Un genio dell’Arte visiva sceglie un personaggio Disney disincantato e amatissimo e lo capovolge.
Oggi, è «una sferzata» ai posteri.
Paz.
Andrea Pazienza.
Punto.
Basterebbero nome e cognome per vedersi passare davanti una «fotografia» stravolta, ma potente e spietata, degli anni Settanta.
Lui e il suo talento vengono al mondo a San Benedetto del Tronto, poi infanzia e pre-adolescenza in provincia di Foggia, terra d’origine del padre.
Ma la sua vita vera sboccia a Bologna, anno 1974, dove arriva per studiare al DAMS, per poi abbandonare “a un chilometro” dalla laurea.
In quel momento storico e in quella città, Paz lega subito con scrittori come Enrico Palandri e Roberto Freak Antoni (artista poliedrico anticonformista e fondatore degli Skiantos) e artisti come Pier Vittorio Tondelli e Filippo Scozzari.
Talento e creatività sono, in quel tempo, «un’eterna primavera». Come mai più sarebbe stato.
Pazienza è nel pieno della contestazione giovanile — Bologna, nel ’77, soprattutto dal mese di marzo, è «un campo di battaglia» — ma non si abbandona a essa a-criticamente. Anzi…
È dubbioso proprio di quel gruppo — il «Movimento del ’77» — in cui dovrebbe impegnarsi in prima persona.
Tre anni. Soltanto tre per arrivare a una visionaria e autobiografica opera, la sua prima: Le straordinarie avventure di Pentothal.
Opera a puntate uscita fra il 1977 e il 1981 su Alterlinus (poi Alter Alter), fratello minore del mensile Linus.
La storia di un ragazzo come lui nella Bologna del 1977.
Una vita che scorre su un piano che si inclina con gradualità che sa di beffa,
un’apparenza che sa di fiamme.
Fiamme che giungono a portare «inferno» con l’uccisione, l’11 marzo, di uno studente, Francesco Lorusso.
Non è un fumetto, è bruciante realtà.
L’evento sconvolge l’Artista, che decide di ridisegnare l’ultima tavola del primo episodio di Pentothal, prima che vada in stampa.
Le tavole dei successivi episodi racconteranno, attraverso proiezioni oniriche, un Pazienza in lotta con sé stesso. Come uomo e come artista.
Ci saranno altre meraviglie firmate Paz, a partire dal magnifico e allucinato Zanardi (una specie di Pentothal molto peggiorato), che compare nella rivista Frigidaire, co-fondata da Pazienza insieme al gruppo degli artisti di Cannibale.
Non è un Pippo per bambini, meglio chiarirlo subito, quello che Paz “rapisce” senza manifesta cattiveria, per “usarlo” a proprio piacimento.
Un piacere non sterile, non fine a sé stesso.
Paz adora Pippo, tanto da farlo spesso “suo” in piccole storie e vignette varie.
Ama molto Carl Barks. Al contrario, Topolino è figlio di quell’America e di quel modello americano lontanissimi anni luce dal suo pensiero e da quel suo… «essere Pazienza».
E il destino beffardo fa sì che il volume Perché Pippo sembra uno sballato esca nel 1983, gli anni del disincanto, mutato — almeno da parte di storici e sociologi — nel più negativo «disinteresse» dopo gli anni Settanta, il decennio tra «fiori e pistola».
In realtà, le storie brevi presenti in quest’albo, in origine uscirono nell’arco temporale che va dal 1977 al 1980, pubblicate dalle riviste con cui Pazienza in quegli anni collaborava — Frigidaire, Il Male, Cannibale.
Nelle tredici storie dell’albo, vi è la “sua” Bologna dei suoi giovani «fra le vie e l’inferno».
E della droga, «amica dagli occhi rossi».
La breve storia con protagonista un Pippo quasi inquietante (ma poi non tanto, scavando…) uscì nel 1977 su Cannibale, storica rivista underground.
Pazienza fa «suo» il personaggio, come fosse una sua creazione originale.
È una delle facce del genio.
Ha i suoi tratti, il lato oscuro, l’inquietudine.
Ma com’è questo Pippo rimodellato da Pazienza? Cosa ha di «infernale»?
Dimentichiamo per un po’ Disney World…
C’è un deserto lontano dove il nostro sceglie di ritirarsi.
Anche «l’innocenza» è lontana, più nell’idea di vita che per dato anagrafico.
Le gocce zampillano dalle estremità degli aghi, fra le dita di un’umanità felice del proprio recinto oscuro.
Pippo è fuggito dal mondo milionario del Cinema e dello «showbiz»… e parla in modo strano… parla un linguaggio che Pazienza ha “creato” estraendolo dalla sua vita universitaria, un amalgama perfetto: è «meridional-bolognese».
Pippo è felice. In pieno deserto, sotto un vecchio ombrellone che lo protegge quasi nulla da un sole che sembra trovarsi solo pochi metri più su. I suoi nuovi amici, a ben guardarli, non sembra si siano mai persi, ma piuttosto mai trovati.
La droga, ma anche la non omologazione a certi valori quasi “doverosi per legge”: sono “il torrente” che Pazienza segue per questa storia. E lo fa andando a pescare in un mondo — quello Disney —che è la massima espressione del «felice a prescindere», e scegliendo un personaggio svagato, buffo — dotato forse del cromosoma «surreale» —, a cui Paz rivolta l’essenza.
Come se ognuno di noi avesse un’anima alternativa, e che basterebbe “rivoltarci” come si fa con un calzino per trovarla, e provarla.
L’apparire e la ricchezza si possono anche tenere lontani, o rinunciarci dopo averne goduto, magari senza nemmeno aver trovato, nonostante i privilegi, la giusta felicità.
Anche se la felicità può essere un trucco.
Come la droga per i giovani a Bologna in quegli anni.
Ma Pippo un giorno riceve una visita inaspettata. Da Topolinia il suo migliore amico è arrivato fin lì per fargli capire qual è il suo posto. E alla fine lo convincerà, non senza difficoltà, a ritornare con lui nel mondo che lo ha visto protagonista. Da un lato un Topolino versione quasi cinica, quando minaccia di far smantellare dalla polizia la «comune» nel deserto, dall’altro, il suo migliore amico versione isterica.
Ma persino gli amici «molto fuori» del deserto si arrendono. Pippo ritorna alla sua vita precedente.
Ma chi l’ha detto che ritornerà davvero a una vita migliore?
Andrea Pazienza, nei primi anni ottanta vive anche l’esperienza dell’insegnamento. Forse la più importante è quella presso la Scuola di Fumetto Zio Feininger di Bologna, dove inizia a collaborare nel 1983 e fino al giugno del 1984. Di quest’esperienza parlerà in un episodio chiamato proprio La scuola, nel romanzo a fumetti (estremamente autobiografico) Gli ultimi giorni di Pompeo, pubblicato a puntate, su Alter Alter (ex Alterlinus) nel 1985, e in volume nel 1987.
La sua creatività, in questo decennio, si esprimerà anche in alcune copertine di dischi, in locandine per il Cinema (quella del film di Fellini, La città delle donne, è sua), addirittura realizza un paio di videoclip.
Ma talento immenso, un lavoro che svolge con ariosa libertà e un amore di lunga data, non bastano.
E così incontra anche lui una «felicità impietosa», l’eroina, e non solo.
Per molti, diviene «il tossico».
Perderà tanto in quegli anni.
E come in certe storie d’amore, “Paz e l’eroina giocano a prendersi e lasciarsi”.
Nel 1984 si trasferisce «nell’antica» Montepulciano.
Rispetto agli anni bolognesi, è come risvegliarsi di soprassalto nel 1100.
Un anno dopo, però, ritrova l’amore. Fumettista anche lei.
Va, Paz, «le ombre» non gli scolorano (del tutto) la vita, il suo talento non cede il posto a presenze «che tolgono».
Collabora sempre con le riviste più importanti del fumetto.
Fa lo scenografo, e partecipa alla sceneggiatura del film di Roberto Benigni, Il piccolo diavolo, pur se non accreditato.
Tutto sembra vada per il meglio. La sua creatività non scema con il passare del tempo.
La droga sembra un demone ormai scacciato.
E invece, aveva solo silenziato i suoi passi…
In una notte del 1988 si chiude in bagno.
Non ne uscirà più.
Il sogno è finito.
«Tagliato fuori… Sono completamente tagliato fuori…»
Baf
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