Sono ormai passate diverse settimane dal rilascio del 59° Classico Disney Raya e l’ultimo drago su Disney+. Gli appassionati che hanno speso 21,99 euro per l’Accesso VIP hanno avuto già ampiamente modo di gustare l’ultimo film Disney (gli utenti più parsimoniosi dovranno attendere invece il 4 Giugno, per la disponibilità nel catalogo standard). La campagna pubblicitaria e il trailer promettevano al pubblico un’eroina in grado di rompere lo schema della “classica principessa” della Casa di Topolino, una combattente determinata e un film appassionante e maturo in grado di rivoluzionare il filone tradizionale dei Classici. Missione riuscita? Più o meno…
Prima di iniziare, una dovuta premessa: l’articolo descrive solo l’opinione personale dell’autore sul Classico Raya e l’ultimo drago. Per questo motivo non si assurge a critica definitiva, oggettiva e imparziale. Se non la condividete, dateci pure il vostro parere alternativo. Anzi, fatelo in ogni caso!
La terra mitica di Kumandra
Raya e l’ultimo drago si svolge a Kumandra, una regione fantastica a forma di drago dalle forti ispirazioni sud-est asiatiche, che richiama per certi Avatar: The Last Airbender (o meglio The Legend of Korra). Riferimenti non casuali: quasi l’intero cast di artisti, doppiatori e sceneggiatori ha origini asiatiche, che hanno attinto a riferimenti ambientali e culturali di paesi come Laos, Indonesia, Thailandia, Vietnam, Malesia, Singapore e Cambogia. Ognuno di loro ha cercato di inserire parte delle proprie radici nel film, per caratterizzare i vari scenari e tribù che popolano Kumandra (Coda, Artiglio, Dorso, Zanna e Cuore). La scaltra vecchietta Dang Hu, per esempio, è ispirata alla nonna vietnamita dello sceneggiatore Qui Nguyen, mentre Artiglio ai caratteristici villaggi dei pescatori sul fiume Mekong.
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Trama
In Raya la potente Gemma, acquisita con il sacrificio dei draghi protettori, viene ridotta in frantumi e l’antico male dei Druun risvegliato. Questa diabolica nube oscura pietrifica gli esseri umani e distrugge ogni forma di vita, e per di più i frammenti dell’unico artefatto in grado di contrastarla sono stati sottratti dalle 5 tribù nemiche. Il popolo di Kumandra, un tempo pacifico e unito sotto la guida dei draghi, attende di essere salvato da Raya, unica superstite del clan di Cuore. Sarà proprio la principessa guerriera a doversi mettere alla ricerca dell’ultimo drago rimasto in vita e riunire i pezzi della Gemma.
Bisogna dire che la trama, seppur suggestiva, non eccelle per originalità: il plot base è infatti quello del tipico fantasy, e non vi sono, per tutta la durata del film, particolari svolte o colpi di scena. I momenti più importanti del film, quelli davvero in grado di calamitare l’attenzione del pubblico, sono infatti quello iniziale (con la piccola Raya) e quello conclusivo. Lo sforzo emotivo, l’impegno narrativo, la “sostanza” del film, si concentra per lo più in questi due punti.
La parte centrale di Raya è una tappa obbligata dello spettatore che viene catapultato in scenari sempre diversi e incontra raffiche di nuovi personaggi, senza però avere l’occasione di gustarli appieno o approfondirli. Una sezione corposa, incalzante, ma che lascia ben poco allo spettatore, se non i colori della tribù e qualche bello scenario. È questo uno dei paradossi di Raya: un worldbuilding vasto ma così scarsamente approfondito (vedi Zanna) da apparire quasi come una cifra stilistica, una semplice decorazione, che lascia poco allo spettatore. Ma che avrebbe molto da offrire.
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Le tre figure portanti di Raya e l’ultimo drago
Parliamoci chiaro: la ricerca dei pezzi della Gemma e la minaccia dei Druun fanno solo da sfondo all’intreccio narrativo, che ruota attorno a tre importanti figure femminili:
Raya
La protagonista e personaggio più riuscito del film. Raya è la giovane figlia del capotribù di Cuore, addestrata sin da piccola alle arti ninja, ma sensibilizzata anche all’introspezione e alla compassione. Dopo aver perso tutto con il tradimento di Namaari, dovrà imparare a fidarsi di nuovo degli altri. Raya è un personaggio tosto, una guerriera abile ma che non rinuncia alla sua femminilità e a una gamma variegata di emozioni. Determinata, intelligente, sensibile e divertente, è la nuova eroina di Casa Disney, che non ha paura di sporcarsi le mani quando serve. Una protagonista moderna, capace ma non perfetta, quindi non stereotipata. Spettacolari le scene di azione, il combattimento con la spada e l’espressività del corpo e del viso. Il rapporto con il padre-mentore Benja invece scalda il cuore.
Sisu
L’ultimo drago rimasto in vita. Nonostante il ruolo altisonante che la leggenda le conferisce, è una creature mite, umile e goffa. La spalla comica della protagonista (sebbene, per dire la verità, non mi sovvenga nessuna sua uscita spiritosa al momento). Sisu è pura e simpatica, per certi versi ingenua. Vede il buono in ogni persona, ed è portata naturalmente a fidarsi di tutti. Coltiva la convinzione che ognuno possa contribuire, a modo suo, alla pace e la prosperità di Kumandra. Sisu non sarà la chiave per la sconfitta dei Druun, quanto piuttosto per la riunificazione dei clan. L’animazione di Raya dà il meglio di sé con i movimenti, le evoluzioni e le interazioni del batuffoloso drago.
La scelta di negare a Sisu (e all’intero Raya) una canzone (che non sia la bella Lead the Way), per sfuggire al concept di musical e abbracciare quella di film “impegnato” in tematiche politiche, la trovo sinceramente ridicola e contraddittoria, soprattutto vista la presenza di personaggi come Noi.
Namaari
Namaari è la rivale e antagonista di Raya e, a detta di buona parte dei fan, il personaggio più complesso del film. Namaari, nel flashback, stringe amicizia con la coetanea Raya ma, una volta che questa le apre il cuore e l’accesso alla santuario segreto della Gemma, tenta di rubarla. Scatenerà, assieme al clan di Zanna, una serie di eventi che porterà al risveglio dei Druun, alla caduta di Cuore e alla frantumazione della Gemma. Namaari si presenta come una principessa guerriera che agisce per il bene del suo popolo, e che farebbe qualsiasi cosa per assicurargli la prosperità (o presunta tale): anche tradire e annichilire altre tribù. Un personaggio speculare rispetto a Raya, che gode dell’addestramento e degli insegnamenti del padre, a differenza della combattente di Zanna.
Sembra che sia stato il destino a dare a Namaari il ruolo di Antagonista (attenzione, non Cattiva). È lo stesso sceneggiatore Nguyen a rivelare che, se fosse stata Namaari a trovare il drago, sarebbe stata il personaggio positivo della storia. Un character design graffiante e un taglio di capelli grintoso, che tratteggia la figura di una guerriera decisa ma ciononostante riflessiva. Il ruolo di Namaari scorre su binari ben definiti, che la costringono però a percorrere una strada piuttosto limitata. Soprattutto in relazione al rapporto con Raya, che è privo di un reale momento a cuore aperto, un contatto chiarificatore. La sua scelta, nel climax finale del film, sana però le eventuali pecche con la sua redenzione.
Gli altri personaggi
Vanno menzionati gli altri membri della colorata banda di Raya, Tuk Tuk, Noi, Boun e Tong. Tuk tuk è la simpatica spalla animale di Raya, e suo mezzo di locomozione. Noi (e le sue scimmie ladre Ongi) è una bambina (quasi un neonato) di Artiglio. Purtroppo Noi sembra soffrire della sindrome Minions-Baby Boss, che la porta ad essere una ladra terribilmente abile e astuta nonostante l’età, per il divertimento di bambini e madri. Un personaggio esageratamente overpowered, che ho trovato irritante e fuori luogo, in grado di mettere a dura prova qualsiasi sospensione di incredulità.
Boun e Tong sono invece due esuli dei clan Coda e Dorso, il primo un vivace ragazzino che ama cucinare, il secondo un enorme guerriero dal cuore nobile. È davvero un peccato che Raya e l’ultimo drago non abbia concesso loro maggiore spazio, la loro caratterizzazione è ispirata, divertente e versatile.
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Il nuovo corso dei Walt Disney Animation Studios
Ancora una volta ho la sensazione che i Walt Disney Animation Studios si stiano ingegnando per rompere la tradizione dei Classici Disney e innovarla senza avere però ben chiaro in mente quale cammino intraprendere, e cosa conservare dall’esperienza quasi secolare della Compagnia. Un esperimento “riuscito” con Zootropolis, meno con Frozen II: dove la decisione di abbracciare temi come il fantasy classico senza gli strumenti, o meglio l’intenzione, di svilupparli a dovere ha penalizzato l’opera. A parere di chi scrive, gli autori nel 58° Classico hanno lanciato qua e là suggestioni o reminiscenze prive però di vere e proprie radici e in aperto contrasto con la “forma” tradizionale di Classico.
Nelle trame degli ultimi film della Company sembra che gli avvenimenti accadano semplicemente perché devono, sviluppando intere sceneggiature o trame in funzione di alcuni personaggi o determinate scene, prive di un intreccio solido e articolato. Non esiste più il Bene e il Male, né nemici da sconfiggere: la narrazione si concentra piuttosto su confusi sviluppi caratteriali ed emotivi e soprattutto su precisi (e sacrosanti) messaggi sociali e valoriali apertamente sbandierati. Che non sarebbe la novità, in un film Disney. Ma messaggi che, almeno originariamente, si sarebbero potuti prestare a più livelli di lettura e di indagine dallo spettatore, come un’opera d’arte completa e complessa. Bene, questa complessità, in Raya, mi viene difficile da scorgere.
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I punti deboli di Raya e l’ultimo drago
Quello che ho avvertito, piuttosto, è stata la volontà di semplificare concetti e temi in realtà molto ostici da trattare, in maniera tale da poterli riproporre come messaggi vaghi e universali facilmente rivendibili al grande pubblico. D’altra parte, la scelta degli autori di proporre sottili problematiche geo-politiche e sociali è stata certamente coraggiosa, e in un lungometraggio animato necessitavano di dovuti adattamenti. Quello che trovo difficile da assimilare è però la semplificazione, a tratti la banalizzazione dei suddetti. Non vi è in Raya un personaggio veramente cattivo, solo personaggi incompresi: spinti dalla necessità o dall’ignoranza, come se il male non derivasse da scelte responsabili ma dal caso, o dalla sfortuna. Non vi è punizione nei confronti di chi ha sbagliato, o sincero pentimento (tranne, per certi versi, quello di Namaari).
Tutti acquistano, con la riparazione della gemma per opera dei cinque protagonisti (uno per ogni clan), magicamente coscienza di sé e del proprio ruolo, capendo cosa fosse giusto fare. Senza un percorso di redenzione, o uno sviluppo logico o emotivo, o l’assunzione delle proprie responsabilità. A crescere e maturare veramente on screen è solo Raya, che impara di nuovo a fidarsi e a stringere legami con le altre persone. Anche nei confronti di chi l’ha tradita, o ha compiuto azioni malvagie (e, in definitiva, non ha fatto nulla per meritare la sua fiducia).
Raya la fiducia
Il film sembra quasi voglia dire che basti tendere la mano verso chiunque per farlo rinsavire, e ricondurlo sulla retta via. Una responsabilità che pare ricadere solo sulle spalle di chi è tanto savio da comprendere cosa è giusto e cosa non lo è. La realtà, purtroppo, è ben più complessa. Una diversità di motivazioni e di contraddizioni che credo vengano solo accennate nel film, ma mai compiutamente affrontate. Pur essendo il vero motore della storia.
Il messaggio però, potente, è quello di avere (e dare) Fiducia incondizionata negli altri. Non si può costruire la pace senza mettere da parte gli egoismi, perdonare e dare fiducia agli altri: senza sacrificio personale. Il dubbio e la paura possono avvelenare la mente, e creare dei conflitti là dove non esistono: un insegnamento di certo preziosissimo, ma che, personalmente, trovo trattato in maniera troppo utopistica e superficiale.
Per concludere, com’è Raya e l’ultimo drago?
Raya e l’ultimo drago è un bel film d’animazione: le ambientazioni, le ispirazioni, le forti figure femminili regalano al Classico un’atmosfera e dei personaggi originali e godibili. Vedendo il lungometraggio si ha però l’impressione che Raya e i suoi autori facciano un po’ la voce grossa, puntando troppo in alto, oltre le proprie possibilità. Manca nel film la scintilla, quel colpo di coda che permette il salto di qualità e quindi la consacrazione tra i Classici con la “C” maiuscola.
Il 59° Classico soffre quindi di diverse limitazioni. Raya fatica a conquistare un ruolo simile a quello che ha avuto Mulan negli anni ’90, pur essendo un buon personaggio, ed è anni luce di distanza dalla bellezza e dalla complessità di vere principesse guerriere come La principessa Mononoke, volendo estendere il paragone all’animazione non-Disney. Ma non è tutto.
Benvenuto a Kumandra
Il vero punto di forza di Raya e l’ultimo drago è però il potente e suggestivo finale, che regala allo spettatore emozioni e delicate riflessioni, su quanto sia importante la fiducia e la concordia tra i popoli. Tribù fantastiche ma pur sempre umane, che hanno saputo comprendersi, andando oltre le proprie divergenze, e mettersi simbolicamente in cammino finalmente come un unico popolo, finalmente Kumandra.
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Antonio Glide Manno
Fonti: Ansa, Wired, Wikipedia, D23, The Art of Raya and The Last Dragon – Chronicle Books Llc; 1° edizione
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