Eccoci arrivati alla quinta puntata della rubrica Infanzia Rovinata: questa volta usciremo dai consueti territori Disney per parlare della vera e drammatica storia della Principessa Anastasia, facendo un confronto con la rivisitazione del cartone prodotto nel 1997 dalla 20th Century Fox.
Come nell’articolo su Pocahontas, anche in questo caso andremo quindi a scoprire non le differenze con una fiaba o una leggenda, ma con una storia realmente accaduta.
“Eppure mi sembrava della Disney”
Anastasia è senza alcun dubbio uno dei cartoni animati “non Disney” più amati di sempre. Soprattutto tempo fa, veniva però scambiato da molti come un prodotto di “casa Walt”. Il motivo forse è questo: Anastasia è stato prodotto e diretto da due ex disegnatori… sì, della Disney.
Parliamo infatti di Don Bluth (suoi alcuni successi come Fievel sbarca in America e Alla ricerca della valle incantata) e Gary Goldman.
Quando viene dicembre
Il film animato inizia il racconto dal 1916. Nicola II è a quel tempo “lo Zar di tutte le Russie” e nel palazzo di Caterina, a San Pietroburgo, indice un ballo per festeggiare il trecentesimo anniversario dell’ascesa al potere dei Romanov.
La piccola Anastasia supplica la nonna paterna, l’Imperatrice Maria, di non tornare a Parigi. Quest’ultima, per alleviare la separazione, decide di regalare alla nipote un carillon, da ascoltare prima di andare a letto. La chiave per azionarlo è un ciondolo con la scritta “Insieme a Parigi”, da cui la giovane non si separerà mai.
Il carillon suona la loro ninna-nanna, una melodia molto dolce e orecchiabile: su queste note nonna e nipote iniziano a cantare una delle canzoni portanti del cartone, Quando viene dicembre. Questo regalo, come vedremo, sarà molto importante ai fini della trama.
Facendo ora una panoramica di quello che era il contesto reale, non possiamo non notare certe incongruenze con i dati storici. Per esempio, il trecentesimo anniversario dell’ascesa al potere dei Romanov avvenne nel 1913 e non nel 1916.
Inoltre, nel 1916 Anastasia non era una bambina di circa 8 anni come si vede nel cartone, ma una ragazzina di 15 anni.
Ma chi era veramente Anastasia e cosa sappiamo della sua infanzia e della sua famiglia? Facciamo un passo indietro.
La famiglia Romanov: chi erano realmente?
Anastasija Nikolaevna Romanova nacque nel 1901, quartogenita dell’ultimo Zar di Russia Nicola II e dell’Imperatrice Alessandra. Prima di lei nacquero (in ordine) le sorelle Olga, Tatiana e Maria, dopo di lei il fratello minore Alessio.
La granduchessa Anastasia venne definita come una bambina molto vivace, carismatica e particolarmente legata al padre.
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Nella notte e nel buio: il Rasputin del cartone
Torniamo al film: il ballo viene interrotto dall’arrivo di Rasputin, il principale antagonista. È un monaco che lavora al cospetto della famiglia reale, ma è corrotto, malvagio e avido di potere.
Vedendosi rifiutato dai Romanov ed etichettato come traditore, scaglia su di loro una maledizione: scatenando la Rivoluzione e approfittando del malcontento popolare, promette di sterminare i Romanov fino all’ultimo membro della famiglia. Egli infatti, per vendetta, vende l’anima al diavolo per ottenere dei poteri magici, contenuti in un reliquiario.
Ma un giovane sguattero di corte, Dimitri, riesce a salvare l’Imperatrice Maria e Anastasia tramite un passaggio segreto e a recuperare il carillon, andato perduto dalla piccola granduchessa. Mentre nonna e nipote fuggono sul ghiacciato fiume Neva, Rasputin tenta di uccidere Anastasia. Il ghiaccio però cede: il malvagio viene inghiottito dal fiume e perde il reliquiario.
Le due Reali raggiungono un treno per la Francia. Maria vi sale, ma non riesce a tenere la mano di Anastasia, che cade con il ciondolo donatole dalla nonna e sbatte la testa perdendo la memoria, mentre il treno si allontana. Quella notte perdono la vita molte persone: i Romanov vennero uccisi… quasi tutti. Ma attenzione: non è morto nemmeno Rasputin.
Chi era in realtà Rasputin?
Rasputin è un personaggio realmente esistito. Tuttavia, sebbene nel film ci siano chiari riferimenti alla sua figura, la sua vera storia è un po’ diversa.
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Rasputin è stato un mistico siberiano. Introdotto a corte da una damigella di compagnia dei Reali, egli divenne, a partire dal 1907 circa, anche consigliere privato dei Romanov. Lo zarevic Alessio, fratello minore di Anastasia, era malato di emofilia. La malattia era tenuta segreta e non aveva una cura definitiva.
La zarina Alessandra (molto religiosa), dopo aver consultato invano vari medici, decise perciò di rivolgersi a Rasputin, il quale stava diventando sempre più rinomato per via del suo misticismo e dei suoi poteri da veggente e guaritore.
Effettivamente, dopo gli incontri con il monaco, lo zarevic diede segni di recupero: iniziò così un lungo periodo in cui il monaco divenne una figura molto importante per la famiglia Reale, tanto da influenzarla anche nelle scelte politiche (oltre a essere il punto di riferimento per la salvezza del piccolo Alessio).
Alcuni storici concordano nel dire che il merito delle cure del monaco non fosse altro che la sospensione della somministrazione dell’aspirina, la quale aveva peggiorato i sintomi dell’emofilia, tra i quali il sanguinamento. Si pensa che inoltre il monaco si servisse della propria calma e della capacità di rassicurazione.
Ma non lo sappiamo con certezza. Quel che è chiaro è che Rasputin rimase nelle grazie degli imperatori nonostante iniziassero a venire a galla molti scandali.
Anya alla ricerca della propria identità
Torniamo alla trama: eravamo rimasti al punto in cui la piccola Anastasia e la nonna si separano. A distanza di 10 anni dal tragico evento, l’imperatrice Maria è ormai in esilio a Parigi, e offre una cospicua ricompensa a chi le riporterà la nipote perduta.
Vicino a San Pietroburgo, un’orfana di nome Anya esce dall’orfanotrofio che l’ha ospitata per un decennio. Ha addosso il ciondolo con la scritta “Insieme a Parigi”: pur non ricordando niente della sua infanzia, decide di andare a San Pietroburgo guidata da un cagnolino di nome Pooka (una sorta di “angelo custode” della ragazza, a detta dei registi).
Va fatta una doverosa precisazione. In questo punto del film (1926) vediamo i cartelli con su scritto “San Pietroburgo”, ma in quell’anno nella realtà la città era già stata rinominata Leningrado.
Una volta arrivata in città, la ragazza cerca un modo per andare a Parigi, l’unico indizio che ha al momento per ricordarsi chi è. Ma è priva di un visto d’uscita, e una passante, vedendola in difficoltà, le consiglia di cercare un certo Dimitri nel vecchio palazzo.
La ragazza raggiunge il vecchio e abbandonato palazzo dei Romanov, dove lentamente inizia a ricordare alcuni dettagli della sua vita passata: ci troviamo di fronte alla “scena maestra” dell’intero cartone, forse la più bella e spettacolare.
La giovane inizia a cantare il continuo di “Quando viene dicembre”, e dai quadri appesi alle pareti del palazzo escono gli avi, a tempo di musica, con i vestiti dell’epoca.
La luce si fa man mano più intensa e il pathos massimo giunge quando, nella sua memoria/immaginazione, entra in scena la famiglia di Anastasia e il padre la raggiunge per ballare.
Dimitri e Vlad
La scena del ballo con il padre si smaterializza, e nella sala del palazzo la ragazza incontra Dimitri e Vladimir, due truffatori alla ricerca di una sosia della granduchessa Anastasia. I due, chiaramente, sono interessati al lato economico della vicenda: recepire la ricompensa offerta dall’Imperatrice Maria.
Dopo aver fatto dei provini deludenti ad altre ragazze, i due si illuminano perché notano la somiglianza tra Anya e la Principessa Anastasia raffigurata in un quadro del palazzo.
I tre decidono di mettersi in viaggio per Parigi: gli uomini insegnano ad Anya l’etichetta di corte e lei, ancora piena di dubbi circa la sua identità, spera di poter incontrare presto la nonna e dimostrarle di essere la sua vera nipote.
Pare che il personaggio di Vlad sia stato ispirato a Vladimir Frederiks, ministro della Corte Suprema dello Zar Nicola. Su Dimitri invece non abbiamo riscontrato notizie certe su un suo corrispettivo realmente esistito.
La maledizione dei Romanov e l’epilogo amoroso
Essendo Anastasia ancora viva, la maledizione di Rasputin non si è mai completata, lasciando il monaco così intrappolato in una sorta di limbo.
Ma il suo servo Bartok, un pipistrello albino, ritrova il magico reliquiario di Rasputin, e glielo riporta. Capendo dall’improvviso bagliore dell’oggetto che Anastasia è ancora viva, Rasputin decide di evocare le forze dell’inferno per tentare di ucciderla e di completare la maledizione.
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Durante il film, il viaggio di Anastasia, Pooka, Dimitri e Vlad vede due dinamiche intrecciarsi: da una parte viene più volte interrotto dai tentativi di Rasputin di mandare a monte i loro piani ed eliminare la principessa, dall’altra vediamo che pian piano cresce l’intesa tra Dimitri e Anastasia.
Dopo vari imprevisti, Dimitri riesce finalmente a parlare con l’imperatrice. Dimitri cerca di convincere l’anziana donna (ormai stanca di vedere sosia fasulle della nipote) sul fatto che abbia trovato la vera superstite dei Romanov.
Ma l’imperatrice riconosce Dimitri come un impostore e lo fa cacciare via. Disgustata da ciò, e pensando che il ragazzo abbia fatto tutto solo per denaro (cosa vera, almeno all’inizio) Anya se ne va.
Dimitri però non si arrende: mostra all’Imperatrice il carillon, che Anastasia aveva perso durante la fuga dieci anni prima, da lui recuperato. Maria capisce che Dimitri era il ragazzino che aveva salvato entrambe la notte della tragedia, e, convinta, finalmente incontra Anya.
Le due si ricongiungono e l’Imperatrice riconosce di avere di fronte sua nipote anche grazie al ciondolo sul collo della ragazza, la chiave del carillon.
Da qui si intuisce un susseguirsi di eventi che porteranno al lieto fine. Rasputin attira Anastasia in un’imboscata e cerca di ucciderla, ma la ragazza grazie (anche) all’aiuto di Pooka e di Dimitri, riesce a distruggere il reliquiario di Rasputin, condannando quest’ultimo alla morte e a essere distrutto dai suoi stessi demoni.
Poco tempo dopo Maria legge una lettera di Anastasia, nella quale la ragazza afferma di aver deciso di partire con Dimitri (che non aveva mai voluto la ricompensa) e che un giorno sarebbero tornati a trovarla.
Ah, che bel finale no? Ora scordiamoci la versione romanzata del cartone e andiamo a scoprire la vera e drammatica fine dei Romanov e di Rasputin. Iniziamo proprio da quest’ultimo.
Il vero Rasputin: la presunta immortalità
Il monaco siberiano, nonostante stesse rafforzando il suo potere all’interno della famiglia Reale a seguito degli avvenimenti riguardanti lo zarevic, non era benvoluto dalla società.
Veniva ritenuto un ciarlatano, venne accusato di drogare lo zarevic. Fu oggetto di controversie anche a causa della sua presunta vicinanza alla setta cristiana dei Chlysty (i quali erano accusati di compiere rituali orgiastici, ed erano perciò mal visti dalla gerarchia ecclesiastica).
La stampa locale sosteneva che fosse implicato in scandali sessuali: c’è chi riteneva fosse addirittura divenuto l’amante della zarina. La sua figura fu avvolta ancor di più da un alone di mistero, poiché sopravvisse ai numerosi tentativi di omicidio a suo danno.
Questi episodi fecero velocemente il giro della capitale, e cominciò a diffondersi la fama che Rasputin fosse immortale.
La congiura contro Rasputin e la morte
C’è da fare una precisazione importante: la figura di Rasputin si colloca in un periodo estremamente difficile per lo Zar. Egli aveva subito da poco la pesante sconfitta militare nella guerra russo-giapponese, e a seguito dei tumulti e delle proteste del 1905 aveva dovuto siglare il “Manifesto di ottobre”, con il quale rinunciava a parte dei suoi poteri autocratici.
E non dimentichiamoci che la Prima Guerra Mondiale incombeva. Possiamo dunque immaginarci quanto il contesto fosse estremamente complicato: il paese era nel caos, devastato anche da un aumento dell’inflazione. Si susseguirono le rivolte popolari: il popolo aveva sfiducia nella già compromessa autorità reale. Pare inoltre che Rasputin avesse consigliato più volte allo Zar di rinunciare alla Guerra.
C’è da aggiungere che per molti eventi della vita del monaco non si hanno fonti certissime. Per esempio, per quanto riguarda la morte, gli stessi attentatori hanno rilasciato versioni contrastanti. Sicuramente sappiamo che alcuni uomini dell’alta società volevano uccidere quell’uomo “rozzo” e troppo invadente nelle decisioni della monarchia.
Pare che la congiura finale contro Rasputin partì dal principe Felix Jusupov, un uomo dell’alta società russa molto ricco, da poco sposato con la granduchessa Irina, nipote del monarca.
Jusupov reclutò altri congiurati, e nel dicembre del 1916 attirò Rasputin nel suo palazzo con la promessa di un incontro con Irina, dalla quale il monaco era affascinato. Stando ai racconti di Yusupov, lui e i suoi complici riuscirono a uccidere il monaco soltanto dopo molti tentativi falliti.
Pare che più volte Rasputin abbia detto: “Dopo di me, crollerà la monarchia”. E così avvenne.
La fine dei Romanov
La Rivoluzione russa scoppiò nel 1917: Nicola II abdicò diventando semplicemente Nicola Romanov. Con la rivoluzione in patria e il catastrofico fallimento della Prima Guerra Mondiale all’estero, la dinastia dei Romanov giunse a una rapida fine.
Le forze bolsceviche tennero la famiglia prigioniera, spostandola di luogo in luogo, fino a Ekaterinburg, in Siberia. Sempre più bolscevichi facevano pressioni perché fossero processati.
Col proseguire della guerra civile innescata dalla Rivoluzione, l’Armata Bianca (un’alleanza delle forze anti-comuniste) minacciò di impadronirsi della città. I rivoluzionari, dall’altra parte, ebbero il terrore che i Romanov potessero essere in qualche modo salvati dai “bianchi”.
La notte del 16 luglio 1918 fu inviato a Mosca un telegramma che informava Lenin della decisione di trucidare i prigionieri.
Vista l’avanzata dell’armata controrivoluzionaria, il soviet locale diede quindi l’ordine di accelerare i tempi dell’esecuzione, che venne affidata al rivoluzionario Jurovskij.
Egli informò i Romanov che il conflitto tra le armate rossa e bianca stava minacciando la città e che, per la loro stessa sicurezza, dovevano essere trasferiti nel seminterrato. Riuniti tutti insieme in una stanza spoglia, i Romanov erano ancora ignari del proprio destino.
Jurovskij si avvicinò, con i carnefici dietro di lui sulla soglia, e lesse ai prigionieri:
Il praesidium del soviet regionale, adempiendo al volere della rivoluzione, ha decretato che l’ex zar Nicola Romanov, colpevole di innumerevoli sanguinosi crimini contro il popolo, debba essere fucilato.
Quando Jurovskij terminò la lettura, le guardie cominciarono a sparare. I Romanov vennero sterminati.
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Anastasia è ancora viva?
Il silenzio forzato attorno al destino dei Romanov alimentò un’infinita curiosità. Nei decenni successivi spuntò un alto numero di impostori, la maggior parte dei quali sosteneva di essere uno dei figli dello zar. Ogni volta che compariva un nuovo pretendente, la storia riemergeva.
La sosia più famosa fu Anna Anderson. Nel febbraio 1920, a Berlino, fu ricoverata in un ospedale psichiatrico in seguito a un fallito tentativo di suicidio. Non fu in grado di rivelare la propria identità e per giorni non parlò per niente.
Dopo qualche tempo un’altra donna ricoverata la riconobbe come la granduchessa Tatiana, ma lei affermò di essere Anastasia. In effetti, le voci relative al fatto che una parte della famiglia Romanov fosse sopravvissuta erano all’epoca abbastanza consistenti.
Il comunicato ufficiale bolscevico, infatti, faceva riferimento alla sola morte dello Zar, senza menzionare il resto della famiglia. C’è da dire inoltre che c’erano coincidenze anatomiche tra le due (colore degli occhi, altezza e presenza di una piccola deformità ai piedi), quindi molti pensavano che la donna stesse dicendo il vero.
Solo nel 1994 fu possibile eseguire le analisi del DNA, che portarono definitivamente a concludere che Anna Anderson non poteva in alcun modo essere imparentata con la famiglia Romanov.
Nell’agosto 2007, nella regione degli Urali, furono ritrovati i corpi di due bambini, accanto ai quali vi erano pallottole e boccette di acido solforico (usato per occultare i cadaveri).
Gli esami del DNA conclusi un anno dopo hanno confermato che i resti rinvenuti sono quelli di Maria e di Alessio. Ciò escluse così la possibilità che qualche membro della famiglia Reale fosse riuscito a sfuggire al massacro di Ekaterinburg.
Un omaggio all’innocenza
Don Bluth e Gary Goldman hanno volontariamente offerto agli spettatori una versione romanzata della storia, sebbene abbiano preso molti spunti dalla realtà.
Come affermano nei commenti del film, hanno svolto molte ricerche affinché si respirasse comunque parte dell’atmosfera dell’epoca: per esempio attraverso gli scenari realistici di San Pietroburgo e Parigi, e attraverso i vestiti, disegnati sulla base di vere fotografie scattate alla famiglia Reale e alla gente dell’epoca.
Abbiamo constatato la drammaticità della vera vicenda di Anastasia, uccisa senza colpe proprie. Attraverso la trama avvincente del film, i registi sono riusciti a dare un finale alternativo, sebbene fantasioso, alla vita della Principessa, che – anche se solo sullo schermo – ha avuto la possibilità di un destino migliore.
Alessia Loddo
Immagini ©20th Century Studios
Fonti:
Contenuti speciali e commenti dei registi, DVD Anastasia – 2011;
Ulisse: il piacere della scoperta. Zar- gloria e caduta;
La tragica fine dei Romanov, Storica – National Geographic;
Grigorij Rasputin, l’ombra degli zar. Storica – National Geographic.