Ognuno è un genio. Ma se giudichiamo un pesce dalla sua abilità di salire su un albero, lui passerà tutta la sua vita credendosi stupido.
Questa frase che periodicamente ritroviamo qua e là è erroneamente attribuita ad Albert Einstein. In realtà nessuno l’ha pronunciata così com’è, pare sia un sunto di diversi pensieri – ma noi non siamo qui per ricostruirne la storia. Per quel che ci interessa, questa affermazione contiene una verità: è un errore giudicare qualcuno basandosi su una qualità che non possiede (e non possiederà mai, aggiungiamo).
Sì ma che c’entrano le pitto-pareti con i pesci che scalano gli alberi?
Più di quel che sembra: tutti (forse) abbiamo un qualcosa in cui siamo o ci scopriamo bravi. Tutto sta nello scoprirla. Per caso, per reazione alle nostre famiglie che ci vorrebbero in un modo, perché un giorno decidiamo di mollare tutto e darci alla nobile arte dell’intaglio della carta, può accadere che noi paper umani tiriamo fuori dal cilindro abilità fino a quel momento nascoste e insospettabili. È il caso di “Paperino e le pitto-pareti boom”, di Fabio Michelini e Romano Scarpa, apparsa su Topolino n. 2173.
La storia segue uno schema piuttosto convenzionale rispetto a quelle che sono le consuete vicende paperinesche:
- Paperino si trova a lavorare gratis per lo zio sotto minaccia della famigerata lista dei debiti
- Paperino si sente svalutato e si ribella a Zio Paperone
- Nasce un’attività (qui la celeberrima P.P.P.P.P. ma la l’elenco dei lavori di Paperino è lunghissimo) e in pochissimo gli affari decollano grazie alla papera abilità
- Paperino è bravo, anche troppo bravo, inizia a strafare e i suoi lavori mostrano il lato disastroso
- Epilogo variegato ma con un tema di fondo: Paperino scappa/è condannato a pagare una multa salatissima o -variante- a lavorare per lo zio.
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Cos’è che ci piace così tanto?
Se non è l’originalità della vicenda in sé, allora cos’è che ci affascina tanto da farci ricordare queste tavole a distanza di anni?
- In primo luogo lui: Herr Fritz. Corporatura armadiesca, chiare origini teutoniche e idee ancor più chiare: lui vuole solo “un autentico vulcano di tipo vesuviano” sulla parete del soggiorno e lo ripete vignetta dopo vignetta. Il cliente ideale.
- La P.P.P.P.P.P.P.P.P., ovvero l’insegna che ci è rimasta nel cuore, il giusto punto di incontro tra l’immodestia più sfacciata e un giustificato orgoglio. L’aggiunta di quattro “P.” alle originarie cinque rappresenta un traguardo importante per Paperino, e noi con lui -e per lui- ci sentiamo tronfi e arrivati.
- La rivalsa. Come il pesce della frase iniziale, Paperino viene mal giudicato e sottovalutato dallo Zio Paperone: è proprio questa la miccia che accendendosi porta il suo talento a deflagrare. Del resto anche i Beatles furono scartati all’inizio della loro carriera e ciò nulla gli toglie. Tutti siamo stati Paperino (ché dire i Beatles pare un filino esagerato), tutti ci siamo sentiti dire che non eravamo abbastanza, che non eravamo tagliati, che non saremmo arrivati da nessuna parte. Le pitto-pareti ci insegnano quanto sia importante non finire per crederci e non lasciarsi abbattere.
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- Il mondo in una stanza. Quello che trovo più affascinante è che le pitto-pareti permettano di viaggiare anche quando si è in casa tra quattro mura. Una pitto-parete è un’esperienza che annulla i confini fisici trasportandoci immediatamente da un’altra parte. Vedute, colori, luci, suoni e odori sono ciò che vorremmo riportare da ogni viaggio e che cerchiamo -un po’ invano- di condensare in souvenir di ogni genere, foggia e misura. Quando viaggiamo sappiamo benissimo che lasceremo un pezzetto di noi stessi in giro per il mondo: lungo un sentiero in montagna, sull’asfalto di una statale che taglia un paesaggio marziano di rocce rosse, sulle pietre di una piazza affollata e tinta di ocra dal tramonto. Mentre ancora siamo lì, già sappiamo che quel momento non tornerà mai uguale e ci affanniamo a catturarne il più possibile.
Insomma
Perché abbiamo sempre desiderato una pitto-parete a casa? E c’è da chiederlo? Perché siamo per metà il Paperino della storia, animato dal desiderio di rivincita, e per metà i suoi clienti: volubili, incontentabili e proiettati altrove. Li biasimiamo? Non credo. A chi non piace l’idea di guardare chi ci ha detto che non avremmo fatto strada solo per smentirlo con un soddisfatto “te l’avevo detto”? E chi non vorrebbe girare l’angolo ed evadere dalla monotonia delle pareti bianche per tornare -anche se solo con la fantasia- sul vulcano della propria infanzia (rigorosamente di tipo vesuviano)?
Ma c’è di più. C’è un motivo che, quando abbiamo letto la storia da ragazzi, abbiamo sfiorato ma forse senza comprendere appieno. Le pitto-pareti sono più di semplici strati di colore, profumi, luci su un muro immacolato: rappresentano un papero. Un papero qualunque. Un papero che non si è voluto arrendere al vedersi con gli occhi degli altri e, pennellata dopo pennellata, parete dopo parete, si è inventato il lavoro che gli piace.
Marta Leonardi
Immagini © Panini Disney