Perché Eta Beta mette le P davanti alle parole?

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Pvi siete mai chiesti perché Eta Beta quando parla mette le P davanti ad alcune parole? Insieme al gonnellino portatutto, le P in esubero sono la sua caratteristica più emblematica, che rimanda immediatamente al personaggio.

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Un esempio dell’impulso irresistibile di aggiungere le P alle parole quando si pensa a Eta Beta. Foto pscattata a Pisa

Ma Eta Beta ha sempre messo le P davanti alle parole?

La risposta alla domanda è sì. Aggiungere le P davanti alle parole che iniziano per consonante è una peculiarità di Eta Beta sin dal suo primo ingresso in scena. Ideato da Bill Walsh e disegnato da Floyd Gottfredson, il personaggio compare per la prima volta nella storia The man of tomorrow (tradotta in italiano come Topolino e l’uomo del 2000). È il 1947. Topolino, dopo essersi rifugiato in una grotta durante un temporale, precipita in un buco e qui incontra Eta Beta.

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Il primo faccia a faccia tra Topolino e Eta Beta: un momento storico

Il personaggio, inizialmente senza nome, si presenta come lo conosciamo oggi: gran testone triangolare, piedi e mani a un solo dito, gonnellino nero. Nelle prime vignette, Topolino prova a parlare con lui, ma l’essere risponde a gesti, al punto da farci credere di essere muto. Dopo un po’ inizia a parlare, ma riesce a dire solo “Eta!”. E quando finalmente pronuncia la prima parola sensata nel nostro linguaggio, ecco comparire la P di troppo:

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Due mondi diversi che si incontrano

Gottfredson ha inventato un personaggio che appartiene a un mondo diverso da quello in cui vive Topolino. Al momento dell’incontro nella grotta, Eta Beta sembra essersi perso e Topolino decide di condurlo con sé a Topolinia. La storia ruota intorno alle stranezze di Eta Beta, che fatica ad adattarsi a usanze e situazioni per noi quotidiane, con una serie di incomprensioni dopo l’altra che causano non pochi guai a Topolino.

E qui si spiega il perché delle P in esubero: Eta Beta non può parlare la nostra stessa lingua. Spesso, nelle storie in cui due stranieri si incontrano, questi sono perfettamente in grado di capirsi: è una sospensione di incredulità che accettiamo come patto narrativo. Gottfredson invece cerca di rendere più realistico il fatto che Eta Beta sia un estraneo. Per quanto oggi ci siamo abituati a Eta Beta e alle sue stranezze (come lui in parte si è abituato alla vita topolinese), quella P davanti alle parole ci ricorda che viene da un altro mondo.

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Per un attimo ci avevate creduto anche voi, eh?

Basta una sola P

Floyd Gottfredson ha avuto un’idea tanto efficace quanto semplice. Il creatore di Eta Beta ha inventato per lui un linguaggio comprensibile, riproducibile e riconoscibile. Comprensibile, perché una P di troppo permette a Topolino e a noi lettori di capire cosa dice Eta Beta, pur conferendogli un pizzico di stranezza quanto basta. Facilmente riproducibile, perché è immediato anteporre una sola P alle parole dentro alle nuvolette, senza appesantire i disegni. E questo si può fare in tutte lingue del mondo, risolvendo l’annosa questione della fedeltà delle traduzioni. Non importa in quale Paese sfogliate un fumetto, sicuramente Eta Beta aggiungerà la P ad alcune parole. Riconoscibile, perché come già detto, è una pcaratteristica che rimanda subito al personaggio. Pchi altri conoscete che parla così?

Basta una sola P, dunque, a identificare Eta Beta come personaggio eccezionale. E che questa sia stata un’intuizione di successo, lo conferma il fatto che la caratteristica è rimasta immutata per oltre 70 anni, da quando Eta Beta è comparso per la prima volta nel 1947.

Non solo un difetto di pronuncia

Se siete arrivati fin qui delusi dal sapere che non c’è una spiegazione più precisa, che riguarda proprio Eta Beta e il suo mondo, vi consiglio allora di leggere Pippo e il futuro troppo comodo. In questa storia del 2001 Eta Beta spiega quando e perché nella sua lingua hanno iniziato ad aggiungere proprio le P davanti alle parole.

La storia si apre con Minni, Pippo e Topolino a pranzo. I due amici sembrano aver passato molto tempo in compagnia di Paperino perché sono affetti da pigrizia madornale. La manifestazione di indolenza fa vincere a Topolino una corsa di 30 km su costrizione di Minni. Pippo, dal suo canto, sembra inamovibile: Minni manda dunque Eta Beta a cercare di spronarlo in qualche modo.

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Una scena di pigrizia che siamo abituati a vedere a casa di Paperino (e invece è ambientata a Topolinia)

Pippo sembra incapace di mollare l’amaca, così Eta Beta decide di raccontargli una storia sui danni che può arrecare la pigrizia. Scopriamo così che circa un centinaio di anni prima rispetto al tempo di Eta Beta, la sua gente parlava normalmente, senza aggiungere P alle parole. Allora, la tecnologia evoluta rendeva semplice la vita. Non solo il lavoro era svolto dalle macchine, ma le persone cercavano sempre più spesso di evitare la fatica. Dalle scarpe che camminano da sole (per non stancarsi a scegliere dove andare) a farsi sostituire da automi anche nelle attività di svago, il passo era stato breve. Presto le persone avevano smesso di uscire di casa e di incontrarsi, delegando anche questo ai propri sostituti. Anche il fiato veniva risparmiato. Le frasi a voce alta iniziarono ad essere pronunciate solo in parte, sempre meno, fino a smettere completamente di parlare.

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Una P contro la pigrizia

Riuscite a immaginare di farvi sostituire da un robot per un appuntamento romantico? Questa fu la goccia a far traboccare il vaso. E quando le persone riscoprirono il piacere di fare cose, la felicità di incontrarsi e parlare di nuovo con gli altri, presero provvedimenti perché non accadesse mai più.

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futuro

Eta Beta conclude dicendoci che allora fu deciso di aggiungere una P davanti alle parole. Come monito contro la pigrizia, a parlare anche più del necessario. Una P in più per contrastare l’inaridimento dei rapporti umani a cui può portare la tecnologia.

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Nel 2001, quando fu scritta la storia, l’intelligenza artificiale non aveva ancora raggiunto il livello di sviluppo attuale. Oggi ci domandiamo spesso se il lavoro umano verrà sostituito dalle macchine. E a chi non è capitato di cenare con gli amici senza proferire parola, comunicando tramite messaggi via smartphone? Eta Beta, quasi vent’anni fa, ci stava mettendo in guardia. Che fare? La questione del lavoro è troppo complessa da affrontare in questa sede. Per quanto riguarda gli amici invece, prendiamo esempio da Pippo. Lui, alla fine della storia, si alza e corre a raggiungere Topolino e Minni. La prossima volta che pensate di scrivere a un vostro amico, alzate la testa se è con voi, sennò alzate la cornetta, o alzatevi e andate a trovarlo (indossando la mascherina e a distanza di sicurezza, ovviamente)! E parlatevi a pvoce alta.

Una P contro la paura del futuro

Eta Beta, in quanto uomo del futuro, può essere una risposta alle nostre paure per il domani. Nel 1947, anno di nascita del personaggio, la bomba atomica è stata usata appena due anni prima. Il personaggio nasce in questo contesto e in avventure successive lo vediamo alle prese con la minaccia nucleare. Con il crollo dell’Unione sovietica e la Guerra fredda ormai di lontana memoria, l’interesse per il tema è andato calando. Ma ecco comparire un altro spettro a inizio millennio: il sopravvento della tecnologia sulle nostre vite. Pippo e il futuro troppo comodo, pubblicata nel 2001, si interroga proprio su questa incognita e, nuovamente, Eta Beta arriva a darci una risposta.

eta beta futuro

La capacità di adattamento alle epoche storiche di Eta Beta è una caratteristica dei fumetti Disney, che contribuisce a garantirne il successo: i personaggi cambiano per affrontare i temi della società contemporanea. Questo li mantiene attuali, facendoli apprezzare a generazioni diverse. Ma la natura intrinseca dei personaggi non cambia, rimane riconoscibile. Anche se il 2000 è passato da un pezzo, Eta Beta verrà sempre dal futuro. Un futuro diverso da quello già immaginato ma dove si continuano a mettere le P davanti alle parole.

Agnese Amato

Immagini © Disney

Fonti:

Topolino Story 1949, Ed. Corriere della Sera. Milano, 2005.

Gli anni d’oro di Topolino 10 – Eta Beta, l’uomo del 2000, Ed. Corriere della Sera. Milano, 2010

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