Raffaello, Topolino e il filo blu che li unisce
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Il banchiere senese Agostino Chigi entra nella sua meravigliosa villa sul lungotevere. È buio, c’è silenzio.
La luce delle candele illumina un giovane sporco di pittura, assorto nella contemplazione dell’affresco a cui sta lavorando. Il Chigi lo osserva: il ragazzo non ha nemmeno trent’anni ma il suo sguardo è già quello dei grandi, e indugia sulla ninfa ancora fresca sulla parete, in particolare sugli occhi, sul cielo, sul mare. Cosa avrà mai da rimuginare, si chiede il Chigi, questo urbinate un po’ strambo? Ma d’altronde, se lavora anche per il Papa, sarà il caso di lasciarlo fare… Il ricchissimo committente si ritira e lascia Raffaello Sanzio, che neppure si è accorto di lui, alle sue contemplazioni.
Aprile 2020
Su Topolino 3362, nell’ultima parte (di 4) di Zio Paperone e la pietra dell’oltreblù (Enna-Perina), Paperone e nipoti si trovano nella stessa sala di Villa Farnesina in cui Agostino Chigi aveva osservato Raffaello all’opera. L’affresco ovviamente è finito: rappresenta l’apoteosi della ninfa Galatea, elegante su una capasanta trainata da delfini. In particolare, i paperi si focalizzano sul blu del mare, del cielo, degli occhi. Lo studioso Adalbecco Quagliaroli sta cercando di scoprire insieme a loro il mistero legato all’incredibile blu utilizzato dall’artista in questa e altre opere citate lungo la storia.
L’Oltreblù del titolo pare essere infatti un misterioso colore ottenuto dall’urbinate tramite la lavorazione di una pietra particolare. Tutta la trama della vicenda ruota intorno a questo pigmento e alle sue clamorose proprietà, tanto “magiche” da far gola persino ad Amelia.
Settembre 2020
Un team guidato dallo studioso Antonio Sgamellotti compie un’eccezionale scoperta proprio sul Trionfo di Galatea e proprio sugli occhi della ninfa, sul mare e sul cielo: il blu utilizzato da Raffaello non è il comune Blu Oltremare ricavato dal lapislazzuli, di uso comune nel Rinascimento.
Si tratta dell’antichissimo Blu Egizio, colore diffuso a partire dal XXXI secolo a.C. e praticamente scomparso in epoca tardoantica.
Come mai l’artista l’ha usato e come l’ha ricavato?
Il Blu Egizio
La scoperta del team di Sgamellotti è clamorosa: in opere successive alla fine dell’Impero Romano infatti non erano praticamente mai state rinvenute tracce di questo pigmento particolare, ritenuto tra i primissimi colori artificiali della storia (ricavato dalla lavorazione ad alte temperature di silice, malachite, carbonato di calcio e carbonato di sodio) e utilizzato in moltissimi manufatti dell’epoca dei Faraoni.
Le dosi massicce di Blu Egizio utilizzate da Raffaello nell’affresco escludono l’impiego di materiale di origine archeologica. L’artista ha ricreato in laboratorio il pigmento, ridando vita a una ricetta dimenticata per secoli e basandosi probabilmente sul De Architectura di Vitruvio, punto di riferimento imprescindibile nell’amore per l’Antico coltivato dall’urbinate. Proprio in una lettera indirizzata all’amico Baldassarre Castiglione, che gli aveva fatto i complimenti per il Trionfo di Galatea, Raffaello scriveva:
Sono completamente coinvolto nell’antico. Non sarà mica un volo di Icaro? Ma ho una guida che è Vitruvio.
Un indizio importante per una scoperta giunta cinque secoli dopo la scomparsa del pittore, che rinunciò al diffuso Blu Oltremare, chiamato così per la provenienza dall’odierno Afghanistan. Per un soggetto di stampo mitologico e classicheggiante come la ninfa Galatea, il ritorno all’antico anche nell’uso del colore era fondamentale.
L’Oltreblù di Bruno Enna
La scoperta, di per sé eccezionale, è ancora più incredibile se pensiamo che è avvenuta dopo la pubblicazione della storia di Bruno Enna e Alessandro Perina, che anticipa così in qualche modo la rivelazione. Clamoroso è che nella corposa produzione raffaelliana gli autori si siano concentrati su Galatea e non su opere ben più note, come la Scuola di Atene o lo Sposalizio della Vergine. Ma ancor più strabiliante è che la questione ruoti, già a partire dal titolo, proprio intorno al blu utilizzato nell’affresco a Villa Farnesina. Ovviamente lo sceneggiatore non si è spinto a teorizzare il recupero dell’antichissimo pigmento (ci sarebbero stati gli estremi per teorie complottiste), ma il fatto che l’impianto della storia poggi proprio su un particolare blu creato dall’artista per questo affresco ci lascia sbalorditi.
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In merito alla questione si è espresso lo stesso Bruno Enna, che ha dichiarato di essere rimasto “di stucco” e ha dato i meriti dell’anticipazione allo spirito che a suo avviso dovrebbe albergare in ogni bravo sceneggiatore: un cocktail ben calibrato di documentazione rigorosa, fantasia, voglia di sperimentare e di scoprire.
Un po’ lo stesso mix alla base di certe personalità, come quella di Raffaello, che travalicano i secoli e dopo mezzo millennio sono capaci non solo di emozionarci ancora genuinamente ma anche di giocarci scherzetti come questo del Blu Egizio. O del Blu Oltreblù, se preferite.
Stefano Buzzotta
Fonti: Università degli studi di Torino | Finestre sull’Arte | Arttribune | ENEA | artfiller
Immagini © Disney – Panini | Villa Farnesina