie con PP8 da grande.”
Hai detto che ascolti molti input esterni, e uno degli input che abbiamo raccolto riguarda la serialità delle storie su Topolino. C’è questa percezione che rispetto al passato siano aumentate tanto, che se decidi di comprare un numero di Topolino, necessariamente devi comprare anche il successivo. Secondo te questa percezione è fondata e, se sì, come mai la scelta editoriale di creare così tante storie seriali?
“Sì, è fondata. Se fosse per me, Topolino avrebbe ogni settimana cinque storie a puntate [ride, ndr]. Scherzi a parte, quando tu hai davanti 70/100 pagine, hai lo spazio per poter costruire storie con una certa struttura, che possono approfondire e affrontare anche temi più complessi, non sei obbligato a correre per chiudere tutte le trame e le sotto-trame che hai aperto. Ti puoi permettere una narrazione con ritmi e tempi un po’ migliori a mio parere.
Quando hai 20 pagine, puoi solo fare la storia di 20 pagine, che può anche essere un capolavoro, ci mancherebbe, ma sicuramente rischi di giocare al ribasso sulle cose che vuoi esprimere. Trovo che nelle storie più lunghe ci sia la possibilità di raccontare di più, meglio e più in profondità, che ci sia il tempo di affezionarsi e conoscere meglio i personaggi, anche a quelli secondari.
Quindi prediligo questo tipo di storie, poi capisco che Topolino è fatto anche di altro, e per tradizione e sua struttura deve proporre anche storie più leggere, brevi, corte, cortissime, anche di 6/10 pagine, a volte quasi semplici gag. Però se vogliamo anche cercare di volare più alto con storie di eccellenza e di qualità, lo spazio a disposizione per me è una variabile determinante.
Peraltro non credo che sia vero, come alcuni sostengono, che questo allontanerebbe i lettori dal giornale. Anzi, il grande successo del format ‘serie TV’ rispetto anche ai classici film credo vada nella stessa direzione. La gente è ormai abituata a fruire di storie più lunghe e articolate, e ha dimostrato di apprezzare fortemente questo tipo di struttura del racconto. Nell’ultimo anno Topolino ha fatto registrare un sensibile aumento nelle vendite e nella fidelizzazione dei lettori.”
Negli ultimi mesi avete annunciato tanti bei progetti, come PK. C’è qualcos’altro che bolle in pentola per altre collane parallele?
“Ce ne sono sempre molte, la redazione Panini è sempre una pentola in continua ebollizione. Anche perché il catalogo Disney è vasto e ci sono tante cose che meritano di essere valorizzate. Sono appena usciti l’Almanacco Topolino, che contiene in buona parte delle storie prodotte all’estero (che in genere non arrivavano in Italia) e la collana delle Graphic novel di Glenat con un fior fiore di autori, fra cui gli italiani Camboni e Petrossi, che pubblicheremo in modo integrale e con contenuti aggiuntivi rispetto all’edizione francese. La prima uscita di Mickey e l’oceano perduto ha avuto un successo straordinario e francamente non prevedibile.
Abbiamo poi diverse altre cose nuove che bollono in pentola, ma stiamo cercando di valorizzare le collane uscite negli anni passati come Papersera, e Il Manuale delle Giovani Marmotte che recuperano anche storie molto vecchie (anche qui spesso prese dal bacino della produzione estera) e solitamente molto difficili da pubblicare, anche a causa di materiali di stampa originali spesso andati perduti.
A luglio arriverà poi una nuova testata incentrata sui supereroi Disney (tutti, da SuperPippo a Paperinik e da Darwing Duck a PaperBat) e che amplierà ulteriormente questo bacino di pubblicazioni. Continueremo poi a recuperare nella collana Topolino Gold alcune storie del passato particolarmente significative, mentre su Topolino Extra riprenderemo alcune delle saghe più rappresentative di Topolino degli ultimi anni: entrambe in un formato libro, di grande formato e con una serie di contenuti extra che ne approfondiscono la lettura (interviste agli autori, studi preparatori, pagine di sceneggiatura e via dicendo).
Venendo alla tua domanda poi, è appena uscito il primo volume della richiestissima ristampa di MMMM, una serie eccezionale a mio modo di vedere. Non va poi dimenticato che da inizio 2021 una selezione di volumi Panini/Disney è disponibile anche in libreria, tra cui diversi volumi che inizieremo a produrre ad hoc per quel canale (tra cui alcune belle novità e riscoperte).
Senza dimenticare che sta continuando a gonfie vele anche la riproposizione in volumi di prestigio dei grandi classici del fumetto Disney (Taliaferro, Gottfredson, Don Rosa). Anche qui, proprio in questi giorni, stiamo progettando nuove uscite. Ci sono tante cose che si possono fare e cerchiamo chiaramente di avere un’offerta che sia la più varia possibile, anche perché il nostro pubblico, come detto anche prima, è formato da tante anime diverse.”
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Ci hai anticipato la domanda sulla produzione internazionale, mi hai già risposto. Nel futuro ci sarà nuovamente spazio per Marco Rota, anche con cose inedite?
“Sì ad entrambe le domande. Marco continuerà a lavorare con noi. Da un lato stiamo recuperando pian piano le cose che ha realizzato negli anni passati per Egmont, ma dall’altro anche producendo con lui storie nuove.”
Uno dei grandi temi di cui si parla è la censura. Ad esempio ci viene da pensare a Manetta senza sigaro oppure alle pistole finte. Sono decisioni editoriali autoimposte, volute, sofferte e perché sembra sia una limitazione italiana?
“Domanda molto complessa. Tutte le company sono dotate di codici di autoregolamentazione che regolano i contenuti prodotti dalle stesse, o, come nel nostro caso, che i suoi licenziatari producono. Soprattutto nel panorama americano, molto più sensibile del nostro a questi temi e in particolare se si parla di prodotti rivolti anche ai minori.
Le storie di Topolino vanno in mano anche e a un pubblico di ragazzini dai 7 anni in su, ed è ovvio che ci sia attenzione a certe tematiche e che determinati argomenti siano in qualche modo adeguati a questo target. Ci sono quindi una serie di cose che per ‘policy’ non possono essere inserite nelle storie. Punto. Non è un tema di discussione: se proponessimo storie in cui qualche personaggio si droga, fuma o beve whiskey, semplicemente queste non verrebbero approvate e non si potrebbero pubblicare.
Sono limitazioni che, narrativamente parlando, non generano quasi mai limiti veri allo sviluppo delle trame. Ho toccato con mano che spesso avere vincoli di questo tipo spinge gli autori ad essere maggiormente fantasiosi e creativi. Racconti ugualmente quello che vuoi raccontare, ma sei costretto ad essere meno diretto, a trovare percorsi più insoliti e per questo spesso più originali.
Chiunque scriva una storia, una sceneggiatura, un film, un romanzo lo fa partendo da un perimetro di regole che si è dato ed entro cui si deve muovere. Non lo dico io, lo dicono i manuali di sceneggiatura. Prendi un qualsiasi fumetto Marvel o Bonelli e vedrai che è lo stesso. Se decido di scrivere una storia che non sia di supereroi, per esempio, non posso far volare i protagonisti, fargli emettere raggi come armi o dargli superpoteri. Cosa che invece accade in molti fumetti.
Se per contro faccio una storia ambientata nel passato, ho limitazioni riguardo il tipo di tecnologia che posso utilizzare o nel tipo di conoscenze scientifiche e culturali di cui sarà permeata la storia stessa. Ma non per questi motivi le storie saranno per forza di poca qualità… anzi. Ogni tipo di storia si muove entro un perimetro di regole legate all’ambientazione che si è deciso di darle.
Imporsi e circoscrivere delle regole è un esercizio essenziale per produrre storie coerenti e solide. Nel nostro caso sono quelle che ormai sapete, perché parliamo anche a un pubblico molto giovane, in una fase della loro vita di crescita e di formazione, e verso i quali si pensa non sia corretto mandare messaggi che potrebbero essere letti e interpretati in modo scorretto o distorto.
Come dicevo prima, soprattutto negli States c’è molta attenzione a questo tipo di temi e comunque non è molto diverso da quello che già avveniva 20/30 anni fa. A volte non capisco questo gran parlare che spesso se ne fa, mi sembra un aspetto risaputo e non così sostanziale. Puoi raccontare storie bellissime anche senza avere rappresentazioni di violenza troppo crude o sigari messi in bocca ai personaggi.
Ogni fumetto, per il tipo di narrazione che fa, convive con una serie di paletti. Continuo a leggere di grandi polemiche e di persone che si scandalizzano per le stesse medesime cose da anni… cose che tutti sappiamo e conosciamo da tempo. Rispetto sempre il parere di tutti, però francamente fatico un po’ a capire. Non è una novità e non lo scopriamo adesso in questa chiacchierata.
E non voglio neanche nascondermi dietro a un dito: è corretto che la rappresentazione della realtà che viene fatta del mondo Disney sia per certi versi attenuata, questa cosa rappresenta ormai uno dei suoi stilemi narrativi, un suo tratto essenziale. Anzi, forse alcune libertà che c’erano in passato erano un po’ una forzatura rispetto al mood che questo tipo di fumetto ha sempre saputo trasmettere ai propri lettori.”
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Mi viene in mente la questione pandemia, non trattata da Topolino: niente mascherine e niente distanziamento. Crediamo che il motivo di essere fuori dalla narrazione principale dei tempi attuali vada ricercato in quello che mi hai detto prima.
“Sulla pandemia? Mah, guarda, sulla pandemia non c’è stato nessun vincolo o restrizione, la produzione dei fumetti avviene con ameno 8/9 mesi o anche un anno di anticipo rispetto alla loro pubblicazione. Un anno fa nessuno di noi credo pensasse saremmo stati ancora qui a confrontarci con questa emergenza. No, nessuna censura. Peraltro non capisco che senso avrebbe avuto iniziare a mettere le mascherine a tutti i personaggi rappresentati nei fumetti. Tu sai forse di qualche altro fumetto che lo ha fatto? Ci sono personaggi con la mascherina?”
Non che io sappia, ma non conosco tutto il fumetto italiano, non saprei come risponderti.
“I fumetti raccontano quasi sempre un mondo di fantasia, magari ispirato al nostro, ma non esattamente il nostro. E a meno che tu non faccia un certo tipo di fumetti, penso per esempio al graphic journalism, non sei legato a rappresentarlo solo in modo realistico, a metterci per forza tutto ma proprio tutto quello che accade nella realtà. La rappresentazione che ne fai è funzionale alla storia che vuoi raccontare.
Non è che arriva la pandemia nel mondo vero e allora devi mettere la mascherina a tutti i personaggi che appaiono nel fumetto. Diventerebbe qualcosa di didascalico e forzato. A meno che, ovvio, il tuo obiettivo non sia raccontare il Coronavirus tramite i fumetti, allora le cose cambierebbero.
Come detto prima, la fiction è una rappresentazione di una realtà simile alla nostra, ma che spesso non è la nostra e questa vale soprattutto per i fumetti Disney, che rappresentano di base un mondo di pura fantasia. Io in questo anno nei film e nei telefilm non ho visto mettere la mascherina a tutte le cose di nuova produzione. Non vedo perché dovrebbe farlo il fumetto.”
Dal mondo di Topolino alla redazione di Topolino. Come avete vissuto quest’anno veramente complesso?
“Inizialmente con un po’ di disorientamento. Ci siamo trovati all’improvviso a lavorare tutti da casa propria, c’è stata una fase iniziale di difficoltà, con la necessità di imparare un nuovo modo di lavorare. Ma penso sia una cosa capitata anche in molti alti settori. Per fortuna, le edicole non hanno mai chiuso, quindi abbiamo continuato a produrre normalmente quasi tutto quello che era in programma. Solo la produzione più libraria ha un pochino rallentato.
Come tutti, abbiamo imparato pian piano a lavorare con nuove modalità, a incontrare le persone anche senza viaggiare, facendo decine di video-call ogni giorno. Va poi detto che questo tipo di modalità, di lavorare da casa, gli autori di fumetti le utilizzano da sempre. Ci si vedeva magari una o due volte l’anno, ma non di più. Quindi almeno dal punto di vista degli autori di fumetti, le cose non sono in realtà poi cambiate tantissimo.”
Prima della pandemia, com’era una giornata tipo nella redazione di Topolino?
“Nella redazione di Topolino, come in tutte le redazioni, ogni giorno è in genere sempre estremamente diverso dagli altri. Il mondo della produzione editoriale difficilmente si ripete, ogni numero di un giornale o ogni libro e volume che si pubblica ha sempre problematiche diverse.
C’è una fase creativa iniziale, che in qualche modo è più standard, che riguarda la programmazione delle uscite e dei contenuti del giornale, sia dal punto delle storie che dal punto di vista degli articoli, fatta con settimane di anticipo. Poi c’è un day by day in cui vivi di emergenze: manca un articolo, una grafica va modificata, c’è un problema produttivo: ti trovi a confrontarti con una serie di problematiche ogni volta nuove e specifiche.
Poi c’è tutta una parte che riguarda la produzione delle storie, che ovviamente in Topolino è importantissima: è un lavoro di cui da fuori non è facile intuire l’impatto. Produrre oltre un centinaio di tavole inedite di fumetto ogni settimana è un lavoro enorme, parliamo di un totale di quasi 7.000 tavole annue, vuol dire confrontarsi quotidianamente con 40/50 soggettisti e sceneggiatori, discutere dei temi delle storie, degli snodi di trama, guardarsi i dialoghi delle sceneggiature e via dicendo.
Poi c’è tutta una parte con i disegnatori che devono produrre la parte visuale. Da quando sono arrivato ho voluto con me Andrea Freccero, che è il nostro supervisore artistico, che è diventato uno snodo fondamentale nell’esaminare le tavole che vengono prodotte e nel dare consigli ai nostri autori. È un gran lavoro, che ci si porta spesso a casa, perché l’analisi dei soggetti e delle sceneggiature riesce meglio quando hai poco rumore attorno (e l’ufficio non è sempre il posto più adatto): così finisce che ti trovi a farlo la sera e certe volte il sabato mattina.”
Spesso si utilizza Topolino per denigrare il fumetto in generale. Secondo te questo è un problema che riguarda solo il pubblico, schiavo degli stereotipi, oppure danneggia anche gli addetti ai lavori, tra cui c’è chi pensa che lavorare nel mondo del fumetto non sia così gratificante?
“Credo che ci siano state delle frasi infelici dette da persone che probabilmente hanno sottostimato quello che stavano dicendo. Non c’è mai stata penso una volontà di colpire né Topolino né il fumetto. Tant’è che ogni volta che questa cosa è successa, si è generata poi spontaneamente una risposta forte e spontanea da parte del pubblico, che con varie modalità ha preso le difese della testata, del suo valore formativo e più in generale di quello che rappresenta per tutti noi lettori. Abbiamo ricevuto attestati di stima e di valore incredibili anche da parte di persone inaspettate.
Ho la fortuna di lavorare in questo campo e leggo fumetti di qualsiasi tipo e sono un grande appassionato. Credo che mai come oggi in realtà il fumetto stia avendo una valorizzazione culturale così importante. Anni fa ho abitato in Francia, e là ho avuto modo di vedere come il fumetto abbia sempre avuto una grande dignità culturale: non c’era persona che nel proprio soggiorno non avesse in libreria dei fumetti bene in vista ed esibiti! Quasi con la voglia di farlo sapere a tutti con orgoglio: ‘Guarda, io leggo fumetti, vedi: ho Asterix, Lucky Luke e via dicendo!’.
Ai tempi in Italia eravamo molto più indietro da questo punto di vista. Oggi invece le cose sono un po’ cambiate: se tu vai in qualsiasi libreria, scopri che la parte destinata ai fumetti è aumentata in modo esponenziale, e poi arriva lo Zerocalcare di turno e riesce a intercettare i gusti e le aspettative dei lettori di oggi, vendendo centinaia di migliaia di copie, spesso molto più di tanti romanzi e libri blasonati, diventando fenomeno di costume. Meritatamente tra l’altro.
Mai come oggi il fumetto riesce ad essere interprete credibile delle nuove generazioni (e non solo), delle loro idee e delle loro passioni. E non è vero che i giovani non leggono o non leggono fumetti, almeno i dati dicono il contrario.
E comunque anche l’attenzione che c’è verso il fumetto in generale è cresciuta molto. Noi collaboriamo da qualche tempo con un ufficio stampa molto attivo e regolarmente le nostre comunicazioni vengono riprese da testate giornalistiche importanti.
Solamente 15/20 anni fa ti assicuro che non era così. Sono quindi molto ottimista da questo punto di vista, e credo che anche questi piccoli ‘infortuni’ e queste ‘sparate’ che ogni tanto qualcuno fa, alla fine generino comunque un’ondata di attenzione e solidarietà da parte dei lettori che riverbera un effetto spesso più positivo che altro.”
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Come avevamo anticipato nell’intervista a Luciano Gatto, abbiamo chiesto ad Alex Bertani una replica alle dichiarazioni del disegnatore. Il direttore ha replicato così: “Ti ringrazio per l’opportunità di replicare all’intervista che citi, ma ho sempre grande rispetto per le opinioni espresse da altri (anche se critiche nei confronti del mio operato) e non amo le polemiche, neanche quelle a distanza. Il sig. Gatto ha espresso una sua, per me, rispettabilissima opinione. Ogni lettore ha piena libertà di farsi una sua idea al riguardo.”
Intervista a cura di Angelo Andrea Vegliante, Antonio Manno, Stefano Buzzotta e Giacomo Sannino
Si ringraziano Ginevra Emilia Carrero Meglio e Marta Leonardi
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