Dal corto alla sitcom
Il 17 dicembre 2019 i Simpson festeggeranno trent’anni di onorata carriera. Ma ad essere più precisi, la più bizzarra famiglia di sempre ha trentatré anni. Infatti gli esordi li vedono protagonisti dei corti per il The Tracey Ulmann Show nel 1986. Ma è nel 1989 che avviene il passaggio alla sitcom, con puntate che durano ben oltre i due minuti. Da questo momento, i Simpson diventano in uno dei prodotti di intrattenimento più importanti di sempre.
Lo show colpisce per la novità con cui vengono affrontati i fatti della realtà contemporanea dal punto di vista di una famiglia americana disfunzionale del ceto medio (invece di quella piatta ed idilliaca tipica degli anni ’80). Il quadro è composto da Homer, il capofamiglia, la cui pigrizia e stupidità è spesso fonte di guai. Spetta allora a sua moglie Marge dover sopperire ai problemi provocati dal marito, essendo la voce morale della comunità (sebbene, spesso, cadda nel bigottismo più puro). Infine, ci sono i figli Bart, un birbantello vivace ed insofferente a qualunque forma di autorità, Lisa, una bambina prodigio dalle idee progressiste e liberali, e la piccola Maggie.
L’universo simpsoniano
La satira secondo i Simpson
Gli anni 90′ sono considerati il periodo d’oro per la nota famiglia gialla. Le prime otto stagioni sono, tuttora, considerate delle vere perle dell’intrattenimento e della cultura di massa. Dietro il successo si nascondono i nomi del creatore Groening e dei produttori Sam Simon e James Brook. La loro creatività ha realizzato trame ricche di gag, in grado non solo di far ridere, ma anche di raccogliere le contraddizioni della società moderna.
I Simpson ci offrono la caricatura della società occidentale in generale, cogliendone le sue contraddizioni e portandole, spesso, all’esasperazione. Niente sembra sfuggire alla loro morsa satirica, dato che lo show, abitualmente, tratta di eventi di attualità che spaziano dalla politica allo spettacolo. Lo fa attraverso una satira “cattiva“, in grado, cioé, di affrontare l’argomento senza alcuna remora, con lo scopo di informare, influenzare e divertire l’opinione pubblica.
Molti episodi presentano una formula a sé stante. E’ il caso de La paura fa Novanta, particolari episodi non canonici in tema horror, trasmessi in occassione di Halloween, suddivisi, in genere, in tre parti. Altri diventano anche l’occassione di dar vita a curiosi esperimenti televisivi. Il nemico di Homer, per esempio, è la puntata in cui compare Frank Grimes, primo essere umano reale catapultato nel pazzo mondo dei Simpson e nel quale non riesce a sopravvivere. Costui è la reincarnazione dell’individuo ligio al dovere, ma con un passato e futuro difficili, fatti di grandi sacrifici e poche soddisfazioni. Insomma, la perfetta antitesi di Homer, che, con la sua vita fatta di “infigardagine ed ignoranza”, sembra aver realizzato il sogno americano.
Springfield, utopia della mediocrità
Springfield è il perfetto ritratto della mediocrità della società moderna. Questa piccola cittadina americana, infatti, è riuscita a conquistarsi numerosi primati negativi, che la rendono la “spazzatura d’America“. È un mondo dove gli autori esplorano gli elementi alti e bassi del mondo contemporaneo, non mancando di parodiare l’uomo medio in tutta la sua imperfezione.
All’interno di questo piccolo microcosmo si muovono personaggi dotati di una personalità che li rende identificabili. Ciascuno di essi occupa uno specifico ruolo, teso a rappresentare i diversi momenti del vivere quotidiano. Per fare un esempio, abbiamo Montgomery Burns, spietato proprietario della centrale nucleare, che rappresenta l’anima nera del capitalismo. Infatti, non esita a fare del male al prossimo o all’ambiente per seguire il suo bisogno di arrichirsi di più o di esercitare la sua autorità su chicchessia.
Il lungo declino
Perchè i Simpson non fanno più ridere?
Sfortunatamente, i Simpson, da vent’anni a questa parte, stanno conoscendo una parabola discendente, che ha portato ad un lento declino della qualità dello show. Nonostante sia ancora oggetto di discussione, fan e critica collocano l’inizio della crisi tra la nona e l’undicesima stagione, nel momento in cui il cast addetto alla sceneggiatura stava mutando.
Le gag, infatti, sono divenute ripetitive e gratuite, e spesso slegate dal filo narrativo degli episodi.
Ad influenzare la serie vi è anche l’invadenza del politically correct, come dimostra la recente accusa di razzismo a causa del personaggio di Apu, considerato troppo stereotipato. Il che è ironico, considerato che la sitcom fa satira e gli stereotipi costituiscono il miglior materiale da cui trarre ispirazione.
Altro grave problema è la presenza delle celebrità. Non fraintendetemi: trattandosi dei Simpson, mi sembra più che normale che essi facciano riferimenti ironici anche al mondo dello spettacolo. Anzi, la sitcom ha visto persino volenterosi ospiti speciali (come Michael Jackson o Patrick Stewart) collaborare per la realizzazione degli episodi. Ma in questi ultimi anni, il numero di guest star è esageratamente aumentato e la loro presenza non ha alcuna utilità ai fini della trama. Quasi come se ogni episodio si fosse semplicemente piegato di fronte all’industria dello spettacolo oppure, povero di idee, tenti di sfruttare la popolarità dei vip per portare avanti lo show.
Una misteriosa metamorfosi
A mio giudizio, il problema più grave è il mutamento psicologico che l’intero cast simpsoniano ha conosciuto nel corso degli anni. Il segreto del successo della serie, come già detto sopra, sta nella presenza di figure dotate di carattere, che le rende facilmente riconoscibili ed apprezzabili. Col tempo, è venuta meno anche la componente psicologica; in questo modo, la serie si è popolata di maschere vuote e prive di senso.
Limitando l’attenzione sui personaggi primari, abbiamo Bart e Lisa che si comportano come pre-adolescenti con crisi esistenziali, troppo presi dalle mode culturali. Marge ha accentuato sempre più il ruolo di casalinga frustrata, perdendo il ruolo di donna dai solidi ideali. Infine, Homer, lo stesso simpatico omone che con la sua stupidità riesciva a compiere azioni intelligenti, è adesso una semplice macchietta comica stupida, da schernire e stuzzicare a piacimento.
Eppure i Simpson devono andare avanti
Nonostante tutti i problemi di questa crisi ventennale, i Simpson rimangono uno dei prodotti culturali più influenti di sempre. Da tre decenni, la famiglia gialla funge da lente sul mondo contemporaneo, narrando i suoi alti e bassi con ironia e sagacia. Senza di loro, inoltre, non avremo probabilmente altri capolavori come i Griffin o The King of the Hill, serie che ripropongono la stessa formula familiare.
Certo, tra i fan si comincia a palesare l’idea che per lo show sia giunto il momento di dover staccare la spina. Ma è recente la notizia che Groening ha firmato con la Fox un contratto di rinnovo per altre due stagioni, arrivando, così, al totale di 713 episodi. Senza contare, poi, che recentemente si è diffusa l’intenzione da parte dello staff di realizzare un seguito del film uscito dodici anni fa.
Dunque, per i Simpson non è ancora giunto il momento di andare in pensione. Groening sembra avere grandi progetti per il suo capolavoro, sebbene abbia sofferto della stanchezza creativa e della spietata concorrenza televisiva. Quel che è certo è che la famiglia Simpson ci accompagnerà ancora per un bel po’, magari, si spera riavvicinandosi ai fasti di un tempo.
Antonio Ferraiuolo
Immagini ©-Fox Broadcasting Company