Once upon a dime: il valore del ricordo nella Saga di Paperone

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La Saga di Paperone, un elogio della memoria

Senza memoria, non c’è anima.

Ha ragione Umberto Eco quando si pronuncia in questo senso. Noi siamo le nostre esperienze passate, ma siamo soprattutto i ricordi di tali esperienze. Siamo la nostra memoria.

Questa riflessione è particolarmente valida per il Paperone scritto da Don Rosa, con specifico riferimento ai capitoli – canonici e aggiuntivi – che compongono la monumentale Saga di Paperon de’ Paperoni (The Life and Times of Scrooge McDuck, in originale), serie a fumetti che racconta l’avventurosa vita del papero più ricco del mondo.

Il narratore americano struttura tutto il discorso come una lunga analessi: la prima tavola del fumetto ci mostra infatti Paperone già anziano e ricco, mentre una copiosa sequenza di didascalie si pone (e ci pone) domande su come abbia fatto a raggiungere quel traguardo.

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Con la tavola dopo siamo già in Scozia, nel 1877, quando il piccolo Paperone ha solo dieci anni. Una di quelle didascalie, però, ci racconta già qualcosa di importante: “Di ogni moneta conosce la storia! E, tutte insieme, queste monete raccontano la storia della sua vita…”, mentre il magnate osserva il suo denaro con particolare trasporto.

Nella Saga di Paperone, il protagonista è avaro?

Nella Saga Paperone non sarebbe quindi avaro in senso stretto, ma nella misura in cui quel “freddo, insignificante metallo” – come lo definirà il nipote Paperino nell’ultima tavola – rappresenta tutta la sua vita. Ogni moneta dunque è un ricordo e, se noi siamo i nostri ricordi, Paperone è le sue monete. Comprensibile che non voglia separarsene tanto facilmente.

La Saga è un intenso flashback in dodici capitoli che copre ottant’anni di vita. Appare ovvio come non si possa raccontare ogni avvenimento: i vari capitoli canonici talvolta sono distanziati diversi anni l’uno dall’altro e, all’interno di uno stesso capitolo, vi è una forte accelerazione del ritmo narrativo affinché si possa raccontare il maggior numero di avvenimenti nello spazio di poche vignette, lavorando di ellissi.

I capitoli aggiuntivi della Saga di Paperone: spiare nel passato

Alcuni di questi salti temporali sono colmati da Don Rosa con i cosiddetti “capitoli aggiuntivi”: storie scritte perlopiù dopo i dodici tasselli principali, concepite in tutto e per tutto come delle analessi omodiegetiche completive, flashback che riempiono a posteriori lo spazio diegetico tra due ellissi narrative.
L’incipit di ognuno vede Paperone – nel presente – raccontare le proprie avventure ai nipotini, con lo scopo di colmare, seppur parzialmente, i “buchi” narrativi tra un capitolo canonico e l’altro.

Di norma, all’inizio di ogni capitolo aggiuntivo troviamo il plurimiliardario seduto vicino a un grande baule colmo di reliquie dei bei tempi andati. Lui decide di raccontarne la storia ai suoi nipotini: rimira i cimeli, si commuove, ha gli occhi lucidi. È un Paperone tremendamente umano e figlio di ciò che è stato.

Nella Saga di Paperone, il protagonista è nostalgico?

Qui c’è da aprire un grande discorso. Il Paperone di Don Rosa è estremamente nostalgico, nel senso più puro del termine.

Dalla definizione di nostalgia: “stato di deperimento e di languore causato dal rimpianto ossessivo del paese natale, del luogo in cui si è a lungo vissuti, di una cosa che si desidera di nuovo o di ciò che non si è conosciuto“. Non ci potrebbero essere parole più adatte per quel Paperone, che singhiozza rigirandosi tra le mani un consunto album di fotografie, una pepita, un reperto o la bionda ciocca di capelli dell’unica donna per cui abbia mai provato qualcosa.

Nulla lo riporta indietro nel tempo come la visione di quegli oggetti che, per qualsiasi altro, non sarebbero altro che inutile ciarpame.
Per Paperone, no. Quella è la sua vita.

Quel ciarpame gli parla di quando era giovane e forte, avventuroso ed entusiasta, ambizioso e propositivo. È una vera e propria collezione di tracce che squarciano il tempo e rimandano a un passato altro dal presente oggettivo che incarnano.

La Numero Uno, madeleine di Proust del fumetto Disney

Gli oggetti si caricano di significato, rinviando a passaggi già avvenuti e carichi di valore emotivo. Si attua una sorta di investimento timico, una reazione automatica e inevitabile che al tempo stesso corrobora e corrode l’animo pieno di rimpianti del vecchio magnate.

Si potrebbe ben dire che la Numero Uno, la prima moneta guadagnata da Paperone, sia affine alla madeleine di Marcel Proust.
Assaporato dopo anni, il dolcetto era in grado di trasportare l’autore della Recherche ai tempi della sua infanzia, esattamente come la Numero Uno riesce a far sprofondare PdP nelle pieghe di quel 1877 in cui tutto iniziò.

Il Paperone di Carl Barks e Don Rosa non si limita ad assaggiare il suo passato: lo colleziona, ci si tuffa, ci scava le gallerie. Sintomatico in tal senso come il fantastiliardario viva nel Deposito, letteralmente immerso nel suo denaro. Pardon, nei suoi ricordi.

Paperone di Barks e Paperone di Rosa: lo stesso personaggio?

C’è però un fondamentale distinguo da fare: il PdP che vediamo nelle storie di Barks non è quello che vediamo nelle storie di Don Rosa. La differenza è notevole soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto con il denaro.

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In entrambi gli autori si tratta di una relazione morbosa e decisamente fisica: tuttavia, nelle opere di Barks, Paperone nutre per le sue monete un affetto che sfocia molto nel ludico. Ci gioca come ci giocherebbe un bambino, e lo fa principalmente perché gli piace. Perché si diverte.

In Rosa, no. Paperone maneggia comunque i suoi soldi, scava gallerie come una talpa e si tuffa come un pesce baleno, ma senza quell’allegra spontaneità “fine a se stessa” del Paperone di Barks. Nelle storie del Don, l’aspetto nostalgico e l’amore per il passato superano sempre, e di gran lunga, il divertimento infantile. Paperone riflette, sospira, singhiozza. C’è ben poco di divertito, e men che mai di infantile.

“Doretta…”

Nella prima tavola dell’ultimo capitolo, Il papero più ricco del mondo, lo vediamo addirittura tenere in mano una palla di vetro raffigurante la sua baita da cercatore d’oro nel Klondike mentre, con voce flebile e spezzata, sussurra: “Doretta…”, il nome del suo grande rimpianto, del suo amore mai risolto. Un encomiabile riferimento al capolavoro di Orson Welles, Quarto Potere, altra opera di cui la memoria e il ricordo sono componenti essenziali. Non è un caso.

Tutta la Saga, del resto, è un percorso. Non solo temporale, ma anche spaziale. Paperone gira i quattro angoli del globo, passando da Glasgow a Louisville, dalle Terre Maledette al Transvaal, dal Deserto d’Australia all’Africa Nera. Tutti luoghi fisici ma anche della memoria, che il miliardario, però, carica di significati in modo via via differente.

Il processo di risemantizzazione è sempre diverso. Ce n’è uno, in particolare, che per Paperone è un vero e proprio luogo della memoria nel senso più stretto, un reperto esso stesso, un riferimento che per il plutocrate è significativo come nessun altro. Si tratta del luogo che lo ha definito maggiormente: il Klondike.

Klondike, luogo della memoria

Quell’inospitale regione dello Yukon è per Paperone il luogo della memoria per eccellenza. Lì è diventato ricco, congelandosi le dita fino all’osso per cercare l’oro nelle acque ghiacciate del Fosso dell’Agonia Bianca. Ha conosciuto Doretta Doremì, la sua unica e sola fiamma, per quanto burrascosa e ambigua sia stata la loro storia d’amore. Si è dimostrato a pieno titolo “più duro dei duri e più furbo dei furbi”.

Il Klondike smette quindi di essere semplice luogo e diventa a pieno titolo “oggetto semiotico”, contenente e rappresentante un significato altro da sé, che ha valenza solo ed esclusivamente per Paperone.

Lo si nota benissimo nel capitolo aggiuntivo intitolato L’ultima slitta per Dawson in cui a Paperone giunge un telegramma dalla Klondike Bank di Whitehorse, il suo “primo investimento”. Ciò lo riporta immediatamente indietro con gli anni, in un flashback in cui lo si vede perdere la sua slitta in un dirupo in mezzo a un ghiacciaio.

Il telegramma gli comunica che è stato ritrovato il segnale che aveva lasciato in modo da poter recuperare, un giorno, la slitta. In breve raduna la famiglia e parte alla volta di Dawson, nello Yukon.

Una slitta di ricordi nella Saga di Paperone

Lì trova una città cristallizzata: poco o nulla è cambiato dai tempi della corsa all’oro, e Paperone risemantizza ogni elemento della città secondo la sua memoria, rimembrando i vecchi tempi e constatando quello che ogni cosa (un locale, un battello, una piazza, la ormai invecchiata Doretta) significa ora per lui in relazione a quei ricordi.

Cosa c’è, però, di così importante in quella slitta perduta e dimenticata, conservata nel ghiaccio perenne del Klondike? Oro? Diamanti? La mappa per trovare un giacimento di petrolio?
Macché, quello che trova vale decisamente di più: i suoi indumenti e le sue suppellettili ai tempi della corsa all’oro. I suoi “fedeli amici della gelida tundra”, come li definisce. Ma non solo.

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In quel bagaglio fa bella mostra di sé una scatola di cioccolatini, perfettamente conservata, indirizzata a Doretta. Sarà proprio quest’ultima, nelle vignette conclusive dell’avventura, a descrivere il rapporto che lega Paperone, la ricchezza e i ricordi: “Vedete, era già ricco quando arrivò nel Klondike […] Paperone è veramente ricco di ricordi! I ricordi… sono un po’ come questi cioccolatini: sono rimasti inalterati nel tempo… Sono intatti, ma… ancora dolci, dolcissimi, nonostante siano trascorsi tanti anni!”.

Il cuore dell’impero (e di un papero)

Paperone ritorno a Paperopoli

Ma i ricordi, per Paperone, non sono sempre e solo un traghetto verso il passato. La risemantizzazione operata dal papero procede in due sensi: oggetti e situazioni del presente gli permettono di tornare con la memoria a momenti passati, ma talvolta sono questi stessi ricordi a indicargli come agire nel presente. Questo processo è mostrato con chiarezza nel penultimo capitolo della Saga, Il cuore dell’impero.

parenti Paperone

Paperone, dopo aver viaggiato per decenni intorno al globo, torna a Paperopoli e trova i suoi parenti ad attenderlo. L’animo del miliardario si è inaridito col passare degli anni: la vista dei suoi cari non riesce a smuoverlo, e il suo carattere indurito dal tempo li allontana da lui. È proprio in questo momento che le memorie dei dolci momenti passati con i genitori e le sorelle tornano a galla. Sono questi ricordi a mostrare a Paperone il giusto modo in cui trattare i parenti. A prescindere dall’epilogo del capitolo, non si può negare che il passato abbia un ruolo attivo nel presente di PdP.

saga di Paperone tavola finale

Perché questo è Paperone: un uomo ricco di ricordi, prima che di denaro. Anzi, di più: ricco di ricordi, incarnati nel denaro. La tavola conclusiva della Saga ci mostra un papero immerso, al tempo stesso, nei ricordi e nelle monete. Ogni moneta rimanda a un’avventura e si fa traccia semantica capace di superare il confine del tempo. Tutte insieme, ecco che quelle monete costituiscono la sua intera esistenza. Perché Paperone è le monete che ha guadagnato, e le monete a loro volta definiscono Paperone.

Che non si dica più che Paperon de’ Paperoni è solo un taccagno. Provateci voi, a separarvi con leggerezza dai ricordi della vostra vita…

Mattia Del Core

Immagini © Disney, Don Rosa

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