Serata al Teatro Alambrah
Abbiamo già parlato in un’altra occasione del breve ciclo del Teatro Alambrah. Si tratta di tre storie scritte da Francesco Artibani e Lello Arena tra 1993 e 1994, tre parodie, per l’esattezza. Il visconte dimezzato, disegnata da Silvia Ziche, è la seconda di queste parodie, preceduta da Miseria e nobiltà e seguita da Le furberie di Scapino. Le storie, in quanto tali, sono svincolate l’una dall’altra per evidenti motivi. A connetterle, però, e a farne un “ciclo unitario”, è il comune meccanismo narrativo di base. Mi riferisco all’idea di “rappresentazione teatrale”: in tutti i tre casi, vediamo i topolinesi (e non solo) affollare la platea del Teatro Alambrah, affrettarsi dietro le quinte per entrare in scena, ritoccare gli ultimi dettagli. I personaggi, insomma, non sono calati dall’alto all’interno di un testo classico. Loro stessi interpretano, consapevolmente, questi testi.
Perché Calvino?
Nel corso della sua vita, Calvino ha avuto a che fare con il teatro più di una volta. Le sue prime prove di scrittura, dopo qualche vignetta e un paio di recensioni cinematografiche, sono state proprio commedie e tragedie. Ci è rimasto pochissimo del Calvino drammaturgo (per fortuna, a sentire lui). Conosciamo dalle lettere a Scalfari alcuni titoli, come Baobab, Cortine fumogene o La commedia della gente (premiata a Firenze nel 1942). Il visconte dimezzato, però, non è certo un testo teatrale. Si tratta di un “romanzo breve”, o, se si vuole, di un “racconto lungo”. Perché, quindi, sceglierlo per questa occasione?
Di Visconti…
La risposta principale, forse, è da cercare nell’essenzialità dell’opera. Il visconte dimezzato nasce, in sostanza, come sfogo. Mentre era impegnato nella stesura di un grande romanzo realista, Calvino perdeva tempo nello scrivere un racconto assurdo, per il puro piacere di scrivere. Nell’arco di dieci capitoli, la narrazione procede lineare e spedita, dritta al punto e senza eccessivi artifici retorici. L’idea di Calvino era quella di scrivere una storia che stesse in piedi innanzitutto come storia. Sappiamo bene com’è andata a finire: il romanzo realista è rimasto a prendere polvere in un cassetto, mentre il “racconto assurdo” è diventato uno dei pilastri di una carriera pluridecennale. Proprio la nuda semplicità della narrazione e l’assenza di simbolismi forzati rendono Il visconte dimezzato adatto al “palcoscenico” (Disney), con i dovuti aggiustamenti.
…e di Pippidi
I personaggi sono pochi, e anche il “casting” è semplice e immediato. Il ragazzino narratore e lo scudiero del Visconte vengono accorpati, e le loro parti affidate a Topolino. Il ruolo del Visconte Medardo, così, spetta a Pippo, “dimezzato” non con un taglio longitudinale (per evitare tinte splatter poco felici), ma in altezza. Orazio, Clarabella e Zapotec compongono, insieme ad alcune comparse, il resto del cast. Per ogni spettacolo che si rispetti, poi, serve un nutrito pubblico, e qui lo abbiamo. Parenti e amici degli attori (quindi buona parte delle nostre conoscenze topolinesi) siederanno sulle poltrone del teatro Alambrah. Troveremo pure loro nella storia, protagonisti di qualche gag prima che lo spettacolo inizi, o dopo gli applausi.
Qualche nota sulla storia
Lo scheletro narrativo è lo stesso dell’opera di partenza. Le premesse sono chiare: Pippo-Medardo viene colpito in guerra da una cannonata. Ne esce diviso in due metà: una metà malvagia, che continua ad amministrare (con pugno di ferro) le terre del visconte, e una metà buona, che vaga per quelle stesse terre tentando di riparare ai torti commessi dall’altra parte di sé. Artibani e Arena seguono con cura le parole di Calvino. La ripresa del testo originale, inoltre, si muove pure su un piano grafico. Per esempio (sia chiaro, non si tratta di un caso isolato): sia l’originale sia l’adattamento si aprono su un campo di battaglia deserto. Calvino descrive nel dettaglio la devastazione, la morte e gli orrori ben visibili; la Ziche riassume con efficacia questa descrizione, decorando le prime vignette con corvi e armi abbandonate.
Qualche nota finale a margine
Lo spirito del romanzo di Calvino, riassumendo, viene ben colto in questa versione disneyana. Certo, mancano alcuni personaggi secondari e alcune sottotrame. Non manca, però, nessuno dei passaggi fondamentali per poter comprendere a pieno e apprezzare il senso della storia. Se questo articolo vi ha messo voglia di (ri)leggere questo interessante adattamento, abbassate le voci e silenziate i cellulari: al Teatro Alambrah si va in scena.
Alessandro Giacomelli
Immagini © Panini Disney
Per l’analisi dell’opera di Calvino, l’autore si è servito di Calvino, saggio di Francesca Serra per Salerno Editrice.