Nel corso dei suoi (quasi) 90 anni, Pippo ha attraversato evoluzioni significative della società, adattandosi di conseguenza. Nel farlo ha mantenuto la caratteristica per il quale lo conosciamo meglio: trovare un modo per farci sorridere anche in situazioni in cui sarebbe difficile farlo. Poco importa dove si trovi, se in mondi fatati o tra le mura domestiche.
Molte avventure di Pippo nel mondo dell’animazione si svolgono in ambiente casalingo, dove troviamo talvolta un personaggio più borghese e (fino a un certo punto) più composto di quello dei fumetti, padre di famiglia e lavoratore, il cui peggior nemico sono le bollette, i vicini di casa e le turbolenze di un figlio adolescente.
Probabilmente, ricorderete Pippo alle prese con questi problemi nella serie TV Ecco Pippo e in quella piccola gemma cinematografica dal titolo In Viaggio con Pippo: due produzioni relativamente recenti, che potrebbero far sembrare questa caratterizzazione una trovata estemporanea.
Come vedremo, non è così: addirittura, si potrebbe parlare di un vero e proprio ritorno alle origini del personaggio. C’è stata un’epoca in cui Pippo, in animazione, non era solo “quello goffo”, ma l’everyman per antonomasia. Proprio così: c’è stata un’epoca in cui Pippo era… un pippo qualunque, di nome George Geef. Volete saperne di più? Allora ripercorriamo insieme la sua storia, partendo dall’inizio.
Dippy Dawg (1932-1933)
Pippo nasce letteralmente come… un tipo qualunque. Alla sua prima apparizione, nel corto cinematografico Mickey’s Revue (1932), è un rumoroso spettatore che, con la sua risata sguaiata (che Pippo sarebbe, senza una risata speciale?) infastidisce il pubblico del concerto tenuto da Topolino e Minni. Il suo primo nome è Dippy Dawg e, dotato di barba incolta e occhiali, appare più vecchio del personaggio che conosciamo oggi.
Pippo si trova nuovamente al centro dell’attenzione quando, dopo un redesign che lo ringiovanisce, appare assieme a Topolino in The Whoopee Party, sempre nel 1932.
Quella di Pippo sembrerebbe una carriera in rapida e inarrestabile ascesa, ben lontana dagli ambienti casalinghi in cui questo articolo lo vorrebbe relegare. Ma, dopo ben 7 anni di successo in diversi corti cinematografici – all’epoca la televisione ancora non esisteva – ecco che l’orizzonte si rannuvola.
Voci dal passato
Usciamo dallo schermo per entrare là dove i personaggi animati prendono realmente vita: è il 1939 e gli Studios Disney di Burbank, in California, hanno un problema. Dopo 7 anni di servizio, Vance DeBar Colvig, per tutti semplicemente Pinto Colvig, lo storico doppiatore di Pippo, lascia il suo ruolo per seguire altre opportunità di doppiaggio.
La partenza di Colvig rese più difficile l’utilizzo del personaggio. Il nuovo doppiatore, George Johnson, purtroppo non incontrò il favore del pubblico. Così, anziché ritirare quello che era ancora un personaggio molto popolare, i Disney Studios decisero di far esprimere Pippo solo con versacci e suoni inarticolati, affidando le parole a una voce narrante fuori campo.
Con questa soluzione di compromesso, nata da una difficoltà tecnica, i responsabili degli studi di animazione Disney dell’epoca diedero inconsapevolmente inizio a una nuova epoca d’oro per il personaggio. Nacque così la versione animata di Pippo che si cimenta nelle più disparate attività, nella serie How To.
Pippo e The Art of “How To…” (1941-1950)
In una fredda mattina del 1941 Pippo si alza per andare a sciare. Non è una barzelletta, ma l’inizio del corto cinematografico The Art of Skiing (1941) che vede un narratore fuori campo spiegare al pubblico le gioie e le tecniche dello sci mentre Pippo, goffo come non mai, riesce a fallire anche la più semplice delle istruzioni, e deve essere spesso richiamato all’ordine dalla voce narrante.
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Utilizzare un narratore per sopperire alla mancanza del doppiatore originale doveva essere, inizialmente, una soluzione temporanea. L’escamotage si rivelò invece una trovata vincente, che spinse il personaggio in una direzione tutta nuova. Questo genere di cortometraggi ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della caratterizzazione di Pippo. Potremmo elencare molte motivazioni ma ci limitiamo a citarne una per tutte: è proprio in The Art of Skiing che appare per la prima volta l’iconico urlo di Pippo, detto non a caso Goofy Holler (probabilmente mutuato dal tipico jodel montanaro).
Una voce fuoricampo per commentare le strampalate avventure di Pippo era stata già introdotta da alcuni corti, come ad esempio in Goofy’s Glider (1940), ma è in The Art of Skiing che vediamo questo tipo di formula giungere a maturazione e ricoprire per quasi 10 anni un ruolo predominante nella produzione cinematografica Disney.
Il successo di questi cortometraggi, definiti colloquialmente How To, si può intuire dal fatto che la loro produzione continuò anche dopo il ritorno di Colvig nel 1941, che avrebbe potuto rendere superfluo l’uso del narratore.
Gli How To sono noti per la loro varietà: benché quelli a tema sportivo siano preponderanti, in questi corti Pippo prova ogni tipo di hobby e passatempo.
Con l’avvicinarsi degli anni ’50, i temi trattati vennero ampliati: da “tutorial” su come fare qualcosa, Pippo passò a confrontarsi (e scontrarsi) con le più svariate situazioni quotidiane. Queste nuove disavventure da uomo comune, in cui il pubblico poteva facilmente a riconoscersi, contribuirono ad accrescere ulteriormente il successo del personaggio.
Da Pippo ai Pippi
La varietà dei cortometraggi di cui Pippo era protagonista portò gli sceneggiatori a esplorare e approfondire il personaggio da diversi punti di vista, a volte anche contrastanti fra loro.
Per esempio, a differenza di altri corti come il già citato The Art of Skiing dove appare negato per gli sport, in How to Play Baseball (1942) troviamo Pippo nei panni di un lanciatore provetto. Questa incongruenza, che potrebbe sembrare lontana dalla natura del personaggio, viene utilizzata come elemento chiave delle numerose gag del corto. La comicità e, successivamente, la satira sono difatti il filo conduttore di questi cortometraggi: incapace o meno negli sport che sia, la costante di Pippo diventa la sua capacità di suscitare il riso.
How to Play Baseball è anche il primo cortometraggio in cui Pippo è affiancato da altri personaggi con un aspetto fisico e caratteriale simile a lui.
Successivamente i Pippi si evolveranno, differenziandosi e finendo col rappresentare per intero la società nei cortometraggi di Pippo dell’epoca.
Una prima rappresentazione di questo tipo possiamo vederla già nel 1943, in Victory Vehicles.
Il corto racconta le difficoltà dei cittadini americani nel reperire gomma, metallo e benzina, poiché risorse destinate all’esercito impiegato nel Secondo conflitto mondiale. Se la guerra però non appare mai in scena, compaiono però moltissimi Pippo, di svariate età, corporature e di ambo i sessi.
I personaggi hanno tutti aspetto e voci diverse, ma quello che li accomuna è la personalità bislacca e amichevole, nonché la profonda quanto paradossale creatività, come il Pippo da cui sono scaturiti.
Per muoversi liberamente nonostante i razionamenti, ognuno sfoggia le più creative soluzioni – dal cowboy che usa lazo e speroni come ruote, a un più ingegnoso soldato che sfrutta un paio di pattini, il suo elmetto di metallo e un potente magnete per spostarsi (con risultati non proprio ottimali).
I pippidi come sostituto dell’umanità si affermano definitivamente quando il loro aspetto fisico, che rimane decisamente ispirato a Pippo, si dissocia da quelle caratteristiche di bonarietà, ingenuità e sbadataggine che associamo al migliore amico di Topolino.
Se in How to Play Baseball i personaggi sembravano abbastanza intercambiabili l’uno con l’altro, è in How to Play Football (1944) che iniziano a esserci, nonostante le loro somiglianze fisiche, dei veri e propri caratteri diversi fra i vari Pippi.
Nonostante la maggior parte dei giocatori in campo siano dei pippidi non meglio identificati, il coach della Taxidermy, una delle due squadre sfidanti, e il suo giocatore migliore hanno una caratterizzazione ben definita e lontana da quella che assoceremmo al Pippo classico. Da un lato abbiamo un nevrotico allenatore pronto a ingollarsi un sigaro intero (acceso!) quando la sua squadra è in svantaggio, ma pronto a concedere qualunque cosa al suo giocatore migliore, dall’altro un giovane e abile atleta, un po’ vanesio e con la pretesa che gli altri lo trattino con occhio di riguardo.
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Analogamente, in Double Dribble (1946), il protagonista è un pippide senza nome molto basso. Questi non si differenzia da Pippo solo per la sua costituzione, ma anche per un’indole più proattiva. Attorno al protagonista ruotano altri personaggi che di Pippo hanno solo l’aspetto: torna ad esempio (complice anche il riciclo di alcune animazioni) l’allenatore di How to Play Football che, desideroso di vincere, fa di tutto per non far entrare in campo il piccolo protagonista. Un comportamento un po’ meschino, che non ci si aspetterebbe dal Pippo originale.
Alla fine degli anni ’40, il processo della moltiplicazione e diversificazione delle personalità di Pippo è ormai completo, al punto da dar vita a un intero mondo popolato da pippidi. Un mondo che, nel triennio successivo, sarebbe finito per fare da specchio alla società statunitense del tempo, con una nuova versione di Pippo in veste di protagonista.
Da Mr. Walker a George Geef (1950-1953)
Nel corto del 1950 Motor Mania troviamo un Pippo in versione borghese, descritto dallo stesso narratore come un uomo “docile, onesto, che non farebbe del male a una mosca”. In realtà questo individuo non è, almeno nominalmente, Pippo. Da uomo qualunque, il personaggio è finalmente diventato… un qualunque uomo.
Il protagonista di Motor Mania ci viene presentato col nome di Mr. Walker e ha un grande difetto: appena si mette al volante, viene colto da un delirio d’onnipotenza che gli fa dimenticare qualunque tipo di carità umana.
Del resto, perché il signor Walker (che ora, in stile Jekyll e Hyde, è diventato Mr. Wheeler) non dovrebbe trattare le strade come se fossero di sua proprietà? In fondo, sono le tasse da lui pagate a mantenerle – come ci svela il narratore, leggendo i pensieri del protagonista.
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Motor Mania è ancora sprovvisto dell’atmosfera familiare e del nome di George Geef, destinato a diventare il popolare alter ego borghese di Pippo, ma ha in sé un elemento seminale dell’epopea animata immediatamente successiva del personaggio: la satira.
Come il precedente commento in merito alle tasse ci suggerisce, questa nuova versione di Pippo è innanzitutto la rappresentazione animata del tipico membro della middle class americana del secondo Dopoguerra: mite borghese proprietario di una villetta in periferia con tanto di moglie casalinga e figlio, ma alienato dal proprio lavoro e spesso affetto da mille vizi e stress.
Nel 1951, e più precisamente nel corto Cold War, il personaggio verrà ribattezzato George Geef ma, purtroppo per lui, il fatto di essere tecnicamente un individuo diverso da Pippo non si rivelerà un vantaggio.
Il nuovo volto di Pippo
Nell’introdurre George Geef, oltre al nome, venne modificato gradualmente anche l’aspetto fisico di Pippo, fino a fargli assumere una nuova fisionomia.
Nel 1950, Mr. Walker in Motor Mania (1950) non indossa i guanti (rivelando mani di colore rosa), ha gli occhi piccoli, un folto ciuffo di capelli ed è sprovvisto dei dentoni e delle orecchie a penzoloni del personaggio classico. Nello stesso anno, in Hold That Pose, Pippo recupererà i guanti e i dentoni, ma non le orecchie.
Nel 1951, in Cold War, dove incontriamo George Geef per la prima volta, il personaggio cambia di nuovo: occhi piccoli, ciuffo folto, niente guanti, né dentoni né orecchie a penzoloni. Il design viene mantenuto anche nei due corti successivi, dello stesso anno, Tomorrow We Diet! e Get Rich Quick, salvo poi modificarsi nuovamente.
In Fathers Are People, sempre del 1951, l’aspetto cambia a seconda dei fotogrammi: in parti diverse del corto, George Geef assomiglia di più o di meno al Pippo classico. Ora ha guanti e orecchie oppure no, e a seconda dei fotogrammi ha i capelli più o meno folti.
Se questa confusione potrebbe essere interpretata come segno di indecisione nella fase di trasformazione di Pippo in George Geef, bisogna anche tener conto dei frenetici ritmi di lavoro degli studi di animazione, che portavano a errori o alla necessità di riutilizzare bozzetti già pronti.
È da No Smoking (1951) in poi che il design di George Geef sembra stabilizzarsi: orecchie, guanti, pelle nera come il Pippo classico, ma con un ciuffo di capelli più folto e occhi più piccoli dell’originale, che non occupano tutta la parte superiore del viso.
Oltre all’aspetto parzialmente ereditato da Pippo, George Geef dovrà fare i conti con un nuovo cast di personaggi tanto casalinghi quanto opprimenti:
La nuova famiglia di George Geef
Per rappresentare al meglio la classe sociale media, George Geef ha una moglie e un figlio.
Il rapporto col figlio Junior è interessante fin dalla sua prima apparizione, in Fathers are People (1951). Il bambino tratta il padre come uno dei tanti giocattoli a sua disposizione: è degno di attenzioni giusto per i due minuti in cui è disposto a giocare alla cavallina, dopodiché diventa subito un ostacolo da superare. C’è da dire che, dal canto suo, George Geef non sembra avere un istinto paterno molto forte, con la tendenza a perdere facilmente le staffe.
Col tempo Junior si ammorbidisce, presentando già da Father’s Lion (1952) un lato più tenero e ingenuo – pur continuando a causare danni al padre (più o meno involontariamente).
Personaggio più misterioso è invece la signora Geef, della quale non vediamo mai il volto. Un anonimato che forse è la miglior rappresentazione del rapporto che ha col marito, dal quale è totalmente indipendente. La conosciamo così fin da subito: in Cold War George, febbricitante e incapace di curarsi da solo dal raffreddore, trova la casa coniugale vuota, essendo la moglie uscita con le amiche. Inutile dire che sarà poi sempre lei, con metodi bislacchi, a curare con successo il male del marito.
In Father’s Day Off (1953) viene addirittura fatta un’allusione indiretta all’infedeltà della moglie. Anche se nulla ci viene detto esplicitamente, George riceve baci datigli a occhi chiusi dal postino, dal lattaio, e così via, che questi credono di dare alla moglie. Dalla naturalità del gesto, sembra uno scambio che si ripete tutti i giorni.
Come se non bastasse la famiglia a mettergli i bastoni fra le ruote, George Geef si imbarca spesso in avventure autodistruttive, animato da un malriposto senso di superiorità. Il forte raffreddore di cui abbiamo già accennato in Cold War era dovuto alla trascuratezza del nostro, ma superficialità, vizio e salute si incroceranno nuovamente nel corto No Smoking (1951) nel quale George, fumatore più che incallito, decide di smettere di punto in bianco.
Nel corto veniamo deliziati da una serie di gag che mettono George, in piena crisi d’astinenza, a contatto con ogni tipo di accessorio tabagista. In più, abbiamo una panoramica sul suo ambiente lavorativo. Non importa quanto l’ex (si fa per dire) fumatore stia palesemente soffrendo: nessuno dei colleghi sembra prestargli attenzione, tranne un neo papà che gli offre un sigaro enorme per festeggiare, salvo ritrattare subito dopo.
Non sarebbe però giusto dire che i colleghi ignorano George Geef. In Get Rich Quick (1951) lo ricoprono di attenzioni, ma solo per sfruttare la sua smodata passione per le scommesse e alleggerirlo il più possibile.
Lo specchio deformante della borghesia americana
Appare chiaro come l’intento di questi corti sia di scalfire la sottilissima armatura di “uomo medio modello” che George – e di conseguenza il pubblico – credono di sfoggiare davanti al mondo. Ogni aspetto della vita quotidiana diventa oggetto di satira: dalla famiglia, alla vita casalinga, all’etica lavorativa. Ad accompagnare George Geef rimane ancora il narratore che, messi in soffitta consigli e spiegazioni, si limita a fare da ironico commentatore a quanto avviene sullo schermo.
Come George Geef non rappresenta il lato migliore della società a stelle e strisce, anche l’ambiente che lo circonda è una versione tutt’altro che idealizzata della borghesia americana. I colleghi si ricordano di George solo quando possono approfittarsi di lui, e la vita familiare non offre grandi consolazioni, con il pestifero figlioletto da un lato e la moglie, distaccata e lamentosa, dall’altro.
Eppure, forse proprio perché immerso in un ambiente così insensibile alle sue sofferenze, viene difficile condannare del tutto George Geef per le sue manchevolezze. Del resto, per offrire una satira convincente dell’uomo contemporaneo, George Geef ha dovuto incarnare senza troppi compromessi desideri e difficoltà del cittadino medio degli anni ’50. Al netto di alcuni stereotipi ormai superati, molti dei problemi che affliggono il personaggio ci riguardano ancora oggi: questo ci spinge a riconoscerci in lui e, in parte, a perdonarlo.
La satira sociale messa in scena dall’alter ego di Pippo era un elemento innovativo per l’epoca, che rende questi corti ancora attuali. La capacità di far ridere delle difficoltà dell’uomo medio ha precorso i tempi rispetto alla satira che, in seguito, avrebbe portato al successo serie televisive animate come I Flintstones negli anni ’60 e I Simpson a fine anni ’80.
Con le dovute differenze legate al periodo, tanto George Geef come Fred Flintstones o Homer Simpson rappresentano la versione disincantata del capofamiglia della classe media statunitense: figure autorevoli e sempre nel giusto secondo il senso comune, ma in realtà piene di difetti e, proprio perché legittimati dal senso comune, incapaci di ammettere di aver sbagliato.
Così come a Bedrock e a Springfield inoltre, nei cortometraggi dell’alter ego di Pippo è l’intera società contemporanea a essere messa a nudo, evidenziando contraddizioni e debolezze dei vari ruoli sociali, dal datore di lavoro all’insegnante.
Il declino di George Geef
Per quanto apprezzato, l’alter ego di Pippo non ebbe vita molto lunga. Come George Geef non esitava a spendere fino all’ultimo cent del suo sudato stipendio per procurarsi l’ultima meraviglia elettronica, così il pubblico americano si stava sempre più appassionando a un nuovo prodigio: la televisione.
La TV cambiò, col suo successo strepitoso, le dinamiche della produzione cinematografica. Un tempo andare al cinema consisteva nel pagare il biglietto e assistere a diversi spettacoli con un unico ingresso. L’evento principale era la “feature“, il film del momento, a cui si alternavano brevi notiziari o corti animati. La televisione permetteva invece di godersi lo spettacolo standosene comodamente seduti in salotto. Se i film su grande schermo mantenevano ancora il loro fascino, tutti i prodotti collaterali non sembravano più necessari: fra questi c’erano anche i corti animati di cui era protagonista George Geef.
Di pari passo stavano cambiando i gusti e le possibilità della società. Il pubblico chiedeva qualcosa di nuovo, mentre gli studi cercavano metodi sempre più convenienti per realizzare i cartoni animati.
Un cortometraggio simbolo di questo periodo è Gerald McBoing-Boing (1950) dello studio UPA (United Picture Association), che vinse l’Oscar come miglior corto animato dell’anno. Tanto emblematico da dare il nome a un nuovo stile di animazione, lo stile UPA appunto, il corto si caratterizza per il minimalismo: un uso ridotto del colore, figure sintetizzate da forme elementari, sfondi astratti o del tutto inesistenti.
Come vediamo sopra, lo stile UPA è estremamente sintetico, ben lontano dal livello di dettaglio dello stile Disney: la differenza fra pavimento, muro e soffitto è data unicamente dalla presenza di un quadro e del lampadario. Questo stile rendeva più economica e veloce la realizzazione dei cortometraggi, proprio come richiedeva la televisione, a differenza dei prodotti Disney.
Nello stesso periodo vennero introdotti anche nuovi “trucchi” per semplificare l’animazione. Un esempio è l’apparizione, sui personaggi dei cartoni animati, di cravatte e colletti particolarmente vistosi che, separando la testa dal busto, permettevano di animare separatamente le due parti del corpo. Con questo tipo di animazione “modulare” si potevano ridisegnare solo le parti strettamente necessarie a dare l’idea del movimento, come ad esempio le gambe per una camminata. L’Orso Yogi e altri prodotti di Hanna e Barbera sono tra gli esempi più famosi di questa tecnica animata.
Gli studi Disney provarono, per un certo periodo, a riproporre le tecniche della concorrenza. Possiamo trovarne un esempio in How to Sleep (1953), dove un George Geef affetto da insonnia cronica cerca in tutti i modi di trovare il meritato riposo. Il corto, non troppo differente dagli altri a livello di contenuti, si fa notare per la sua animazione più rigida e per gli sfondi più vuoti e abbozzati, lontani dagli appartamenti sfarzosamente ammobiliati degli inizi.
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La produzione risultava comunque troppo dispendiosa a fronte degli introiti e gli studi Disney, non disposti ad abbassare ulteriormente la qualità dell’animazione, preferirono orientarsi su altri prodotti, abbandonando progressivamente la produzione dei cortometraggi animati.
Gli ultimi How to
Il format degli How To tornò con una breve parentesi negli anni ’60 con un paio di corti educativi (esplicitamente interpretati da Pippo) e Aquamania, corto del 1961 che farà abbondantemente uso di spezzoni animati tratti da cartoni precedenti. Si tratterà dell’ultima apparizione ufficiale di George Geef.
Pippo avrebbe fatto il suo ritorno in scena solo diversi anni più tardi, pasticcione e goffo, senza altri punti in comune con il suo alter ego borghese, mentre gli How to avrebbero visto la luce in altre due occasioni.
La prima alla fine degli anni ’90, in alcune puntate di Mickey Mouse Works, serie animata che riproponeva lo stile dei cortometraggi Disney degli esordi. Fra questi, ricordiamo con affetto How to Haunt a House (1999), riproposto anche in un episodio della serie TV House of Mouse – Il Topoclub e nel film basato sulla serie, Topolino e i cattivi Disney del 2002.
L’altro corto in stile How to è di poco successivo: How to Hook Up Your Home Theater, che vide inoltre il ritorno del format sul grande schermo. Il cartone venne infatti proiettato negli USA prima del film Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, nel 2007.
La fine di un’era, l’inizio di un’altra
La carriera di Pippo è in un certo senso paragonabile all’immagine di un serpente che, forse sbadatamente, ha finito per mordere la sua stessa coda.
Così come gli How to a un certo punto sono stati ripresi, anche la versione borghese di Pippo che sembrava esser stata definitivamente archiviata è stata rispolverata. Dopo quasi 30 anni di assenza torna sugli schermi (stavolta televisivi), non George Geef ma un Pippo lavoratore e abitante di periferia che, oltre alle sue disavventure, deve anche fare i conti con la vita familiare. Stiamo parlando della serie TV Ecco Pippo! (Goof Troop in originale) del 1992.
Goof Troop (1992) e oltre
Con le opportune differenze, è possibile notare il legame che intercorre tra il Pippo di Goof Troop e il George Geef dei tempi andati. La moglie scompare, e il turbolento piccolo Junior viene sostituito da Max, figlio adolescente più tranquillo (anche se a suo modo comunque ribelle).
Questa versione di Pippo è stata tanto apprezzata dal pubblico da averne tratto due film, In viaggio con Pippo (1995) ed Estremamente Pippo (2000).
Ecco Pippo! è stata di recente omaggiata da un cameo nel reboot di DuckTales. Pippo, qui nel suo design col maglione arancio, viene sfruttato per fare una commovente analisi di cosa voglia dire essere padre, paragonando l’esperienza da genitore single di Pippo a quella di Paperino, tutore dei suoi tre nipotini.
L’eredità di George Geef: in (precario) equilibrio fra due realtà
Ecco Pippo! è nata dal desiderio di rilanciare il personaggio partendo dal periodo storico dove era stato più forte? Oppure è stata una scelta veicolata dal mercato home video, dove le videocassette dei corti Disney avevano riportato in voga la popolarità di George Geef? Quale che sia la motivazione, quando la Walt Disney Company ha deciso di rilanciare il personaggio di Pippo nel 1992, lo ha fatto attingendo a piene mani all’esperienza degli anni ’40 e ’50, combinandola con il lato più ingenuo e affettuoso del personaggio.
In Ecco Pippo! sembrano esser stati sommati tutti gli aspetti precedenti del personaggio, mostrandocene una versione tra le più eterogenee e interessanti. Nella serie, e soprattutto nel primo film, Pippo si muove liberamente fra impossibili slapstick e discussioni più aperte e mature sul suo essere padre.
Tutto questo è stato possibile recuperando e fondendo assieme le due realtà che noi spettatori più facilmente associamo al personaggio.
Il Pippo fumettistico è infatti, almeno nella sua incarnazione attuale, uno stupendo Forrest Gump dal berretto blu. È un ingenuo con un gran cuore e un modo tutto suo di vedere la realtà che spesso (pensiamo alla Saga della Spada di Ghiaccio) gli permette di avere successo là dove molti, ben più convenzionalmente furbi di lui, falliscono.
George Geef, invece, è in tutto e per tutto la satira dell’uomo medio e, per quanto non sia difficile affezionarsi a lui e alle sue disavventure, la sua personalità rimane inevitabilmente inclinata verso i tratti meno apprezzabili e negativi dell’animo umano ai quali, da brava caricatura satirica, deve ampiamente attingere.
Il Pippo di Ecco Pippo! (e di In viaggio con Pippo), invece, è la riuscita fusione di questi due estremi, in quanto individuo sì dal cuore d’oro e inguaribilmente goffo, ma anche sufficientemente cosciente dei mali della vita da poter reagire con estrema preoccupazione all’idea della sedia elettrica e, soprattutto, consapevole che il tempo che potrà trascorrere col figlio Max è limitato. In fondo, sono questi momenti così umani che trasformano semplici personaggi nei grandi eroi della nostra piccola mitologia pop.
Come ogni figura mitologica che si rispetti, questo personaggio non sarebbe potuto nascere senza l’intervento del destino che, ormai più di 80 anni fa, ha fatto sì che quella che sarebbe potuta essere una semplice spalla comica si evolvesse in qualcosa di molto più complesso grazie a un apparente danno: l’abbandono, seppur temporaneo, del suo doppiatore. Una crisi trasformata in opportunità, fondamentale nella vicenda di un personaggio che amiamo così tanto forse proprio per la sua capacità di reinventarsi sempre.
Filippo Mairani
Immagini © Disney
Fonti: Dave Lee Down Under | WDAS Goofy