Nel nostro odierno appuntamento con la rubrica Infanzia Rovinata, ci focalizzeremo su un caposaldo indiscusso del cinema Disney. Parliamo del Classico numero due: Pinocchio, del 1940.
A quel tempo, il lungometraggio non riuscì ad avere un impatto dirompente: il pubblico americano evidenziò le differenze con il precedente (e apprezzatissimo) Biancaneve e i Sette Nani, mentre all’estero distribuire il film fu difficile quando non impossibile, a causa dello scoppio della guerra. Tuttavia successivamente la pellicola fu riscoperta e rivalutata, e oggi è amatissima da tutte le generazioni di spettatori. Questo dovrebbe riempirci di orgoglio in quanto popolo italiano, dato che prende ispirazione dall’omonimo romanzo, che in molti ritengono la fiaba italiana per eccellenza. Giusto?
In realtà, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino non nacque come romanzo: fu una storia a puntate pubblicata per la prima volta nel 1881 sul periodico italiano Il giornale dei bambini. L’autore era il giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Carlo Collodi.
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Lo scopo di Pinocchio: non una fiaba, ma un romanzo pedagogico
Oggi il romanzo di Pinocchio viene considerato una fiaba a tutti gli effetti. Sono presenti infatti numerosi elementi fantastici, che spaziano dalla magia agli animali parlanti.
Anche l’ambientazione è incerta, come in tutte le fiabe che si rispettino. Collodi non specifica mai né l’anno né il luogo in cui si svolgono le peripezie del burattino. Nonostante questo, è presumibile che il romanzo abbia luogo in Toscana in un periodo poco precedente o poco successivo all’Unità d’Italia (nella pellicola il setting è decisamente più mitteleuropeo, dal sapore vagamente bavarese).
Secondo alcune fonti, molti luoghi delle avventure di Pinocchio sarebbero ispirati ad altri realmente esistiti tra la periferia nord di Firenze e il comune di Sesto Fiorentino. Ad esempio, è proprio qui che Collodi ha preso spunto per il famosissimo Paese dei Balocchi, ispirandosi a una fiera cittadina che si tiene tuttora alla fine di ogni estate.
Ma è sicuramente la morale l’elemento fiabesco dominante nel romanzo. Tutto il testo è infatti intriso di un’infinità di insegnamenti, impartiti praticamente da tutti i personaggi positivi e sottintesi dai comportamenti degli antagonisti. Pinocchio rappresenta il classico bambino da formare, in quanto “nato” senza nessun tipo di educazione. Questi elementi sono talmente incisivi e ridondanti da fare parte, ormai, della nostra cultura generale.
Quante volte i vostri genitori o nonni vi hanno avvertito che se aveste detto bugie vi si sarebbe allungato il naso? O che se non aveste studiato vi sareste trasformati in un asino?
Il successo planetario di Pinocchio
Questo e molto altro hanno contribuito a rendere Pinocchio un vero e proprio fenomeno mondiale. Il capolavoro di Collodi, infatti, secondo la Fondazione Carlo Collodi, risulta essere stato tradotto in ben 240 lingue diverse! Sono state anche realizzate moltissime trasposizioni cinematografiche e televisive, delle quali il lungometraggio di Walt Disney non è nemmeno la prima. Il capostipite dei film sul burattino di legno risale addirittura al 1911, mentre un altro film di animazione italiano doveva essere realizzato negli anni ’30, salvo esser poi cancellato.
Degni di menzione sono anche la famosissima serie televisiva di Luigi Comencini del 1972 e il nuovissimo film del 2019 di Matteo Garrone. Oltre, poi, a un’infinità di fumetti, videogiochi, ristampe e canzoni. Famosissime sono Lettera a Pinocchio del 1959, interpretata da Johnny Dorelli nel 1960, e Il Gatto e la Volpe di Edoardo Bennato del 1977.
Il nostro Classico Disney risale invece, come abbiamo accennato, al 1940 e il suo successo è ancora planetario dopo ben 80 anni. Fu anche il primo film Disney a vincere sia il premio Oscar per la miglior colonna sonora sia quello per la miglior canzone (When you wish upon a star – Una stella cade). In seguito ci riuscirono soltanto Mary Poppins e La Sirenetta.
Nonostante l’affetto che proviamo per la pellicola e tutti i suoi personaggi, per molti di noi il film Pinocchio risulta piuttosto inquietante in molti suoi aspetti. Ma vogliamo tranquillizzarvi: la fiaba di Collodi è molto, molto peggio! Ecco le principali differenze tra film e libro.
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La stella dei desideri
Il film di Pinocchio inizia con il Grillo Parlante che, dopo aver eseguito la famosa canzone Una stella cade, inizia a raccontare la storia, sfogliando l’iconico libro che ha accompagnato le introduzioni di moltissimi tra i primi classici. Il protagonista iniziale è proprio il Grillo che, vagabondando, si ritrova nella casa di Geppetto. Piuttosto che dai giocattoli e dagli orologi, la sua attenzione viene catturata da una marionetta inanimata.
Quando giunge Geppetto, insieme al suo gattino Figaro, questi effettua gli ultimi ritocchi all’ometto di legno. Una volta completato, Geppetto decide di chiamarlo Pinocchio e per festeggiarne la “nascita”, aziona tutti i suoi giocattoli musicali e inizia a ballare con la marionetta, Figaro e la pesciolina Cleo. Approfittando anche per far fare a Pinocchio qualche dispetto al gattino.
Una volta andato a dormire, mentre fuma la sua pipa in attesa di prendere sonno, Geppetto scorge la Stella dei Desideri in cielo: la stessa che è oggetto della già citata canzone. Così, il falegname chiede in ginocchio di realizzare il suo desiderio: far diventare Pinocchio un bambino vero. Il Grillo Parlante non può nascondere la sua ilarità nel sentire un desiderio così assurdo ma, una volta che Geppetto si è addormentato, deve ricredersi.
La stella infatti, plana fin dentro la casa di Geppetto, per poi tramutarsi nella Fata Azzurra. Lei, per ricompensare la sua generosità verso il prossimo, esaudisce così il desiderio di Geppetto e, con un tocco di bacchetta, dà vita a Pinocchio.
C’era una volta un pezzo di legno
Nel libro di Collodi invece, la “nascita” di Pinocchio è ben diversa. La narrazione, infatti, inizia addirittura da quando il protagonista ancora non è nient’altro che un pezzo di legno.
Il futuro Pinocchio si ritrova per qualche motivo nella bottega di un falegname di nome Mastro Antonio, meglio conosciuto come Mastro Ciliegia, per via della sua punta del naso eternamente paonazza. L’artigiano intende utilizzare il ceppo per farci una gamba di un tavolino, non essendo di legno pregiato. Ma quando inizia a lavorarlo… il legno inizia a lamentarsi e a pregarlo di non fargli male!
Spaventato, Mastro Ciliegia abbandona subito gli attrezzi e decide di sbarazzarsi del legno. Approfitta infatti della tempestiva visita del suo collega e amico Geppetto per rifilarglielo. Questi infatti, aveva chiesto a Mastro Ciliegia di prestargli un pezzo di legno per farne un burattino, in modo da guadagnarsi da vivere con degli spettacoli.
N.B.: benché sia chiaro che, anche nel libro, Pinocchio sia a tutti gli effetti una “marionetta” e non un “burattino”, Collodi decide di utilizzare liberamente quest’ultima espressione per definirlo. E così faremo anche noi, per semplicità… Anche perché, dai! Pinocchio è sempre stato per tutti noi un burattino!
Tornato a casa, Geppetto inizia a creare Pinocchio dal legno. Ma via via che porta a termine le parti del viso, il burattino si fa sempre più impertinente. Lo guarda male con gli occhi; fa allungare il naso per dispetto; canzona Geppetto una volta finita la bocca; gli ruba la parrucca non appena può muovere le mani. Ma, cosa più grave, scappa di casa appena il falegname lo ha completato.
Vediamo quindi come nel romanzo originale, Pinocchio fosse già vivo prima ancora di essere fabbricato, mentre nel film il burattino prende vita solo grazie alla magia della Fata, che invece nel libro comparirà solo molto più avanti. Inoltre, nel film vediamo un Geppetto molto dolce che, probabilmente vittima della solitudine, desidera ardentemente un figlio. Il Geppetto di Collodi invece, non sente inizialmente questa necessità e in fondo possiamo dire che si ritrova ad avere un figlio senza volerlo.
Anche Pinocchio però, in realtà è da subito un bambino disubbidiente e irriverente, contrariamente alla sua controparte cinematografica, sicuramente ingenua, ma mai irrispettosa verso il padre. Nel libro di Collodi Pinocchio, una volta scappato di casa, viene catturato da un carabiniere e riconsegnato al babbo. Ma questi, furioso con il figlio per essere scappato, lo avverte che avrebbero fatto i conti a casa. Queste parole destano grande scompiglio negli astanti, preoccupati che Geppetto possa fare a pezzi il burattino.
Ed è così che Geppetto viene arrestato dal carabiniere e gettato in prigione.
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Mettere a tacere la propria coscienza
Siamo sicuri che vi starete domandando: ma il Grillo Parlante? Dov’è la coscienza di Pinocchio nel libro?
Ci dispiace deludervi, ma purtroppo il Grillo Parlante nel romanzo di Pinocchio non è una figura così centrale come nel film. Ormai tutti associamo la figura del Grillo alla parola “coscienza”. Nel cartone animato, è la Fata Azzurra che elegge il piccolo insetto a Coscienza ufficiale del burattino, chiedendogli di aiutarlo a distinguere il bene dal male. In pratica, il Grillo diventa una sorta di mentore di Pinocchio, che lo mette in guardia dai pericoli e gli consiglia come comportarsi. Per non parlare di quando lo aiuta materialmente, come quando lo fa scappare dal Paese dei Balocchi.
Il Grillo Parlante è uno dei personaggi più amati del film. Il suo successo fu talmente rilevante da fargli guadagnare diversi ruoli anche in altre realizzazioni Disney (ad esempio nel Canto di Natale di Topolino, 1983). La sua saggezza risulta quanto mai preziosa per Pinocchio, e la caratterizzazione simpatica e non banale del personaggio lo rendono irresistibile. Una figura impreziosita, per noi italiani, anche dalla magistrale interpretazione di Carlo Romano, gigante del cinema e del doppiaggio dell’epoca (è stato la voce di Jerry Lewis, Lou Costello nonché di Fernandel in Don Camillo).
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Nel libro la figura del Grillo non è ufficialmente associata alla coscienza di Pinocchio. Questa associazione è più implicita e sottile, anche se in fin dei conti chiara. Purtroppo, però, il protagonista non dà molto ascolto al Grillo Parlante. E soprattutto i due interagiscono solo quando si incontrano quelle poche e casuali volte. Una di queste è proprio quando Pinocchio torna a casa dopo che Geppetto è stato arrestato. Il Grillo, che viveva nella casa da cento anni, ammonisce il burattino che i bambini che scappano dai genitori non avranno mai nulla di buono nella vita.
Pinocchio però non lo vuole ascoltare e gli anticipa che, approfittando dell’assenza di Geppetto, sarebbe scappato di casa il giorno dopo, o il padre lo avrebbe portato a scuola. Il Grillo allora lo avverte ancora che, se non studierà o lavorerà, finirà all’ospedale o in prigione. Furioso per i continui malauguri del Grillo, Pinocchio prende un martello e glielo scaglia contro. Senza volerlo, lo colpisce però al capo e lui “ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete”.
Ma come vedremo, non si può mettere per sempre a tacere la propria coscienza.
Marinare la scuola
La solitudine di Pinocchio comunque durerà appena una nottata, in cui soffrirà per i morsi della fame e si carbonizzerà anche i piedi. La mattina dopo infatti, Geppetto torna a casa, ormai libero dalla prigione, e sistema tutto, sfamando il figlio con delle pere, rifacendogli i piedi e vestendolo di “un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane“. Il burattino, felice nel rivedere il padre, gli promette che il giorno dopo andrà a scuola. Ma lo farà davvero?
In entrambe le versioni Pinocchio decide di marinare la scuola, per potersi recare al teatro dei burattini di Mangiafuoco (o Mangiafoco, rigorosamente senza U, nella stesura originale di Collodi). Ma il modo in cui ci giunge e ciò che accade effettivamente al cospetto del burattinaio, sono molto diversi tra film e libro, e caratterizzano in modo diverso i personaggi.
Nel film, Pinocchio si dirige a scuola eccitato e incuriosito, portando con sé i suoi libri e la mela per il maestro. Purtroppo, sulla via incontra quei simpaticoni (si fa per dire) del Gatto e la Volpe, che lo convincono ad abbandonare la scuola per intraprendere la carriera di attore.
In realtà, il loro unico scopo è quello di vendere per una cospicua somma il burattino a Mangiafuoco, sicuri che il burattinaio non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di avere una marionetta vivente nella sua collezione. Il fatto che il Grillo in quel momento non sia con Pinocchio, fa sì che il bambino di legno si lasci convincere. D’altronde, come avrebbe potuto resistere a questa canzone?
Nel libro Pinocchio marina volontariamente la scuola, senza alcun bisogno di essere convinto da nessuno. Il Gatto e la Volpe non compariranno ancora per alcuni capitoli. Gli basta sentir suonare dei pifferi dal teatro per convincersi subito ad andarci: peccato che per assistere allo spettacolo gli servano quattro soldi…
Ed è qui che Pinocchio compie forse il gesto più deplorevole di tutto il libro: vende il suo libro di scuola, l’abbecedario, per guadagnare i soldi necessari. Oltre al gesto sprezzantemente metaforico, in cui un ragazzo baratta senza problemi la cultura per un po’ di divertimento, compie anche un grosso sgarbo a Geppetto che, per comprarglielo, ha dovuto vendere la sua giacca e rimanere in maniche di camicia in pieno inverno!
Geppetto infatti è povero, estremamente povero. Talmente povero da avere solo una pentola sul fuoco dipinta, in casa. La miseria del falegname è un elemento che verrà rimarcato in tutto il libro, in quanto Geppetto si fa in quattro per non far mancare niente al figlio, rinunciando anche a mangiare lui stesso. Mentre, invece, Pinocchio non gli porta rispetto e getta spesso al vento tutti i suoi sacrifici.
Questa è una peculiarità che non riscontriamo nel Geppetto Disney, che è premuroso ma non sembra essere povero come quello di Collodi. In effetti, come vedremo, nel libro le disgrazie e i disagi dei personaggi sono spesso esasperati al massimo, in modo da incrementare la funzione pedagogica della fiaba. Molto probabilmente, Walt Disney scelse un approccio meno crudo e anche più realistico per il tempo nella caratterizzazione dei suoi personaggi.
Il cattivo compassionevole
È a questo punto del film che entra in scena il malvagio burattinaio Mangiafuoco (Stromboli nell’edizione originale). Qui ha già comprato Pinocchio dal Gatto e la Volpe e lo si vede per la prima volta mentre lo annuncia al suo pubblico. Mangiafuoco viene presentato come un uomo molto grosso e dalla voce possente, per la verità più simile a un gitano che a un burattinaio italiano.
Ma sarà solo dietro le quinte che l’omone dimostrerà tutta la sua malvagità, e perché sia l’unico antagonista del film a essere stato inserito nella linea ufficiale dei Cattivi Disney. Il burattinaio, infatti, intende sfruttare Pinocchio nel suo spettacolo come marionetta vivente, con l’intento di girare il mondo e guadagnare un sacco di soldi, fin quando non fosse diventato troppo vecchio. A quel punto, lo avrebbe gettato nel fuoco! Come compenso, gli riconosce solo un pezzo di ferro che ha trovato nel sacco di monete dell’incasso della serata, e inoltre lo imprigiona in una piccola gabbia, per non lasciarselo sfuggire.
Fortuna vuole che il Grillo lo raggiunga e in suo soccorso arrivi anche la Fata Azzurra. Chiedendo chiarimenti sul perché non fosse andato a scuola, il burattino però le mente spudoratamente e qui, assistiamo all’iconica scena in cui, per ogni bugia che dice, gli si allunga il naso. Disperato per la situazione, il burattino chiede perdono alla fata e lei, misericordiosamente, fa tornare il suo naso alle dimensioni originali e lo libera dalla gabbia, in modo che possa fuggire da Mangiafuoco.
Nel libro, Mangiafoco è caratterizzato in modo molto diverso. Viene illustrato come ancora più minaccioso della sua versione cinematografica, con una barba nera lunga fino ai piedi, una bocca enorme, degli occhi rossi e con in mano una frusta fatta di serpenti e code di volpe. Giunge nel teatro quando i suoi burattini (che sono vivi come Pinocchio) riconoscono il protagonista come loro fratello, e lo chiamano sul palco interrompendo la recita. Così, Mangiafoco arriva a ristabilire l’ordine e porta con sé Pinocchio, per gettarlo nel fuoco dove sta arrostendo un montone per sé.
Ma Mangiafoco in realtà, pur essendo estremamente minaccioso e burbero, si scopre non essere affatto cattivo. Nel sentire implorare Pinocchio e chiamare il suo babbo in soccorso, il burattinaio si commuove e lo dimostra con una peculiarità… starnutendo!
Convintosi a non bruciare Pinocchio, all’inizio pensa di dar fuoco ad Arlecchino, ma poi ci ripensa quando il bambino di legno chiede di riprendere lui stesso il posto dell’amico, che non c’entrava nulla. Nel vedere Pinocchio sacrificarsi in questo modo, Mangiafoco inizia di nuovo a starnutire e così decide di non bruciare nessuno. Per ringraziarlo della clemenza, Pinocchio addirittura corre a baciarlo e il burattinaio, per aiutare lui e Geppetto, gli regala ben cinque monete d’oro.
Pinocchio così torna a casa euforico, perché potrà ripagare tutti i sacrifici di Geppetto. Ma si sa… mai mettere in mostra i soldi, mentre ci si trova per strada!
La “prima conclusione” di Pinocchio
Arrivati a questo punto del film, con la fuga di Pinocchio e del Grillo da Mangiafuoco, inizia la sequenza che porterà i due al Paese dei Balocchi. Ma nel libro il burattino dovrà affrontare moltissime altre peripezie prima di giungere nel paese della cuccagna. Tra queste vedremo anche quello che nei programmi di Collodi avrebbe dovuto essere il finale dell’opera. Siamo sicurissimi che ne rimarrete scioccati.
Come dicevamo, Pinocchio sta tornando a casa con le sue cinque monete d’oro regalategli da Mangiafoco. Ma sulla strada ecco che “finalmente” si imbatte nel Gatto e la Volpe. I due furbacchioni sono molto simili alle loro controparti cinematografiche, ma in più, per riuscire a truffare meglio il prossimo, la Volpe finge di essere zoppa e il Gatto di essere cieco da entrambi gli occhi.
Nel parlare con loro, Pinocchio mostra incautamente i cinque zecchini d’oro, spiegando che intende donarli tutti al suo babbo. Ma i due, analogamente al film, lo convincono che sia possibile fare soldi facilmente. La Volpe infatti, spiega che, in un luogo chiamato il Campo dei Miracoli, nel Paese dei Barbagianni, se si seppellisce una moneta d’oro e la si innaffia un poco, il giorno dopo spunterà un albero carico di altri zecchini d’oro. Sbalordito dalla possibilità di avere tutto quel denaro per sé e per il suo babbo, Pinocchio segue i due malviventi senza indugi.
Sulla strada i tre compagni di viaggio alloggiano all’Osteria del Gambero Rosso. Qui il Gatto e la Volpe si concedono un banchetto di tutto rispetto, per poi andarsene durante la notte e lasciare il conto da saldare a Pinocchio: il povero burattino è costretto a pagare con una delle sue monete d’oro. Ma il loro è tutto uno stratagemma, perché anche se gli hanno dato ufficialmente appuntamento al Campo dei Miracoli, in realtà lo stanno aspettando nascosti nell’ombra…
Pinocchio si affretta quindi a raggiungerli, nonostante debba mettersi in cammino nell’oscurità della campagna notturna. E nonostante gli avvertimenti del fantasma del Grillo Parlante, Pinocchio non si perde d’animo e prova a proseguire il viaggio per conto suo. Ben presto scopre di non essere affatto da solo! Due loschi figuri, mascherati di nero, che Collodi descrive con la testuale parola “assassini“, minacciano il burattino di consegnare loro le monete. Che però Pinocchio ha nascosto abilmente sotto la lingua.
Purtroppo per lui, gli assassini (che non sono nient’altro che il Gatto e la Volpe mascherati) lo scoprono dopo aver minacciato di fare del male anche a Geppetto. Pinocchio così si dà alla fuga disperata per la campagna. Dopo una corsa estenuante, avvertendo costantemente il fiato degli assassini sul collo, sta però per arrendersi alla stanchezza. Ma in lontananza scorge una casa bianca e con le ultime forze corre a perdifiato per raggiungerla. Dopo aver bussato violentemente alla porta, una bambina dai capelli turchini e la pelle cadaverica si affaccia, dicendogli che in quella casa sono tutti morti, compresa lei!
Pinocchio viene quindi raggiunto dai suoi aguzzini, che per fargli sputare le monete d’oro lo impiccano a una quercia. Il Gatto e la Volpe aspettano quindi per tre ore che il burattino muoia, ma alla fine si stancano e lo lasciano appeso, pensando di tornare la mattina dopo. Pinocchio rimane così solo, attaccato per il collo all’albero, sballottato dal vento mentre cerca di divincolarsi. Mentre la vita lo abbandona, non può fare a meno di pensare a Geppetto: con il poco fiato che gli rimane, balbetta “Oh, babbo mio! Se tu fossi qui…”.
E questa è la conclusione che l’autore fiorentino avrebbe voluto dare alla fiaba!
Un aiuto magico per Pinocchio
Caso volle che (analogamente a quello che assistiamo anche al giorno d’oggi quando il finale di una saga non soddisfa appieno i fan) i lettori abbiano protestato vivacemente per quella conclusione così tragica. Così, Collodi decise di proseguire i racconti sul burattino che aveva conquistato così tanti cuori.
Nel libro, Pinocchio viene soccorso in tempo dalla bambina dai capelli turchini che dimora nella casa di fronte, che lo porta in casa e lo fa visitare da degli illustri dottori. Qui si viene a scoprire che la bambina in realtà è una fata millenaria, conosciuta da tutti come Fata Turchina.
Pinocchio si riprende molto velocemente dalla scampata impiccagione, ma continua a fingere di stare male. Così la Fata chiama dei conigli becchini, per portarlo via direttamente in bara. Il burattino così crolla e ammette di stare bene, ma quando la Fata gli chiede dove abbia messo le monete d’oro, lui mente spudoratamente. Ed è qui che assistiamo all’iconica scena del naso che si allunga, talmente tanto da non riuscire più a entrare nella stanza.
Dopo che Pinocchio si pente ancora una volta, la Fata chiama dei picchi che fanno tornare il suo naso alla normalità e così il burattino può finalmente andare incontro a Geppetto, convocato dalla Fata. Ma una volta per strada, Pinocchio ci ricasca! Incontra ancora il Gatto e la Volpe (che non aveva riconosciuto nei panni degli assassini) i quali lo convincono di nuovo a sotterrare le sue monete al Campo dei Miracoli.
Come conclusione, Pinocchio sotterra le sue quattro monete d’oro e, poco dopo… non ci sono più! Chi l’avrebbe mai detto?
Il burattino allora denuncia i due malfattori per il furto, ma di contro viene messo in galera lui stesso, poiché nel paese degli Acchiappa-citrulli gli innocenti finiscono in carcere! Riuscirà a uscirne solo quattro mesi dopo, dichiarandosi un furfante. Ma prima di poter tornare dalla Fata, verrà anche costretto a fare il cane da guardia per diverso tempo.
Pinocchio sulla retta via
Arrivato alla casa della Fata, scopre da una targa che è morta di crepacuore aspettandolo. Pinocchio, rimasto di nuovo solo, si reca quindi alla ricerca di Geppetto, partito per il nuovo mondo nella speranza di trovarlo. Ma una volta in mare, il burattino viene scaraventato via dalla corrente e finisce nel Paese delle Api Industriose, dove tutti si guadagnano da vivere lavorando o studiando.
Accettando un umile lavoro, Pinocchio ritrova la Fata Turchina, che non è più una bambina, ma una donna. Il burattino quindi va a vivere con lei, la quale fa le veci di una madre. In questo periodo, Pinocchio inizia a studiare con costanza e a comportarsi bene, sebbene vada incontro a qualche piccola disavventura con gli amici e con un grosso pescatore verde che vuole friggerlo in padella.
Il burattino riesce a impegnarsi così tanto nello studio che la Fata gli promette che il giorno dopo lo avrebbe trasformato in un bambino vero. Pazzo di gioia, Pinocchio decide di festeggiare con i suoi compagni di scuola, tra i quali c’è il suo migliore amico Romeo, un bambino estremamente magro, così tanto da essere soprannominato… Lucignolo! E che sta per partire per il Paese dei Balocchi!
Nel paese della cuccagna
Come ben sapete, Pinocchio salirà insieme a Lucignolo sul carro che li condurrà al Paese dei Balocchi. E qui finalmente il libro si ricongiunge agli eventi narrati nel film Disney, anche se in questo caso sono sempre il Gatto e la Volpe a convincere Pinocchio a recarsi nel paese degli svogliati. Ma il loro mandante non è nient’altro che il malvagissimo postiglione del carro!
La sequenza del Paese dei Balocchi è senza dubbio la più fedele al libro di Collodi, infatti in entrambi è proprio il cocchiere a convincere i bambini svogliati a farsi portare nel luogo di perdizione, in modo che, solamente divertendosi senza mai studiare, si possano trasformare in ciuchini per poi esser rivenduti. Un piano infido e miserabile di un personaggio che nel film viene caratterizzato a tratti mostruosamente. Tanto da far impaurire anche il Gatto e la Volpe.
Quando avviene la mutazione, nel film assistiamo a una delle scene più strazianti dell’intera storia Disney. Il volto di Lucignolo si tramuta in quello di un asino, mentre inizia a barcollare e non riesce più a camminare. Disperato, prega in ginocchio Pinocchio di aiutarlo, ma le mani si tramutano in zoccoli. Fin quando vediamo solo la sua ombra che si china a quattro zampe, mentre con gli ultimi spasmi di voce pieni di disperazione, chiama la mamma.
Per fortuna il Grillo Parlante è sempre con Pinocchio e, accorgendosi per tempo di quello che accade, riesce a far scappare il burattino prima che si trasformi completamente.
Ma il Pinocchio del libro non è così fortunato e a lui tocca lo stesso destino del povero Lucignolo. Il postiglione riesce quindi a venderlo a un circo, dove viene costretto a ripetere all’infinito sempre lo stesso numero. Durante un’esibizione è però distratto dalla presenza della Fata Turchina, così sbaglia e si azzoppa. Il direttore lo vende a un uomo che vuole utilizzare la sua pelle.
Questi gli lega un sasso intorno al collo e lo getta in mare per affogarlo. Ma sul fondo dell’oceano, i pesci (mandati lì dalla Fata) mangiano l’intero strato di pelle e carne d’asino, riportando alla luce il legno di cui era costituito. Così Pinocchio torna finalmente a essere un burattino e fugge dall’uomo che voleva spellarlo.
Mentre nuota libero nel mare, viene però inghiottito dal terribile Pesce-cane.
La riconciliazione con Geppetto
Proprio nella pancia del grande animale Pinocchio, dopo tantissimo tempo, ritrova il suo amato babbo, che si era imbarcato alla volta del Nuovo Mondo per cercare suo figlio ed era incappato anche lui nelle grinfie della temibile bestia. Nel libro, come abbiamo visto, l’incontro è casuale, visto che il Pesce-cane inghiottisce il burattino che si trovava in mare per altri motivi. Nel film invece Pinocchio si tuffa volontariamente in mare, con il preciso intento di salvare Geppetto, dato che è venuto a sapere del suo triste destino dalla Fata. Ma il mostro in questo caso è invece una balena, non uno squalo come nel libro. Probabilmente poteva sembrare più plausibile che una balena potesse inghiottire delle persone vive.
Una volta riabbracciati, nel film Pinocchio escogita un geniale piano per scappare dalla balena: farla starnutire per farsi sputare via. Nel libro la vicenda è leggermente simile, poiché qui Pinocchio e Geppetto approfittano del fatto che il Pesce-cane dorma a bocca aperta per via del suo asma. La fuga è sicuramente molto meno rocambolesca rispetto al film. Qui infatti Pinocchio dà tutto se stesso per salvare Geppetto dalla balena furiosa, e ci riesce soltanto a costo della vita.
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Si avvera quindi anche nel film il destino nefasto che Collodi aveva inizialmente pensato per il protagonista.
Il cammino per diventare un bambino vero
Scappati dalla bocca del Pesce-cane, le cose finalmente iniziano a mettersi molto meglio per i due poveri sventurati. Soprattutto grazie alla buona volontà di Pinocchio. Ed è proprio questa una delle differenze più importanti tra il libro e il film.
Nel libro, Pinocchio e Geppetto si sistemano in una capanna del Grillo Parlante, che aveva ricevuto in dono dalla Fata Turchina. E per assistere il povero babbo, ormai infermo, Pinocchio inizia a lavorare da un ortolano. Qui ha un tristissimo incontro con il suo vecchio amico Lucignolo, rimasto un ciuchino e ormai in fin di vita. Precedentemente, aveva anche incontrato il Gatto e la Volpe, che a forza di fingere, erano diventati veramente disgraziati.
Per cinque mesi Pinocchio lavora sodo dall’ortolano per accudire Geppetto. Ma un giorno scopre che anche la Fata Turchina è ammalata e quindi decide di lavorare ancora di più per avere cura anche di colei che, in un periodo della sua vita, gli ha fatto da madre. Quella stessa notte, la Fata gli appare in sogno e gli annuncia che, grazie al suo spirito di sacrificio verso lei e Geppetto, lo farà diventare un bambino vero.
Anche nel film, la Fata resuscita Pinocchio e lo trasforma in un bambino vero per lo stesso motivo. Tuttavia nell’adattamento cinematografico si ha la sensazione che il sacrificio inteso sia più estemporaneo, in quanto il burattino salva la vita a Geppetto in una situazione di pericolo, quando sono inseguiti dalla balena. Sicuramente un sacrificio più “hollywoodiano”.
Nel libro, il sacrificio sembra essere inteso più nel senso di votare la propria vita alla cura di un proprio caro. Pinocchio infatti inizia a lavorare con il massimo impegno per accudire il padre e la Fata. Il burattino impara quale sia il vero senso dell’impegno quotidiano nel lavoro e nello studio, oltre che il vero rispetto verso i sacrifici fatti dai suoi cari per lui. L’aspetto pedagogico è dunque, come già abbiamo spiegato, predominante.
Il finale è estremamente gioioso in tutte e due le opere, ma anche qui ci sono delle differenze. Nel film, Pinocchio riapre gli occhi e si accorge di essere diventato un bambino vero, così che tutta la casa possa esplodere di felicità e si possa dare inizio alla festa. E il Grillo Parlante può rimirare la sua medaglietta premio.
Il finale del libro è invece molto più particolare: Pinocchio si sveglia una mattina come un bambino vero, in una bella casa e con Geppetto di nuovo in forma. Quasi come se si fosse svegliato da un incubo, visto che anche Geppetto pare non ricordare più nulla. All’improvviso, Pinocchio vede il suo burattino poggiato da una parte, e dice semplicemente: “Come ero buffo quando ero un burattino di legno!”
Siamo quindi giunti alla conclusione del nostro viaggio tra le due opere raffiguranti Pinocchio e tutti i personaggi intorno a lui. Come abbiamo osservato, le differenze sono molte e abbastanza evidenti, perfino nella caratterizzazione di molti personaggi. Probabilmente queste modifiche di Walt Disney sono dovute per la maggior parte a esigenze cinematografiche, ma non è escluso che il creatore di Topolino volesse rendere la fiaba più leggera, provando a raccontarla più dal punto di vista dell’ingenuo bambino Pinocchio, che impara a stare al mondo meravigliandosi di tutto, piuttosto che da quello di un adulto (o peggio ancora un maestro di scuola), come si ha la sensazione in alcuni passaggi del libro di Collodi.
Ai tempi molti italiani storsero il naso per quella rappresentazione cinematografica, forse ritenuta un po’ troppo semplicistica. Ma non si può negare che il film di Pinocchio abbia contribuito significativamente a far conoscere ancora di più il burattino di legno in tutto il mondo, soprattutto ai bambini delle generazioni della seconda metà del XX secolo e oltre. Si può dire, in qualche modo, che Walt Disney abbia proseguito il compito educativo di Collodi, nonostante le tante modifiche operate alla fiaba. Vi sembra una cosa da niente?
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Federico Ravagli
Prendo in prestito queste due righe a fondo pagina, per ringraziare dal profondo del cuore la redazione di Ventenni Paperoni per avermi concesso l’opportunità di parlare di una fiaba che mi è particolarmente cara, così come lo è per tutti i miei concittadini di Sesto Fiorentino, dove Collodi ha vissuto per tanti anni e da dove ha tratto ispirazione per molti luoghi della sua opera.
Immagini: © Disney, Giunti Editore, Fratelli Spada Editori, Ippocampo Edizioni, Rai
Fonti: Wikipedia, Il Reporter, Pinocchio e Collodi di Rossana Dedola, Letteratura Italiana: Le opere di Alberto Asor Rosa