Un «Come eravamo» rischia di farci apparire più anacronistici di un server in una bottega del 1200. Ma è di magia e fiabe che avremmo bisogno.
E Pippo lo sa da sempre.
Come lo sa Babbo Natale. Che — fortuna nostra — almeno in quell’unica notte dell’anno, ci “strappa” alla nostra grettitudine.
Un sabato pomeriggio. In una qualsiasi città o paese d’Italia.
Chissà come mai e perché, invisibili ci ritroviamo davanti a un bar, anzi al bar più figo del luogo.
O semplicemente, quello che ha fatto breccia nel cuore di un gruppo di otto (quasi) adolescenti seduti a un tavolo.
Siamo liquidi, e attraverso il “gioco” di una vetrata, li osserviamo.
La prima evidenza: hanno tutti la stessa posa. Ogni componente del gruppo seduto a cerchio, ha fra le mani il proprio smartphone e parla (o gioca) con esso. La seconda: solo di tanto in tanto notiamo un sorriso, una parola, uno sfottò tra loro.
Hanno mediamente undici anni e mezzo, ma un paio, undici non li ha nemmeno.
Non cambia nulla.
L’inquietante normalità (triste), ci racconta di un gruppo di giovanissimi che invece di interagire al suo interno, lo fa con altri individui lontani. «Amici di pixel».
Noi avremmo anche il potere di renderci fisici per avvicinarci (o tentare)… e chieder loro qualcosa su Babbo Natale.
Ma, io personalmente avrei timore a farlo. Da ciò che osservo, ho seri dubbi su quanto ancora dentro di loro sia rimasto dell’incanto di una fiaba, o sulla convinzione dell’esistenza di una certa magia che fa sì che da un caminetto, una sola notte dell’anno, scenda un omone vestito di rosso per lasciarti il dono desiderato, e poi volare via con le sue renne.
Credo che da un po’ tutto questo, da riflessioni sulla perdita della purezza che ci vive dentro nell’infanzia (ma oggi, fino a quando?), sia nata una delle più belle, “meno leggere” storie natalizie Disney, Pippo e l’ultimo viaggio di Babbo Natale: scritta da Luigi Mignacco e disegnata da Massimo De Vita, e pubblicata su Topolino del 22 dicembre 1985.
L’autore Luigi Mignacco, ad alcuni potrebbe dire poco rispetto ad altri nomi più celebri legati al Topo, ma dal 1982 al 1985, nel gruppo d’autori Staff di If — creato da Gianni Bono nel 1974 —, contribuì con la sua scrittura a tante storie per Topolino; il suo talento si è poi confermato (soprattutto) con la Sergio Bonelli Editore, dove tutt’oggi lavora.
Ma torniamo alla storia di Mignacco&De Vita: questa, in realtà inizia con la familiare (e solita) bizzarria di Pippo: il suo albero di Natale è già bell’e pronto il 29 di novembre. E alla sorpresa del suo migliore amico sul “leggero anticipo” — la loro bellezza, è anche in questa impossibile abitudine di Topolino agli «inconsueti» comportamenti dell’amico —, Pippo risponde con candore fanciullesco (guai a perderlo…); ma è la successiva considerazione di Topolino a doverci far riflettere… a lungo.
Assodato il discorso dell’albero già addobbato, arriva l’impegno più importante per Pippo: scrivere la lettera a Babbo Natale. Ma si può fare anche il giorno dopo, no?
No, e Pippo ha le sue ottime ragioni…
Ma il colpo peggiore per Pippo arriva dal nipote…
Ora, Gilberto è un geniaccio, ha una mente superiore, e al di là di un discorso di età, potremmo perdonarlo considerando i binari speciali sui quali viaggia la sua mente.
Ma… i ragazzini del bar, fino a che età hanno avuto dentro sé “lo spirito della lettera”? Quel crederci naturalmente, senza sotterfugi: senza condizioni. «Credere», non perché si è bambini, che un uomo voli sopra i nostri sogni la notte di Natale.
A quanti anni oggi un bambino, se gli si parlasse di Babbo Natale e una lettera da scrivergli, ci risponderebbe “Ma Babbo Natale non esiste! Sono mamma e papà!”? Nove anni? Magari già otto o sette? Forse la soglia su cui vive ancora l’incanto è sei anni. Forse. Ma trovo estremamente triste che a otto anni si sia già «grandi» per credere a Babbo Natale.
Triste e… molto poco fiabesco.
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Chi crede più (o ancora) alla Sua esistenza? Il fulcro della storia è questo.
Inutile negarcelo: oggi, nella nostra società, se un adulto come Pippo si dimostrasse fervente credente in Babbo Natale, e come fa qui il nostro amico, lo difendesse con appassionata convinzione, beh, senza dubbio alcuno sarebbe considerato un po’ picchiatello: si sorriderebbe bonariamente di lui nel migliore dei casi; lo si deriderebbe e chissà cos’altro, nel peggiore.
Ma se è passabile (a fatica) l’aridità di un adulto di fronte a un certo incanto, non dovremmo accettare la sua perdita in un fanciullo di soltanto otto o nove anni.
Un pianeta più sano vorrebbe che la meraviglia degli occhi di Pippo che vediamo qui sopra, fosse la normalità negli occhi di un bambino che non abbia sempre e soltanto quattro anni. Vorrebbe che sentisse e provasse la magia dell’attesa per quella sola notte anche un po’ più in là nel tempo. E perché no, sperare che un velo di quell’incanto possa restare anche dopo.
Ma c’è una verità «preoccupante» che Babbo Natale comunica a Pippo con normalità altrettanto disarmante: non ci sono più bambini che credono in lui. Mignacco scrive questo nel 1985. Un’era fa. Nel frattempo le generazioni sono cambiate come le società dentro cui di volta in volta sono state immerse, e facendo un salto temporale direttamente all’oggi, le gravi problematiche legate ai giovanissimi ci appaiono lontanissime anni luce dalla figura dell’omone in rosso che vola su una slitta. Ma il punto è proprio questo: se a tredici anni — cioè, poco più che un bambino — la tua priorità legata allo svago sono (già) fumo e alcol (per tanti giovani sono questi i nuovi “giochi”), la magia per te è (decisamente) una boiata. Figuriamoci se ti accennassimo di Babbo Natale.
Ma qual è la soluzione?
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Sarebbe proprio un po’ di sana buona magia… Vivere una favola.
Pippo in questa storia riceve un «dono».
Pur non avendone — proprio lui, no — bisogno: vola via con Babbo Natale, proprio sulla sua slitta. Mai nessuno aveva ricevuto un tale privilegio; soprattutto, mai nessuno aveva vissuto una tale meraviglia. Ed è tremendo quando, arrivati al Palazzo del Ghiaccio, l’addetta alla posta conferma a Babbo Natale che… no, non sono ancora arrivate lettere dai bambini.
E successivamente, come se non bastasse, anche Tip e Tap, che non hanno certo vent’anni, fanno sapere a Pippo che… sì, vagamente hanno sentito parlare di Babbo Natale: come metafora della situazione attuale, è perfetta.
Arriva la vigilia di Natale, manca soltanto un’ora alla notte delle notti.
Il gruppo di amici che era al bar, a fine pomeriggio è rincasato, c’è una notte da vivere in famiglia.
I ragazzi abitano tutti nello stesso quartiere, e nonostante in ognuna delle loro case l’atmosfera sia festosa e riscaldata dai tanti presenti, il gruppo di amici è attratto esclusivamente dal comunicarsi attraverso smartphone le sensazioni della serata, e magari commentare che i parenti… rompono. Tutto molto distante dall’essenza di quella sera, ma soprattutto dalla sua meraviglia.
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Ci vorrebbe una luce speciale che filtrasse da ogni finestra dietro a ognuno di loro.
E qualcuno che passasse lì in alto, e delle facce che all’unisono si voltassero incredule, lontane e nello stesso tempo di nuovo insieme nell’avere lo stesso stupore.
…Ci sarebbero otto vite che da quella notte sentirebbero che l’antico incanto che li aveva persi, nuovamente è dentro di loro.
E li ha cambiati per sempre.
Baf
Immagini © Disney