Amen.
Partiamo con un amen, in via del tutto eccezionale posto all’inizio di un testo, nonostante la sua diffusa funzione di formula conclusiva.
Perché? Vi stupiremo: oggi vogliamo scrivere di religione.
“Che cosa c’entra la religione con Paperi e Topi?”, direte voi.
Ebbene, seguiteci e lo scoprirete.
Pensate a quell’opera che mai si smetterà di ricoprire di elogi, l’epopea di uno dei personaggi Disney più amati in assoluto: la Saga di Paperon de’ Paperoni di Don Rosa.
Vi stupirete di quanto il tema mistico e religioso si assorba al filo di questa meravigliosa narrazione come maionese sulla mollica di una fetta di pane.
Misticismo, Aldilà, Vita dopo la Morte, presenza dall’Alto, predestinazione sono anzi elementi così preminenti nella Saga di Paperone, che sembra quasi assurdo doverlo sottolineare, e parlarne.
Eppure, questo ci sembra essere uno di quei casi in cui la tautologia è tale da passare inosservata in quanto appunto lapalissiana. E allora diventa necessario evidenziare.
Un po’ come capita di non sapere dire di che colore sono le piastrelle della nostra cucina perché le vediamo troppo spesso.
L’angelo custode: il Duca Quaquarone
Non si può capire un’opera se non si capisce almeno quanto basta dell’autore. Checché ne abbiano detto i Veristi, non esiste autore che, anche qualora lo desideri, riesca a staccarsi a tal punto dal suo prodotto da non lasciarvi alcuna traccia.
Se prendiamo la Saga di Paperone, chiunque la leggesse penserebbe spontaneamente che il Don sia fortemente convinto di una presenza divina a vegliare sul mondo. E non sbaglierebbe: come ci ha detto espressamente lui stesso nell’intervista che abbiamo avuto il piacere di fargli, il Don è un deista.
Partiamo proprio dal primo capitolo della Saga di Paperone, in cui, come i più ricorderanno, incontriamo un Paperone di dieci anni, dolce e povero bambino che abita con i genitori e le sorelle in una misera casetta a Glasgow, nonostante i de’ Paperoni fossero stati anni addietro uno dei più nobili clan scozzesi.
Quel giovane Paperone che, sorpreso a rubare torba a Colle Fosco, si rifugia nel castello del suo clan per fuggire dagli eterni rivali dei de’ Paperoni, i Whiskervilles, e incontra un uom… pardon, un papero, che lo accoglie, lo fa calmare e lo protegge, guidandolo intanto alla scoperta dei cimeli e delle stanze del castello, un tempo popolate dagli antenati di Paperone. Paperone che non sa, al contrario del lettore, che questa persona è il Duca Quaquarone (più precisamente, il suo fantasma), suo bis-bis-bis-nonno (quanti bis metterci, non è dato con precisione sapere neanche tramite l’Albero Genealogico del Don).
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Nella Saga di Paperone fin da subito compaiono diversi elementi mistici: i morti sono morti, ma esiste la vita nell’Aldilà; dunque, i morti possono guardare dall’alto i propri affetti e intervenire per proteggerli. Sono una presenza non più fisica (verso la fine del capitolo, vedremo il fantasma del Duca Quaquarone tornare a dissolversi nella sua tomba murata), ma sono anche un’eterna presenza benefica impalpabile.
Quante volte da bambini i nostri genitori ci dicevano “i tuoi nonni ti guardano dall’alto, ti proteggono”? Cose che i loro genitori avranno detto a loro, e così via, in una catena potenzialmente infinita di affetti ultraterreni e presenze benefiche tanto cari alla natura umana, che da sempre ha bisogno di misticismo e pensiero magico per aiutarsi a sopravvivere.
Misticismo e pensiero magico che vengono messi in ordine dalla Notte dei Tempi nelle religioni.
La dose di misticismo che Don Rosa conferisce alla Saga di Paperone è dunque palese sin da subito.
E sin dal primissimo capitolo entra senza farsi attendere un altro elemento che caratterizzerà la Saga nella sua interezza.
Ma prima di parlarne, è il caso di fare un salto indietro.
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Protestantesimo, Calvinismo e predestinazione
Don Rosa è uno statunitense di origine italiana, come lo stesso nome suggerisce. Nasce a Louisville, nel Kentucky (molti di voi ricorderanno il suo omaggio alla propria città natale contenuto nella Saga, che si concretizza scegliendo di far sbarcare Paperone, partito per gli USA alla ricerca della fortuna, proprio a Louisville). E tutta la sua identità, la sua educazione, sarà sostanzialmente statunitense.
Com’è risaputo, la religione più diffusa negli USA è il Cristianesimo protestante.
Ora, com’è noto – e qui lo riassumiamo in soldoni – una delle differenze teologiche che distinguono Cattolicesimo da Protestantesimo è il tema della predestinazione. Mentre per i Cattolici la beatitudine del Paradiso è qualcosa che l’uomo si guadagna con le proprie scelte durante il proprio vissuto terreno, nel libero arbitrio più completo, per i Protestanti, e in particolare per i Calvinisti (religione principale della Scozia, figlia del Protestantesimo, localmente chiamata Presbiterianesimo) la questione è più sottile. A partire da Martin Lutero, i Protestanti seguono la scuola di pensiero teologica secondo la quale ciascuno di noi, quando nasce, ha già un percorso di vita tracciato dall’alto. Di conseguenza, Dio, o come lo vogliamo chiamare, sa già nel momento in cui strilliamo per la prima volta se siamo destinati al Paradiso o all’Inferno.
Ma, c’è un ma: lo sa Dio, ma noi comuni mortali come lo sappiamo – lo gradiremmo sapere se finiremo al Paradiso, oppure no?
Soprattutto secondo la scuola di pensiero calvinista, uno dei principali modi in cui scoprire il proprio destino di beatitudine o dannazione è dedicarsi ai propri doveri, condurre una vita di sforzi lontana dalla mollezza, rendersi utili a sé e agli altri. Tutto questo si traduce in un’etica del lavoro di cui parlava anche il grande filosofo Max Weber: il cristiano realizza la parola di Dio e compie le migliori azioni quando è costante e diligente nel lavoro, rendendo fede così al sacrificio, tanto caro a quasi ogni religione, e adoperandosi materialmente per il bene suo e del suo prossimo.
In parole povere, se un uomo si impegna profondamente nel proprio lavoro, ottenendo risultati concreti e mantenendosi stacanovista, è molto probabile che questo sia un segno di destinazione alla beatitudine nell’Aldilà.
È possibile, però, anche il caso in cui un uomo, pur predestinato alla beatitudine, si lasci trascinare dalla mollezza e rifiuti la strada che gli è stata predisposta.
La predestinazione di Paperone
Questo preambolo getta ulteriore luce sulla nostra questione.
Che Don Rosa creda a una presenza divina emerge da tutta la Saga, ma emerge con chiarezza anche lo stampo prevalentemente protestante di un autore statunitense.
Dall’inizio alla fine, l’opera a fumetti è infarcita di elementi che ci rendono evidente che Paperone è in sostanza un predestinato.
Attenzione: come insegna l’etica del lavoro calvinista – e Paperone è giustappunto scozzese -, un predestinato che ha saputo rispettare il copione che qualcuno dall’alto ha scritto per lui, accettando la fatica, il dolore, nonché spesso la solitudine. Non si può dunque dire che perché predestinato Paperone abbia semplicemente dovuto stare seduto in una poltrona da cinema a vedere il film della sua vita snocciolarsi davanti a lui, nel copione stabilito.
Paperone deve lottare per seguire questo copione.
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Ma le chiavi di volta della sua scalata al successo arrivano sempre, dico sempre, dall’Alto, da qualche Marionettista benevolo che ha già impostato tutto, benché il futuro papero più ricco del mondo sia sempre abbastanza coraggioso e determinato da saperle cogliere e accettare.
La stessa conquista della Numero Uno, il primissimo soldo di Paperone, è impregnata in tutta la Saga da misticismo.
Quando Fergus, il papà di Paperone, costruisce al figlio un kit da lustrascarpe per i suoi dieci anni, la voce narrante interviene per affermare:

La storia della Numero Uno tra gli appassionati è ben nota. Paperone la guadagna lustrando gli stivali di uno scavafossi con il kit regalatogli, e viene pagato con una moneta americana, dunque diviene vittima di un piccolo raggiro, in quanto la storia inizia in Scozia.
Ma quando, nel prosieguo del capitolo, Paperone parla con il fantasma del Duca Quaquarone, sarà lui a dirgli che forse quella moneta, proprio in quanto americana, può essere un segno, e gli suggerisce di cercare fortuna in America raggiungendo suo zio Angus.
Sarà l’America teatro della fortuna di Paperone, sarà l’America la patria del futuro Deposito.
E Paperone si convince a raggiungerla tramite due elementi che sono entrambi mistici e dal sapore di predestinazione: perché gliel’ha suggerito un antenato benevolo che lo protegge dall’Aldilà, dopo morto, e perché ha guadagnato una moneta che il narratore vuole sottolineare non essere stata portata dal caso.
L’Aldilà nel Capitolo Quinto della Saga
Il capitolo che sfonda definitivamente una porta aperta su tutta la faccenda è però il quinto, in cui Paperone fa ritorno in Scozia e al castello dei suoi avi in cui la famiglia si è trasferita, dopo anni passati prima come mozzo di barche fluviali sul Mississippi con lo zio Angus, poi come cowboy nel selvaggio west, e infine come minatore.
Nel capitolo quinto c’è un ricongiungimento con la patria e la famiglia in un momento di difficoltà: i genitori hanno richiamato a casa Paperone in quanto i soliti rivali Whiskervilles intendono appropriarsi dell’antico castello dei de’ Paperoni e della terra che lo circonda per il mancato pagamento delle tasse. Paperone torna dunque dall’America con un assegno contenente tutti i suoi sudati risparmi che dovrebbe salvare la situazione.

I Whiskervilles non sono tipi da arrendersi facilmente: con un banale pretesto, uno di loro sfida Paperone a duello cosicché i suoi compari possano rubargli l’assegno mentre è impegnato.
Durante il duello, torna l’antenato/custode di Paperone, il Duca Quaquarone, che dall’Alto lo osserva e lo protegge. Lo protegge al punto che stavolta combina un guaio: quando Paperone perde la spada, in un momento che non potrebbe essere più mistico, il fantasma del suo antenato gli parla e gliela riconsegna tra le mani facendolo così vincere.
Ma l’estasi dura poco: Paperone alza la spada in segno di vittoria, e diviene così vittima di un fulmine. Cade nel fossato e… muore.
Avete letto bene, muore.
Non solo. Muore e si risveglia dunque in Paradiso. Un Paradiso in cui incontra tutti i suoi avi de’ Paperoni, un Paradiso che Don Rosa rappresenta in modo esilarante. Una delle doti di questo autore più celebrate dai fan è infatti la capacità di fondere sorprendentemente dramma e comicità, e di stemperarli a vicenda con ben poche sbavature.
Il momento è dunque commovente, ma provoca anche qualche risata. Paperone è in Paradiso, incontra il Duca Quaquarone (finalmente di persona, o meglio, da morto a morto) che, costernato, sa che Paperone si trova già nell’Aldilà. Forse per colpa sua: è stato lui a passargli la spada che ha attirato il fulmine. Allora lo porta a fare conoscenza di tutti i suoi bis-bis e avi, tutti comicamente rappresentati a giocare a golf tra le nuvole del Paradiso.
Ed ecco che arriva nero su bianco la predestinazione protestante, oltre alla certezza della vita dopo la morte.
Quaquarone vuole consultare “un Libro” per verificare come le cose sarebbero andate se non fosse intervenuto, perché vuole capire se si può rimandare indietro Paperone.
Malcolm de’ Paperoni grida verso l’alto (come se chiedesse le chiavi al condomino dell’ultimo piano, ma sta palesemente parlando con l’Amministratore di Condominio per eccellenza nella mente umana) di «mandare giù il libro dei De’ Paperoni».

Arriva, da un Innominato e Invisibile Altro, un librone che cade tra le mani dei nostri de’ Paperoni e che riporta il loro nome in copertina. E scopriamo che in questo libro, proprio come in un copione, è tutto scritto; dove per tutto si intende il passato, il presente e il futuro di ciascun de’ Paperoni. Don Rosa sembra fare intendere che nel Paradiso da lui immaginato esista un libro così per ogni famiglia.

Gli antenati di Paperone consultano quindi le pagine in cui è scritta la sua storia presente e futura (il suo destino) per decidere se varrà la pena rimandarlo tra i vivi o no.
Leggiamo le vignette seguenti:

Paperone nel quinto capitolo della Saga ha circa diciotto anni. E nel copione dell’Aldilà tutto è già stabilito: il Deposito, i Bassotti, il nipote Paperino, le avventure, anche il fatto che un giorno sarà un vecchio bilioso così come tutti lo conosciamo sulla testata Topolino.


E non è tutto: avevamo detto che la Numero Uno stessa è stata mandata dall’Alto, no? E qui sarà nientemeno che l’oggetto che salverà la vita a Paperone.
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Insomma, quando si tratta di chiavi di volta assolute, di vita o di morte, l’aiuto nonché la decisione arriva sempre dall’Alto.
Una pagina dopo, infatti, accade di nuovo.
Paperone ritorna dall’Aldilà, più che agguerrito che mai, convinto di essere solo svenuto mentre era nel fossato e di aver sognato qualcosa che non ricorda. Il dialogo avuto con i suoi avi gli ha svelato tra l’altro che i Whiskervilles gli hanno rubato l’assegno, e così lo recupera.
Fergus corre subito a saldare il debito, e la terra dei de’ Paperoni è salva.
Così però Paperone resta solo al castello, e Argus Whiskervilles tenta l’estremo atto: prende un’ascia da una vecchia armatura con l’intenzione di uccidere Paperone.
Ma mentre si dirige verso di lui, affacciato ignaro a una terrazza, accade l’ennesimo miracolo. Di nuovo i morti, che ancora vivono in un’eterna presenza e che ci proteggono (questa volta non solo il Duca Quaquarone, ma gli avi de’ Paperoni al completo) appaiono ai Whiskervilles sotto forma di fantasmi e li fanno fuggire a gambe levate. Non faranno più ritorno.
Superfluo sottolineare che lo stesso Paperone al termine del capitolo pronuncia queste parole:
Il destino sepolto nel Deserto d’Australia
Qual è l’evento principe che nella Saga porterà Paperone all’inizio del successo e della ricchezza?
Domanda forse banale: il ritrovamento della Pepita Uovo d’Anatra durante la Corsa all’Oro nel Klondike del 1896.
Don Rosa, nel capitolo settimo, ci dice che anche questo evento cardine era predestinazione.
In questo capitolo Paperone si trova nel deserto d’Australia. Fa amicizia con un anziano aborigeno dopo che ne prende le difese in un’imboscata di cui era caduto vittima.

L’anziano è un mistico di prim’ordine: si presenta come sciamano e racconta a Paperone di essere venuto nel deserto alla ricerca di una grotta rupestre nascosta sotto le sabbie. È un vecchio profondamente convinto dell’esistenza del destino e della sua ineluttabilità, tutti discorsi che un giovane e piuttosto cinico Paperone accoglie con freddezza e una punta di sarcasmo.
I due arrivano alla grotta insieme, e Jabiro (questo il nome del vecchio sciamano) mostra a Paperone degli interminabili dipinti rupestri nelle gallerie della grotta, che hanno per protagonista un misterioso “Grande Ornitorinco”. Jabiro è convinto che quei dipinti, lasciati da sciamani nella Notte dei Tempi, prevedano gran parte del futuro da anni.
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Non starò a raccontarvi che l’intera avventura attorno alla quale si snoda il capitolo sarà l’avverarsi delle previsioni che, pur in linguaggio figurato, il dipinto rupestre che Jabiro e Paperone “leggono” appena entrati nella grotta prevedeva: il furto di una reliquia sacra da parte di un bandito, un’inondazione, lo smarrimento della Numero Uno.
Dopo varie peripezie che li separano, Paperone e Jabiro si rincontrano al termine del capitolo in un’altra grotta rupestre, dove, l’anziano aborigeno spiega, “come in un romanzo a puntate”, le previsioni del futuro da parte degli antichi sciamani australiani continuano.
Paperone è moralmente distrutto per aver perduto la sua Numero Uno durante le disavventure appena vissute, e per la prima e unica volta nella Saga, considera l’ipotesi di arrendersi nella sua ricerca della fortuna.
Don Rosa pare anche in questo caso ricalcare come la Numero Uno non sia semplicemente l’ispirazione di Paperone. È una sorta di amuleto che il destino gli ha mandato, che gli ricorda, senza che lui lo sappia, che deve percorrere il grande copione che per lui è stato stabilito.
Dunque ecco che il Destino, dall’Alto, lo porta a ricongiungersi spontaneamente con la sua prima moneta.
Nella nuova grotta rupestre, Jabiro legge una nuova puntata delle avventure del Grande Ornitorinco, dopo aver capito, alla luce del realizzarsi di tutto quello aveva letto nella prima grotta, che l’Ornitorinco altri non è che Paperone.
Insomma, gli antichi aborigeni, in contatto col misticismo e con ciò che viene deciso dall’Alto, avevano previsto che un giorno in quelle terre sarebbe passato il futuro papero più ricco del mondo, una figura che avrebbe di certo fatto la Storia.
Stupefacente allora come, leggendo la nuova puntata nella nuova grotta rupestre, i dipinti rivelino che la Numero Uno è stata rubata da una gazza attratta dal suo luccichìo. Paperone guarda nel nido di una gazza lì vicino e ritrova la sua moneta.

Non è tutto.
Proprio in base a quello che antichi dipinti rupestri gli diranno, Paperone deciderà di puntare verso lo Yukon per la Corsa all’Oro. L’evento che ne segnerà definitivamente la fortuna.
Lasciamo che sia il fumetto stesso a parlare. Il momento in questione potrebbe essere uno dei meglio riusciti dell’intera Saga, nonostante sia tra i meno citati e ricordati.




«È ora di andare, caro…»
Giunti a questo punto, appare certo più chiaro come Don Rosa abbia voluto rendere il suo eroe Paperone un uom… ops, di nuovo, papero, che ha sì avuto il coraggio di cogliere al volo ciò che gli si presentava innanzi, ma che, nell’ottica di un credente, mai ce l’avrebbe fatta se non avesse avuto un aiuto dall’Alto, dalla predestinazione, dalla protezione degli avi nell’Aldilà.
Anzi, Don Rosa giunge persino a fare un velato riferimento a quello che molti hanno interpretato come Dio. Succede al termine del nono capitolo, palesando nuovamente una Fede nella vita dopo la morte.
In una delle sequenze più citate (a buon diritto, vista la coinvolgente carica emotiva) di tutta la Saga, il papà di Paperone, Fergus, muore durante la notte. Ancora presente come spirito, guarda i suoi tre figli partire per l’America e per Paperopoli, mentre si allontanano dalle pendici del castello dei suoi avi. Accanto a lui c’è la moglie, Piumina, già passata all’Aldilà da più tempo, che finalmente si ricongiunge al marito e “scende” a prenderlo e portarlo con sé, approfittandone per salutare i figli l’ultima volta …
Il corpo, scorza mortale di Fergus, giace nel letto. Contemporaneamente, con la moglie, la sua anima entra nell’Eternità nella quale, con il Duca Quaquarone e gli avi de’ Paperoni al completo, rincontrerà tutti coloro che lo hanno lasciato. Un Aldilà da dove potrà proteggere suo figlio, e le sue sorelle, per sempre.
L’autrice di questo articolo
Per concludere, vi vogliamo sorprendere. Questa già personale riflessione diventa ancora più personale, e allora è utile tralasciare il solito “noi” per assumere la prima persona singolare.
Ho parlato tanto a lungo al punto che non so quanti sono giunti fin qui o quanti non si sono annoiati nemmeno un po’. Ho parlato di Dio, di religione, di vita dopo la morte, semplicemente perché fin da piccola mi aveva sempre stupito quanto nella Saga la presenza divina e dei trapassati, il destino di ciascuno di noi che viene deciso da Qualcosa nell’Alto dei Cieli, siano presenti così fortemente da far pensare quasi senza dubbio che Don Rosa sia un credente.
Ebbene, ne ho voluto parlare perché l’ho sempre trovato assai curioso e perché a volte mi viene da pensare che, nel panorama donrosiano, il merito di Paperone sia grandissimo ma infine, se ad esempio il povero Paperino è rimasto semplice e sfortunatello, non è del tutto colpa sua.
Come dice Jabiro, era destino.
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Ma l’autrice di questo articolo, al contrario di quello che verrebbe palese pensare, è un’atea senza speranza. Un tempo era agnostica, ma più gli anni passano, più le sembra che l’inesistenza di Dio abbia prove concrete.
Ma questi sono problemi miei.
Ciò che vorrei sottolineare è questo: non serve ripetere troppe volte che uno dei motivi per cui amiamo la Saga sia il fatto che, nonostante momenti bui e fortemente commoventi, è un inno alla speranza e alla seconda possibilità.
Per qualcuno che crede in Dio, così come sembra emergere di Don Rosa dalla sua opera, essere ottimista, essere speranzoso è certo più facile.
Allora, lasciatevi dire da una come me, che è quasi sicura che dopo la morte non ci sia nulla, che crede che nessuno ci guardi da lontano e ci protegga, e che se dovesse incontrare un vecchio aborigeno sarebbe più sarcastica di Paperone nel capitolo sette, che ciononostante sperare si può.
E abbiamo le prove, al contrario che per l’esistenza di Dio.
Perché anche se dopo la morte non c’è nulla, il ricordo dei morti spesso permane tanto da renderli forse più vivi dei vivi. Perché anche se Dio non esiste, non abbiamo bisogno di lui per scegliere quanto più ci è possibile le vie della gentilezza, della collaborazione. Perché se i morti non possono intervenire, benevoli, a proteggerci dal male, è sempre possibile trovare amici e protettori tra i vivi.
In fin dei conti, i passaggi che ci rendono la Saga più amata, sono passaggi del tutto laici. Paperone è sì un predestinato, ma l’epopea di qualcuno che si è sempre rialzato dopo le difficoltà, ha effetto anche su tutti noi che non crediamo a nessun destino e a nessun Marionettista dell’Alto.
Non abbiamo bisogno di alcuna religione per sperare in un altro arcobaleno, anche nei momenti più duri.
Sperare è il messaggio principe della Saga di Paperone, ed è diretto a chiunque, qualunque sia la vostra Fede, anche a chi, come nel mio caso, ha fede solo nella Legge del Caos.
Per rimanere in tema religioso, può essere utile concludere con le parole di un grande intellettuale italiano:
«La felicità! Cercatela! Tutti i giorni, continuamente, anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta alla ricerca della felicità, perché l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l’hanno data in regalo, ed era un regalo così bello che l’abbiamo nascosto, come fanno i cani con l’osso. E molti di noi l’hanno nascosto così bene che non si ricordano dove l’hanno messo ma ce l’abbiamo, ce l’avete. […]
Dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se a volte lei si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei. Fino all’ultimo giorno della nostra vita».
(Roberto Benigni, I dieci comandamenti)
Anche queste, sono parole di un uomo profondamente credente, in un monologo intimamente legato al tema religioso. Eppure sono validissime anche per me, che non solo non credo, ma che in passato ho nascosto l’osso così spesso che adesso, forse, ho iniziato a capire che vale la pena rischiare di dissotterrarlo, ogni tanto.
Se Dio non esiste, esiste sempre un altro arcobaleno. Per questo ci piace essere ancora qui a parlare della Saga di Paperone.
Fino all’ultimo giorno della nostra vita.
Michela Nessi
Immagini © Disney
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