È Tarantino, bellezza

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L’aggettivo che meglio caratterizza Quentin Tarantino è “post-moderno”.

Una parola importante ed assai abusata (anche quando in realtà ci si imbatte in artisti cialtroni e prodotti mediocri) per descrivere un’opera che sembra slegata dai canoni del passato. Il vero post-moderno è colui che ha piena coscienza di tali canoni e sa come ribaltarli, e Tarantino ne è un perfetto esempio.

Prendiamo  Pulp Fiction: è chiaro che si tratta di un Noir atipico, in quanto Tarantino si diverte a sballottare lo spettatore in una timeline incasinata, facendoci capire in che modo egli si diverta a giocare con canoni e generi in modo tale da proporre sempre qualcosa di nuovo. Tutto il cinema tarantiniano si basa appunto sulla rottura dei canoni preesistenti e nonostante il regista goda di una fanbase incredibilmente vasta sembra che ben pochi abbiano capito il modus operandi del loro idolo.

Nessuna eccezione alla regola

Se andrete a vedere “C’era una volta ad Hollywood…”, all’uscita della sala probabilmente sarete circondati di lamentele riguardo la lentezza della narrazione, la mancanza di un senso compiuto nella trama e un sacco di sbuffi. Già da diversi giorni motli in rete accusano il film di essere ben poco tarantiniano, ma basandoci sulle dovute premessse di cui sopra risulta chiaro che, anche in questo caso, Tarantino non è stato compreso. Come nel caso di The Hateful Eight il pubblico si è spaccato. La ragione fondamentale è che i fan negli anni si sono costruiti una sorta di immagine propria del cinema tarantiniano, di conseguenza ad ogni nuova opera ci si aspettano determinati schemi narrativi e tematiche, e come spesso accade quando il pubblico non riceve ciò che si aspetta l’opera subirà una fredda accoglienza.

Tarantino

In questo senso “C’era una volta ad Hollywood…” risulta essere l’apice dell’arte del buon Quentin perché, essendo egli un post-moderno, ci regala un film per certi versi chiaramente in linea con il suo stile mentre per altri totalmente fuori dai binari, esattamente come accadde con The Hateful Eight da cui il pubblico si aspettava un western molto più vicino a Django Unchained piuttosto che una riproposizione de “Le Iene”. È ironico come spesso coloro che elogiano Tarantino per la sua capacità di rimescolare le carte e ribaltare schemi narrativi preesistenti siano gli stessi che mal digeriscono i cambi di rotta che il regista offre ad ogni nuovo film. Tarantino sa perfettamente cosa si aspetta il pubblico da lui e si diverte a deludere le nostre aspettative proponendoci opere che scrive in primo luogo per se stesso.

From Hollywood, to Hollywood, with love

Forse l’unica pecca di questo film è il fatto che la trama non sembra essere perfettamente inserita nel suo contesto, infatti la tentazione è di bollare la pellicola come una semplice “lettera d’amore” di Tarantino agli anni ’60 (e soprattutto al cinema di quel periodo) quando in realtà si tratta di un vero e proprio What if proprio come “Bastardi senza gloria”. Per uno spettatore che non è pienamente informato sugli eventi storici in cui la narrazione si svolge, potrebbe essere difficoltoso capire dove il film voglia andare a parare. Tuttavia anche per queste persone è sufficiente un minimo di ricerca in rete ed una seconda visione per avere le idee chiare.

Esattamente come in tutti gli altri film, in “C’era una volta ad Hollywood…” Quentin Tarantino rimane coerente con se stesso senza preoccuparsi di soddisfare le aspettative di pubblico e produttori. Sono ben pochi i registi che possono permettersi una tale libertà espressiva, offrendoci ancora un motivo per entrare in una sala cinematograifica.

A cura di Fabrizio Mario Ferrarese

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