La bella e la bestia (Beauty and the Beast, Gary Trousdale e Kirk Wise, 1991) è uno dei più celebrati Classici Disney di sempre e siamo certi che la maggior parte di voi lo ricorda con amore. Forse non tutti, però, conoscono la fiaba a cui il film è ispirato: o meglio la sequela di versioni che si sono succedute nel tempo, prima che la Disney codificasse la storia nel Classico del 1991. Per chi, però, non l’avesse ancora mai letta, abbiamo pensato di sviluppare un confronto tra l’originale e la versione Disney (relativo ad alcuni dei passaggi più significativi), che proponiamo qui di seguito.
Le origini
Qualcuno di voi potrebbe chiedersi perché abbiamo usato il plurale, parlando di “fiabe” da cui il Classico è stato tratto: domanda lecita. In effetti, l’archetipo dietro al film è assai ricorrente nella tradizione europea, popolare quanto colta. Alcuni ne rintracciano il prototipo addirittura nella fiaba di Amore e Psiche, narrata all’interno del romanzo di Lucio Apuleio Le metamorfosi (raro caso di romanzo latino, risalente al tardo II secolo d.C., noto anche come L’asino d’oro).
In questa fiaba – le cui chiavi di lettura sono molteplici e non qui esauribili – Psiche va in sposa ad un essere che non ha mai visto, e di cui non conosce la natura. Dopo numerose prove, che ne mettono in luce virtù e purezza, Psiche scopre che il suo sposo è nientemeno che una divinità (Amore, figlio di Venere), cosicché entrambi riabbracciano i loro divini congiunti, e… vissero felici e contenti. Ovviamente affinità e collegamenti non si fermano qui, ma occorrerebbe una trattazione a parte.
Secondo altri, gli avvenimenti riportati dalla storia sarebbero avvenuti realmente sulle sponde del lago di Bolsena (in provincia di Viterbo), e sarebbero stati raccontati per la prima volta dal novelliere rinascimentale Giovanni Francesco Straparola nel 1550.
La vera storia de La bella e la bestia
In base ad altre testimonianze, invece, la Bella e la Bestia sarebbero vissuti realmente alla corte di Enrico II di Francia. Nello specifico, la Bestia sarebbe un tale Petrus Gonsalvus nato sull’isola di Tenerife (Spagna) nel XVI secolo. Probabilmente egli soffriva di una malattia nota come ipertricosi, ovvero una crescita esagerata dei peli sulla faccia e altre parti del corpo. Traferitosi alla corte di Parigi, sarebbe passato sotto l’ala protettiva di Enrico II, per poi sposarsi con una nobildonna di nome Caterina.
Quel che è certo è che è proprio in Francia che questa storia fiorì maggiormente grazie alle versioni, tra gli altri, di Madame d’Aulnoy, Perrault e soprattutto Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Ed è proprio la versione di quest’ultima che è stata presa come riferimento dagli artisti Disney, insieme a un adattamento cinematografico francese del 1946 del regista Jean Cocteau.
Perciò sarà la versione della Leprince de Beaumont che prenderemo come riferimento anche noi per questo articolo. Ci rendiamo conto che questa panoramica potrebbe risultare sintetica e approssimativa, ma l’obiettivo di questo pezzo vuole essere altro: il confronto tra la fiaba originale de La Bella e la Bestia e l’adattamento che ne trassero i registi e gli animatori dei Walt Disney Animation Studios. Non è detto però che in futuro non si esplori ulteriormente l’affascinante storia di questa fiaba, che nelle sue tante varianti ci fa sognare da generazioni.
Il viaggio dell’eroe
Nel redigere questo confronto tra fiaba originale e adattamento disneyano, faremo riferimento anche allo schema introdotto da Christopher Vogler nel suo manuale di sceneggiatura e scrittura creativa Il viaggio dell’eroe. Vogler lavorò come story consultant per la Disney tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, e si occupò tra gli altri di classici molto amati come La sirenetta (The Little Mermaid, John Musker e Ron Clements, 1989) e appunto La bella e la bestia.
Grazie alla sua esperienza e ad alcune suggestioni derivate dall’opera del filosofo Joseph Campbell (in particolare dal saggio L’eroe dai mille volti) mise a punto uno schema in cui tracciava delle figure archetipiche e delle tappe archetipiche che tutte le storie – a suo dire – contengono. Poiché crediamo che abbia applicato questo schema anche per il suo lavoro su La bella e la bestia, ce ne serviremo per questo confronto. Siete pronti? Il viaggio comincia!
Il mondo ordinario
Dov’è che tutte le storie principiano? Nel «Mondo ordinario», ovviamente! Il Mondo Ordinario sarebbe lo status quo nel quale l’Eroe vive prima che qualcosa venga a turbare la sua esistenza e a dare avvio alla storia. Un mondo fatto di riti e abitudini consolidate, che verranno messe in crisi all’inizio del film/romanzo. Non deve essere per forza una situazione di equilibrio, può essere anche una situazione di squilibrio, ma in ogni caso consolidato.
Nel caso de La bella e la bestia, diremmo che si tratti senza dubbio di una situazione di squilibrio. Tanto nella fiaba della Beaumont, quanto nel film Disney, Belle è male integrata nel contesto nel quale si trova a vivere. Nella fiaba, le sorelle di Belle (qui chiamata Bella) sono maligne e invidiose (e ricordano non poco le sorellastre di Cenerentola): «quand’era piccola, tutti la chiamavano bellina, cosicché il nome di Bella le restò, e ciò fu causa, per le sue sorelle di grandissima gelosia». Nel film, il resto del villaggio nel quale vive non è in grado di capirla e apprezzarla (situazione messa in scena attraverso la canzone Belle).
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Il Mondo Straordinario
L’evento che mette in moto la storia, in entrambe le versioni, è la partenza del padre di Belle. Nella fiaba il padre parte per tentare di recuperare delle merci che credeva affondate durante un viaggio per mare. Nel cartone invece è diretto a una fiera dove esporre una propria invenzione.
Questo viaggio porta Maurice (così si chiama il padre di Belle nel film, mentre nella favola il nome non viene specificato) nel cosiddetto «Mondo Straordinario», ovvero un mondo nel quale le regole e le consuetudini che governavano il Mondo Ordinario vengono sovvertite e sostituite da nuove, che l’Eroe deve imparare a conoscere e dominare. Un mondo che, all’occorrenza, può anche essere governato dalla Magia o da Forze Sconosciute.
In effetti, la foresta dove si perde Maurice mentre cerca di raggiungere la fiera sembra proprio corrispondere a questa descrizione (e nel remake live action del 2017 questa caratteristica viene ancora più accentuata dal fatto che la foresta sembra essere collocata in una sorta di inverno perpetuo). Nella fiaba, al contrario, il padre di Belle smarrisce la strada nella foresta tornando dal porto.
In entrambi i casi, questo infortunio lo conduce verso il castello della Bestia. Ancor più che nella selva, qui si manifestano le caratteristiche che Vogler attribuisce al Mondo Straordinario: nel cartone, grazie alla simpatica compagnia di soprammobili e utensili animati, certamente appare ancora più Straordinario che nella fiaba. Va annotato comunque, che per quest’ultima trovata gli animatori si ispirarono esclusivamente al film del ’46.
Il passaggio della Soglia
Fatto sta che, proprio come formalizza Vogler, giunto a questo punto l’Eroe (che in questo momento della storia ancora non è Belle, ma Maurice) deve «Varcare una Soglia», che rappresenti il passaggio dal Mondo Ordinario al Mondo Straordinario: sicuramente, in entrambe le versioni, questa tappa è rappresentata dall’ingresso nel castello incantato (di cui i comici «Guardiani» sarebbero Tockins e Lumiére). Nel film, questa fase della storia viene esaltata da una bella inquadratura dal basso, densa di inquietudine.
Il Messaggero
A questo punto, grazie a Maurice, il vero Eroe della storia – cioè Belle – riceve la sua «Chiamata all’Avventura». Questa Chiamata, solitamente, avviene tramite un «Messaggero». Il Messaggero secondo Vogler è colui che «entra in scena per portare una sfida all’Eroe»: una sorta di ambasciatore.
Nella novella francese, Maurice viene catturato dalla Bestia perché ha colto una rosa da portare a Belle, che al momento della partenza ne aveva fatto richiesta al padre come dono. Nel film animato la reazione della Bestia nel vedere Maurice nella propria dimora appare invece un po’ ingiustificata, dal momento che il povero vecchio si stava solamente rifocillando e riscaldando accanto al fuoco. Forse aggiungere un piccolo pretesto avrebbe reso più verosimile questo passaggio, ma è anche vero che giudicare queste cose a posteriori è fin troppo facile.
Nella novella la Bestia offre a Maurice la possibilità di tornare a casa e farsi sostituire nella prigionia da una delle sue figlie. Nel cartone invece è Philippe, il cavallo, che fugge dalla dimora della Bestia e torna ad avvertire Belle di quanto accaduto a suo padre. Si può dire quindi che nel primo caso è Maurice a ricoprire la figura del «Messaggero», mentre nel secondo caso questo compito spetta al destriero.
La Chiamata all’Avventura
Si arriva ad avere, così, un nuovo Superamento della Soglia da parte del nuovo Eroe – ovvero Belle – e un nuovo passaggio dal Mondo Ordinario al Mondo Straordinario. Ci preme far notare come gli artisti Disney siano stati abili a sottolineare questo passaggio anche dal punto di vista cromatico, con colori solari e accesi quando Belle si trova nel villaggio, e un passaggio poi a colori più cupi e scuri quando arriva nella foresta e al castello della Bestia.
Vogler asserisce che spesso, quando ricevono la Chiamata, gli eroi in un primo momento tendono a rifiutarla, facendosi coinvolgere dall’Avventura solo in un secondo momento. Belle, al contrario, si dimostra subito un Eroe deciso: nella fiaba è lei che si offre e insiste per partire al posto del genitore. Anche il suo alter ego disneyano, appena vede arrivare Philippe, capisce subito che c’è qualcosa che non va, e non esita a partire.
Prove, alleati, nemici
Sicuramente uno dei passaggi più importanti di qualsiasi Viaggio dell’Eroe è il momento in cui quest’ultimo, giunto nel Mondo Straordinario, deve capire quali sono le Prove che dovrà affrontare, chi gli Alleati nel superare queste prove, e chi invece i Nemici.
Nel caso di Belle, quest’opera di valutazione comincia proprio dal suo primo incontro con un abitante del Mondo Straordinario, ovvero la Bestia stessa. Ciò è reso visivamente nella suggestiva scena che vede la Bestia uscire dall’ombra e rivelare alla sorpresa fanciulla le proprie reali fattezze. Quella sequenza rappresenta infatti la natura di «Shapeshifter» propria della Bestia.
Vogler, nel suo manuale, scrive questo dell’archetipo dello Shapeshifter: «Gli Eroi frequentemente incontrano figure, sovente del sesso opposto, la cui peculiarità è cambiare continuamente dal punto di vista dell’Eroe. Spesso è l’oggetto dell’amore dell’Eroe a incarnare le qualità dello Shapeshifter». Questa descrizione sembra essere così congeniale al caso de La bella e la bestia che noi non escluderemmo la possibilità che Vogler, nello scrivere queste parole, avesse in mente proprio questo caso specifico.
La Bestia come Shapeshifter
In altre parole, lo Shapeshifter è una figura mutevole, che nel corso della storia si trasforma, cambia la propria natura: inizialmente può sembrare una figura ostile, per poi trasformarsi in alleato, poi apparire di nuovo ostile e così via. La sequenza descritta poc’anzi rappresenta alla perfezione la natura della Bestia, perché fino a quel momento, per noi spettatori, la Bestia ha rappresentato effettivamente l’«Ombra», ovvero l’archetipo che incarna il malvagio della storia.
Ma quando Belle si offre volontariamente di prendere il posto del padre, per la prima volta vediamo la Bestia avere un moto di umanità e così, sia filmicamente che profilmicamente, esce dall’ombra e inizia il suo cammino di trasformazione: inizia il suo Viaggio dell’Eroe. Senza contare che la Bestia subisce anche delle vere e proprie metamorfosi fisiche almeno due volte. A proposito di metamorfosi… ricordate il titolo del romanzo latino con una prima proto-versione di questa fiaba?
Il racconto della Leprince de Beaumont è meno elaborato, da questo punto di vista, ma possiamo scorgere il corrispondente letterario della scena cinematografica esaminata qui sopra in questo passo: «Bella si sentì gelare da capo a piedi quando scorse quell’orribile mostro, ma fece di tutto per dominarsi, e quando egli le chiese se era venuta lì spontaneamente, lei, tremando, gli rispose di sì. “Siete stata molto buona”, disse la Bestia, “ve ne sono assai grato”». A quelle parole, chi stesse leggendo questa storia per la prima volta, probabilmente inizierebbe a pensare che dopotutto questa Bestia non è forse poi così malvagia, non credete?
I Trickster
Si parlava, poco più sopra, di alleati. Nel caso di Belle, come si può intuire, questo ruolo spetta agli oggetti incantati che abitano il castello. Costoro, però, ricoprono anche il ruolo che Vogler attribuisce all’archetipo del «Trickster» e che nel suo manuale definisce così: «Tutti i personaggi che sono prima di tutto buffoni o spalle comiche incarnano questo archetipo».
Come si è già detto, i servitori fatati che vediamo nel film animato sono assenti dalla fiaba originale (nella quale non è ben specificato chi sia ad occuparsi delle faccende domestiche del castello) e provengono invece dal film di Cocteau del ’46.
È evidente che personaggi come Lumière, Tockins o Mrs. Bric non sono solamente dei buffoni, ma hanno anche altre qualità. In effetti qualsiasi personaggio, se ben scritto, non aderisce perfettamente al modello qui proposto. A meno che non si tratti di una macchietta, qualsiasi personaggio è, in fondo, un ibrido. Lo schema del Viaggio dell’Eroe deve servire più per orientarsi nel mondo delle storie, che per applicarlo a esse in modo scientifico.
Il mentore
La figura del padre di Belle è una evidente dimostrazione di quanto appena detto. Si tratta, infatti, di una figura indubbiamente comica, che potrebbe rientrare nell’archetipo del Trickster. Allo stesso tempo, però, ricopre per Belle anche un ruolo più serio. Non lo vediamo su schermo ma possiamo intuirlo: Maurice è stato per Belle l’unica figura genitoriale, e le ha trasmesso quei valori e quella predisposizione d’animo che poi Belle incarna nella nostra storia. Inoltre il suo scopo all’interno del film è tentare di proteggere la figlia.
Maurice è insomma, per Belle, un «Mentore»: «Questo archetipo si manifesta in tutti quei personaggi che insegnano, proteggono, fanno doni agli Eroi». Nella fiaba originale questo personaggio è assai simile a come lo vediamo nel film, tanto caratterialmente quanto nelle azioni che compie.
L’ombra
Tuttavia, i Trickster de La Bella e la Bestia non finiscono qui. Anche il villain ha una sua spalla comica: stiamo parlando di Le Tont (che, non a caso, in originale si chiama Lefou: “le fou” in francese significa “il pazzo”), il tirapiedi di Gaston. Gaston invece, nell’economia della pellicola, rappresenta l’archetipo chiamato «Ombra»: «Nelle storie, il volto negativo dell’Ombra è proiettato su personaggi chiamati cattivi, antagonisti o nemici. I cattivi e i nemici puntano di solito alla morte, all’annientamento o alla sconfitta dell’Eroe».
Gaston, come gli oggetti animati del castello, è un personaggio del tutto assente dalla fiaba originale, e ripreso dal film di Jean Cocteau. In questo film c’è un personaggio chiamato Splendore (Avenant in originale), che è un affascinante e arrogante pretendente di Belle, e che alla fine si rivelerà una minaccia per la Bestia.
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L’assenza di Gaston o di un suo corrispettivo nella fiaba, fa sì che il ruolo dell’Ombra sia ricoperto dalle sorelle di Belle.
Le sorelle come Ombra
Come nel film, durante la sua permanenza al castello Belle si accorge dei lati positivi della Bestia, e inizia a provare verso di lui affetto, che però non è ancora vero amore. Quando Belle rivela alla Bestia che un suo grande dispiacere è non aver più rivisto suo padre, la Bestia le permette di tornare a casa per qualche tempo.
Qui le due sorelle, vedendo Belle così felice (mentre i loro matrimoni non lo sono) vengono assalite dall’invidia ed elaborano un piano: trattenere Belle più a lungo dei giorni che le sono stati concessi, sperando che la Bestia, presa dall’ira per l’insubordinazione di Belle, la mangi.
Riescono nel loro piano, poiché Belle resta nella casa paterna più a lungo di quanto aveva promesso alla Bestia. Tuttavia, vedendo quanto le sue sorelle siano infelici con i loro sposi e quanto lei invece sia felice con la Bestia, comincia a pensare che, dopotutto, forse dovrebbe sposare la Bestia.
Il finale della fiaba
Così Belle decide di tornare immediatamente al castello, provando trepidazione all’idea di rivedere la Bestia. La Bestia, però, non si fa viva: così Belle la cerca per tutto il castello, finché lo trova morente nel giardino, per il dolore che l’assenza di Belle, e la paura di averla perduta, gli avevano fatto provare. Belle allora rincuora la Bestia dicendogli che non solo non la perderà, ma che vuole sposarlo: a queste parole il castello si trasforma in un luogo di festa e la stessa Bestia diventa un principe bellissimo. Nel salone del maniero Belle ritrova il padre e tutta la sua famiglia.
C’è anche una dama che si palesa come la potente fata che ha scagliato sul principe un incantesimo, destinato a spezzarsi solamente quando una fanciulla lo avesse sposato. La fata rivela a Belle che grazie alle sue virtù si è meritata in premio la felicità che le si presenta, e per punire le sorelle le trasforma in statue, finché non si renderanno conto dei loro torti.
«A questo punto, la Fata toccò tutti quelli ch’erano nella sala con la sua bacchetta magica e li trasportò nel reame del Principe. I suoi sudditi lo rividero con gioia, e lui sposò la sua Bella, con la quale visse lungamente in una felicità perfetta, perché basata sulla virtù.»
La complessità de La bella e la bestia
Come dicevamo all’inizio, per non appesantire troppo l’articolo, ci siamo limitati ad alcuni passi. Speriamo comunque di aver soddisfatto, almeno in parte, la vostra curiosità su differenze e affinità fra la fiaba de La bella e la bestia e il capolavoro animato Disney del 1991.
Indubbiamente la fiaba in questione non è di facile comprensione: sebbene possa apparire semplice e a tratti persino ingenua, è una fiaba assai complessa, che contiene una miriade di significati nascosti e spesso esoterici. Il Classico disneyano, allo stesso modo, è secondo noi più complesso e profondo di quanto possa sembrare. Ma è, quest’ultima, una caratteristica comune a pressoché tutti i Classici Disney.
Speriamo di avervi invogliato a leggere la fiaba, a ri-vedere il Classico (o vedere per la prima volta, nel qual caso vi invidiamo) e a riflettere sui significati di queste opere. E perché no, ad approfondirle ulteriormente in futuro.
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Francesco, Antonio Grilli
Immagini © Disney
Fonti:
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma, 2010