C’è un appunto che viene sempre fatto quando si parla del personaggio di Topolino: il suo irrealistico perfezionismo. Un concetto che sembrerebbe stridere con una società come la nostra, in cui la (apparente) perfezione e l’ambizione ad essa sono spesso il fine ultimo dei nostri comportamenti. Inutile sottolineare che la caratterizzazione dei personaggi Disney cambi in base all’autore, si pensi a zio Paperone con Don Rosa e con Guido Martina. Come la Saga del maestro del Kentucky ha estrapolato il personaggio di Barks dalla sua quotidianità fatta di successi per raccontare quali sono state le tappe, i sentimenti, le difficoltà che l’hanno portato ad essere ciò che è adesso, così esiste una serie che mette a nudo l’umanità del Topo, che si trova anch’egli ad affrontare situazioni più grandi di lui.
Gli inizi
È il maggio 1999 quando, sulla scia di PK, da un’idea di Ezio Sisto e Alessandro Sisti, arriva al pubblico una delle più saghe più “adulte” mai realizzate da Disney Italia: Mickey Mouse Mystery Magazine (d’ora in poi MM). L’incipit è semplice ma allo stesso tempo intrigante: nel commissariato del 28° distretto di Anderville, Topolino prende parte ad un interrogatorio. Non come detective: come sospettato. Egli inizia a raccontare di come sia finito lì, per via della scomparsa del suo amico Sonny Mitchell, il quale gli ha intestato un’agenzia investigativa a sua insaputa. Qui comincia la storia, che porterà Topolino ad affrontare criminali ben più pericolosi di quanto la mite Topolinia ci abbia mai indotto a immaginare.
Anderville, la Chicago del mondo Disney
Come si evince sin dal primo momento, MM fa chiaro riferimento ad una certa narrativa noir, che ha trovato il suo apogeo nel cinema degli anni ’40. Fu proprio nel decennio successivo all’arresto di Al Capone, che il mondo venne ulteriormente a conoscenza della “epopea gangster”. Intrecci di questo genere si possono trovare anche nelle storie di Floyd Gottfredson (si veda Topolino giornalista). Ed è proprio questo il tipo di ambiente, ovviamente più moderno, con cui Topolino deve interagire nella serie. Politici corrotti, giornalisti compiacenti, giudici succubi, poliziotti sleali, funzionari spietati (come la diabolica direttrice del carcere di Anderville, Gloria Gump). Per sua fortuna, il nostro investigatore privato non è solo: può fare affidamento sui frequentatori della tavola calda sottostante al suo ufficio, “Little Ceasar” (un richiamo all’omonimo film del ’31). E poi sulla detective Patty Ballestreros, sul cronista Muck Rackers e su un arcigno capo-banda conosciuto come “il Professore”. Infine, l’ispettore Jan Clayton: un uomo che è dalla parte della giustizia, ma che non è del tutto sincero con Topolino ed è anche il responsabile della sua permanenza forzata ad Anderville. La perfezione non esiste. Esiste solo la realtà.
L’eterno presente
MM fu pubblicato ormai vent’anni fa, ed anche se viviamo nell’epoca del “tutto e subito”, non si può non apprezzare la sua immediatezza e, a tratti, la sua dinamicità. Le didascalie sono tutte un “Ora”, “Adesso”, “Ieri sera” o addirittura mancano del tutto, rendendo alla perfezione l’idea della contemporaneità. A rafforzare la partecipazione del lettore alla storia, è la narrazione in prima persona da parte di Topolino, che, scrivendo sul suo diario, sembra allo stesso tempo consapevole di parlare con persone che conosce da tempo, cui può confessare le emozioni che prova. Il tutto viene condito dalla presenza di battute mai fuori luogo, utili per alleggerire la tensione. Emblematica è la scena della rissa tra Topolino e due malavitosi locali, mostrata in concomitanza con una partita di baseball molto sentita in città.
Episodio #0, pagina 19
Una piccola rivoluzione
Si può quindi affermare che MM sia stata una serie innovativa, la cui trama e le cui tavole non possono non coinvolgere il lettore. Il cast fu d’eccezione: tra gli sceneggiatori spiccano Tito Faraci e Francesco Artibani, tra i disegnatori il maestro Giorgio Cavazzano (nell’episodio pilota), Corrado Mastantuono, Claudio Sciarrone e Paolo Mottura.
Per le tematiche trattate, il lavoro fu alquanto delicato, poiché dovette subire non poche revisioni da parte della Casa Madre. Sebbene l’utilizzo delle armi nei fumetti Disney all’epoca non fosse una novità, così come la presenza di criminali con piani malvagi, è proprio il realismo di questi ultimi a trasmettere una percezione di serio pericolo, a differenza del buon vecchio Gambadilegno. Alcune vignette dell’opera, anche se solo allusive, riportano una certa inquietudine, come nel caso del venditore d’armi. Non la prima scena forte nella storia del fumetto Disney, ma sicuramente una delle più esplicite.
Marzo 2001: la fine
Seppur il progetto fosse nato con l’intenzione di emulare il successo di PK, esso non ne seguì le orme. Dopo 12 numeri pubblicati, il periodico chiuse i battenti. Evidentemente, a differenza del primo, non fece breccia nel cuore dei lettori, più propensi storicamente a immedesimarsi con Paperino e la sua rivalsa sotto le spoglie di un vigilante mascherato, piuttosto che su un Topolino che, anche se tra mille difficoltà, riusciva comunque a risolvere i problemi, nel totale rispetto del sacro continuum disneyano.
La copertina dell’ultima uscita, MM#11 – Small World
Il lascito
Nonostante la serie abbia avuto vita breve, offre un’esperienza narrativa che è davvero imperdibile, permettendo di analizzare, immedesimarsi e simpatizzare per dei personaggi la cui profondità va oltre i canoni cui siamo abituati. Il sapiente utilizzo delle luci, delle tonalità, delle inquadrature, unito ad una narrazione efficace, rende questo fumetto un must per gli amanti del genere e può far arricchire la propria concezione del mondo Disney, cambiando profondamente la visione del personaggio di Topolino.
Mattia Rispo
Immagini © Disney