Quello di Luciano Gatto è uno dei nomi più noti nel mondo del fumetto Disney italiano, al pari ad esempio di quello di Massimo De Vita.
Le storie di Luciano Gatto ci fanno compagnia sulle pagine di Topolino fin dalla fine degli anni Cinquanta.
Luciano Gatto è stato testimone di cambi di direttori ed editori, nonché una presenza costante per intere generazioni di lettori. Non ha mai perso quell’entusiasmo che ancora oggi, nell’era dei social, lo porta a condividere con i propri fan tavole e disegni di pregevole fattura.
Fattore impossibile da non menzionare, la riconoscibilità del suo tratto: in molti infatti ricorderanno le vignette chiare e pulite di Luciano Gatto, i suoi personaggi particolarmente espressivi e anche, perché no, le caratteristiche goccioline che sovente zampillavano dalla testa di Paperi e Topi disegnati da lui.
Con circa 600 storie realizzate in 60 anni d’attività, Luciano Gatto è uno degli autori più prolifici del mondo dei fumetti Disney (e non solo). Per questo e tanti altri motivi abbiamo chiesto a Luciano Gatto di rispondere a qualche domanda.
Benvenuto Luciano Gatto. Attraverso i suoi canali social abbiamo appreso che l’avventura con Topolino Magazine non è finita nel migliore dei modi. Ci vuole raccontare la sua versione dei fatti?
“Da molti anni capivo che qualcosa stava cambiando nella collaborazione con Topolino. Nel 2008 ci fu un taglio della produzione per smaltire le oltre 9mila tavole accantonate come riserva. Era una misura valida e accettata, vista la crisi economica mondiale.
All’epoca mi erano state assegnate una o due storie per alcuni anni. Man mano che le scorte diminuivano le commissioni erano un po’ aumentate. Non erano mai tornate, però, al livello dei periodi precedenti. Ci sono stati alti e bassi. Ho fatto qualche domanda, sino alla fine del mese di agosto dell’anno 2017 quando, consegnata una storia, le settimane passavano senza avere qualche commissione più consistente. In quattro mesi e mezzo, avevo ricevuto solo 2 brevi storie per un totale di 18 tavole.
Questo mi spinse, il 10 gennaio 2018, a scrivere una lettera in Direzione per chiarire se era ancora ritenuta valida una mia collaborazione. Non ritenevo possibile una simile frequenza di commissioni. Chiesi perciò se i miei disegni fossero ancora utili per la nuova linea in fase di applicazione.
Non potendo cambiare il mio stile, avrei ritenuta conclusa la mia collaborazione. Ma, nell’eventualità che il motivo fosse la necessità di risparmiare sulle spese, offrii il taglio del mio compenso al minimo stabilito dalla Direzione.
Rassicurato sul fatto che si trattasse solo di una ristrutturazione della testata, alla fine del mese ebbi una nuova sceneggiatura e altre in successione. L’ultima, nell’agosto dello stesso anno.
Come saprete, in un momento successivo ci fu il cambio della Direzione, con l’uscita del Direttore Valentina De Poli. Da quel momento il nulla, sino al maggio 2019: in quel mese vidi le foto di un’assemblea, nelle pagine di Facebook, con riuniti vari colleghi. Scrissi al Caporedattore se c’era in previsione un invito simile anche per me, per capire qualcosa circa la mia collaborazione.
Mi si rispose che per parlarne era meglio andare in Redazione. La mia richiesta venne passata al nuovo responsabile artistico incaricato per i disegni. Lui mi rispose presto, proponendomi di aggregarmi a un collega veneziano che qualche giorno dopo vi si sarebbe recato, aggiungendo però la frase “… forse non è meglio parlarne prima?”.
Questo mi fece sorgere il dubbio che tutto fosse concluso, visto che altri colleghi in simili incontri avevano avuto notizia di tagli. Scrissi che se le decisioni erano già prese il mio viaggio era inutile; se invece c’era la possibilità di parlare, ero disponibile.
Il Caporedattore chiese del tempo per la risposta, spostandola di qualche giorno. Tuttavia, il lunedì successivo telefonicamente mi comunicò solamente che ero fuori dalla rosa dei collaboratori. Così, semplicemente senza una motivazione.”
Online comunque continua a produrre numerose tavole raffiguranti i personaggi Disney. Lei nutre un’autentica passione per il mondo Disney.
“Certo che continuo a realizzare disegni con i personaggi del mondo Disney. Come potrei aver vissuto insieme a loro per 60 anni senza amarli? Come potrei abbandonarli dimenticando e accantonando le avventure che ci hanno coinvolto per così tanti lustri?”.
Luciano Capitanio l’ha fatta avvicinare al mondo del disegno: cos’è che di lui la colpì tanto da farle venire voglia di impugnare gli strumenti del mestiere? Prese ispirazione dalla sua arte?
“Amo il disegno e il fumetto da sempre, il ricordo più lontano è il dolore provato nel dover lasciare i giornalini che mi avevano portato mentre ero degente per difterite in un reparto ospedaliero riservato ai contagiosi.
Devo precisare che Floyd Gottfredson mi ha portato al fumetto moderno con il suo stile sintetico e l’immediata lettura dei suoi lavori. In successione Romano Scarpa: abitavo a un centinaio di metri in linea d’aria, fu il mio primo istruttore. Poi Luciano Capitanio, coetaneo e concittadino, che nutriva il mio stesso entusiasmo per questa possibilità [diventare disegnatori, ndr] che il nostro amore per il disegno ci apriva, con porte in entrata impensabili. L’attività di disegnatore all’epoca era praticamente sconosciuta.”
La sua attività artistica è molto legata alle collaborazioni con Romano Scarpa. Ricordiamo che lo aiutò nell’inchiostrazione di alcune tra le sue più importanti storie, come L’unghia di Kalì, Paperolimpiadi e La leggenda dello “Scozzese Volante”, su tutte. Scarpa la definiva “la mano di ferro” per la costanza, la capacità e la bravura nel ripasso a china. Ci può raccontare qualche aneddoto riguardo le vostre giornate di lavoro?
“La collaborazione con Romano Scarpa è durata poco più di un anno, anche se in varie occasioni l’ho aiutato ancora quando ha avuto bisogno di una mano per il ripasso a china. Mi è stata utilissima per apprendere le basi essenziali del ripasso con il pennello.
Ho contribuito da inchiostratore inizialmente alle storie che avete elencato. Ciò ha affinato la mia padronanza nell’uso del pennello: Romano voleva/pretendeva che il tutto venisse realizzato a mano libera. Per lui era impossibile farlo senza usare un po’ di tempera per le correzioni, che però a me non era quasi necessaria in quel tempo.
Come aneddoto particolare, ricordo che i suoi pennelli erano quelli usati dallo Studio Pubblicitario Alfa, che Romano si faceva mettere da parte per poi usarli. Non so come facesse, dato che erano senza anima e con i peli flosci. Non ci sono state giornate di lavoro fianco a fianco. Lavoravamo entrambi nelle nostre abitazioni, prendendo e portando la tavole da una parte all’altra, dato che distavamo solo pochi minuti di strada.”
Intorno agli anni ’80, quando ancora non erano indicati i nomi dei collaboratori delle storie, ha iniziato a “firmarsi” occultando un simpatico gatto nelle sue storie. Ci racconta qualcosa di questa sua legittima esigenza di comunicare il suo nome, di dire in qualche modo che quella storia l’aveva fatta proprio lei? Era un sentimento comune per gli artisti Disney del periodo?
“Non so come mi sia venuta l’idea di inserire il gatto come firma. L’ho fatto la prima volta nella storia Zio Paperone e l’antipubblicità, dove ho anche cominciato a strabordare oltre la gabbia delle vignette con il disegno di personaggi e cose.
Nell’ultima tavola, tra il Paperino mimetizzato da cinese e il Paperone che lo insegue c’è un gatto che in origine aveva, davanti alla gamba destra, una “L” poi cancellata dalla Redazione. Mi ricordo di questa storia per questo taglio, che mi ha spinto poi a ripetere l’inserimento del felino.”
Lei ha lavorato tantissimo con Rodolfo Cimino e Fabio Michelini. In generale è molto legato alla sua professione, e quando ne parla si intravede un amore incredibile per il mestiere. Quali sono i colleghi con cui si è trovato meglio? A quali sue storie è più legato?
“Avete forse dubbi per il mio amore per questo lavoro? Non è evidenziato, forse, da tutta la mia attività dentro il Topo, nelle altre testate a cui ho collaborato e in tutto quello che ho fatto in internet, nelle pagine di Facebook, sul forum del Papersera e da tutto quello che ancora sto dando ai miei fan?
Procedo in questo modo per la gratitudine che provo nei confronti del mondo del Fumetto e dei lettori, dai quali ho avuto tantissimo. Sono grato anche ai colleghi con cui sono stato in competizione amichevole per ‘rubarci’ i lettori: anche loro sono stati anche uno stimolo per migliorare, anche grazie alla competizione. Sono legato parimenti a tutte le mie storie che fanno parte unica de “I Fumetti di Gatto”.
Gira voce che alcuni disegnatori si rifiutassero di disegnare le sceneggiature più “ciniche” di Guido Martina. Innanzitutto le chiediamo se, per quanto ne sa, questa voce sia vera. Se sì, le è mai capitato? E restando un attimo su Martina, cosa sa dirci di come veniva vissuto il Professore, personaggio sicuramente particolare, dalla redazione e dai colleghi come lo era lei?
“Non conosco alcun fatto in merito a quanto chiedete, sono sempre stato molto riservato nei miei contatti di lavoro essendo la riservatezza nel mio carattere, perciò non posso rispondere ai vostri quesiti. Per quanto riguarda il rifiuto di illustrare determinate sceneggiature, non l’ho mai fatto per rispetto del lavoro altrui, ma ho cercato sempre di ammorbidire le scene cruciali.”
Dallo Studio Alfa, passando per la Disney e arrivando ai tempi odierni: cos’è cambiato/maturato dal Luciano Gatto degli inizi?
“Oggi è un mondo totalmente diverso, cominciando dai contatti. Prima tutto doveva passare per la posta ordinaria: le conversazioni telefoniche avvenivano con il duplex e con prenotazione, si viaggiava in terza classe su sedili in legno. Nei periodi di elezioni si vedevano treni affollatissimi e persone che, tornando nel proprio paese per votare, per conquistare un posto a sedere salivano dai finestrini.
Tutto è cambiato enormemente, certi ideali sono stati buttati nella spazzatura. Il rispetto per le persone è sparito, stiamo camminando per le strade della Vita Sociale come gli ultimi dei ‘sopravvissuti’. E non solo per il Covid-19.
Moltissimi viventi odierni non sanno da dove è partita l’Italia, la solidarietà che c’era, la speranza lungimirante in un futuro migliore e quanto abbiamo dato a questo progresso noi vecchi. E ora?
Ora un fumetto si può completare con il computer senza il bisogno anche della carta. Con l’attrezzatura giusta via Internet si può avere la sceneggiatura, disegnare, ripassare, fumettare [scrivere il lettering, ndr], colorare, spedire la storia per la composizione della rivista senza muoversi da casa.
La quarantena, per questo, a noi disegnatori non pesa. Grandi possibilità, ma buona parte del fumetto cartaceo è sparita, quella residua sembra un’agonia. Potrà dare qualcosa la nuova tecnologia? Io mi sto attivando in tal senso da tempo, senza fini di lucro, per amore di quest’arte.”
Nel corso della sua carriera ha creato e avuto a che fare con una gran moltitudine di personaggi. Ci racconta quale le piace di più e quale invece proprio non sopporta? Il Coniglio Pacuvio è uno dei suoi personaggi più conosciuti e amati. Com’è nato e da cosa deriva il “Gioppi Gioppi Gippi Giò”, peculiare filastrocca che spesso gli vediamo pronunciare?
“Nella mia attività ho realizzato storie con molteplici personaggi disegnati a loro modo da tanti colleghi. Fortunatamente ho sempre avuto la possibilità di adeguarli al mio stile facendoli diventare praticamente miei, per questo non voglio discriminare qualcuno di loro.
Certo è che Pacuvio, tra i pochi personaggi nati dalla mia matita, e preponderante per le sue stravaganze su molti altri, ma il suo creatore è Michelini che lo ha arricchito con le sue stramberie, e dovete chiedere a lui da dove esce il suo Gippi Gioppi Gippi Giò”.
Il suo tratto è abbastanza unico, è molto riconoscibile per il lettore Disney. A suo avviso, cos’è che determina questa impronta artistica così identificabile?
“Personaggi che agiscono messi in evidenza senza impattare tra loro o con lo sfondo e l’ambiente, distribuzione dei ‘pesi’ delle vignette nella tavola che non la sbilanciano, rendendola armonica e immediatamente leggibile senza alcuna difficoltà .”
In questo periodo si sente parlare molto di tutela artistica, e in passato abbiamo affrontato l’argomento anche con Massimo De Vita. Per quanto riguarda gli artisti del fumetto, a suo avviso, l’operato è salvaguardato oppure è necessaria maggiore attenzione?
“Cosa vuol dire tutela artistica? Se è tutela dell’autore, questa non dipende dai lettori, ma da chi dovrebbe difendere il suo operare, difendendolo dall’editore con una legge sul diritto d’autore, che a sua volta difenda il suo prodotto nel presente e nel futuro, con proventi possibili in caso di ristampa. In questo modo l’autore potrebbe continuare a percepire qualcosa quando sarà messo fuori dal circuito.
Se la tutela è del prodotto, comunque non può dipendere dai lettori che liberamente lo abbandonano per altri più attuali. Se il prodotto è decotto, non può vivere.”
Ultima domanda. Negli anni si è spesso usato il fumetto come esempio di cultura di serie B. Come mai accade ciò? È solo un problema del lettore oppure anche del mondo editoriale se c’è chi considera quest’arte in maniera denigratoria?
“Risulta sempre semplice denigrare da chi esercita una cultura di serie A, che pretende di istruire con un tomo di 1000 pagine che nessuno leggerà, o con una serie di leggi e leggine che subiranno la stessa sorte. Meglio l’esperienza delle Genti riversata e sintetizzata nei proverbi che vengono capiti e facilmente assimilati.”
Intervista a cura di Angelo Andrea Vegliante, Anto Rabbia e Agnese Amato
Nota di redazione: a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Luciano Gatto, la redazione di Ventenni Paperoni si impegna a contattare quanto prima la redazione di Topolino Magazine per richiedere un’intervista e farsi consegnare anche il loro punto di vista sulla vicenda relativa alla prima domanda della nostra chiacchierata.