Topolino da… paura! L’horror visionario in “Topolino e la Villa dei Misteri”

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Ricordate il grande Silvano Mezzavilla?

Sarebbe stato meglio, forse, scrivere questo articolo sotto Halloween. Ad Halloween però manca tanto tempo, e se un’idea arriva non si può farla aspettare. È successo ieri: cercavo tra le centinaia di Topolino che ho accumulato nel corso degli anni quelli giusti per poter scrivere un nuovo articolo, ed è accaduto qualcosa di inaspettato. Mi è ricapitato tra le mani, dopo molto tempo, il numero 2341 (l’anno in cui uscì era l’ahimé già troppo lontano 2000), che si apriva con una storia veramente particolare: tanto particolare che mi sono detta, perché non scriverne qualcosa?

Va detto innanzitutto che la sceneggiatura, qui, è del grande Silvano Mezzavilla, colui che non nel 1993, in coppia con il celebre Giorgio Cavazzano ai disegni, scrisse Topolino e la fabbrica dei sogni, importante omaggio al cinema, ma fu anche sceneggiatore, due anni prima, di quella che è a mio parere forse la più bella storia a tema poliziesco con Topolino protagonista: Topolino e il mistero della voce spezzata. Uscita in due puntate su Topolino 1834 e 1835, fu anche riproposta sullo speciale numero celebrativo 2264 nel quale, in occasione dei cinquant’anni della testata, furono ripubblicate le storie giudicate più notevoli di ogni decennio, dai ’50 ai tempi correnti (era il 1999).

Il numero speciale si chiudeva infatti con la storia di Mezzavilla, ai cui disegni aveva lavorato sempre Cavazzano, giudicata come la più bella degli anni ’90. Giudizio chiaramente in parte vero quanto in parte falso, al di là della mia stessa opinione; nessuno parla di giudizi assoluti, e gli stessi redattori lo misero in chiaro nell’editoriale del numero 2264.

Topolino e la villa dei misteri, un caso peculiare

Insomma, un nome, una garanzia, potremmo dire. Mezzavilla fa di nuovo coppia con Cavazzano nella storia di cui mi accingo a parlare, Topolino e la villa dei misteri.

Topolino e la villa dei misteri

Se tra i lettori qui, ci sono, come immagino, molti appassionati, penso che molti la ricorderanno, e non a caso.

Il motivo è semplice: in questo caso Topolino ha quasi sfiorato il genere thriller/horror, nonché, nel finale – e anche nell’incipit, se ad esso confrontato – un’atmosfera mistico-visionaria, quasi surrealista, inedita sulle sue pagine. Si parla di una storia che sarebbe impossibile non definire inquietante, ma che certo non eccede nell’angosciante o nel pesantemente grottesco. Siamo sempre su Topolino, è chiaro.

Però, di storie che da bambina mi inquietarono a tal punto, pur trattandosi di fumetti Disney, annovero al pari forse solo Topolino e il segreto della settima meteora, della serie Le Tops Stories (uscita su Topolino 2280 nel 1999, con la sceneggiatura di Giorgio Pezzin e i disegni di Massimo De Vita), altra storia che consiglio di leggere. In questo caso, però, tutte le storie (bellissime, e colgo l’occasione per dire che Pezzin era sempre una garanzia) che facevano parte di questa serie ruotavano sempre attorno a grandi misteri, misteri tali da sfociare talvolta nel paranormale e nell’inquietante. Dunque,Topolino e il segreto della settima meteora non fu meno “da brividi”, ma, per questo motivo, forse meno sorprendente della qui discussa Topolino e la villa dei misteri.

L’inizio

È il momento di entrare nel vivo: in cosa questa storia è quasi horror? In cosa visionaria? E, soprattutto, essendo surreale al punto da sembrare (molti lo dicono, e non posso negarlo) senza capo né coda, è il caso di chiedersi: questa storia ha un senso effettivo? E se sì, quale?

Se qualcuno non ha letto la storia ma la vuole recuperare, attenzione, perché ci saranno spoiler! Anche se, proprio perché così particolare, non va letta tanto per la trama, poco definita, ma per l’atmosfera che vi regna.

La storia si apre con più vignette senza dialogo; e qui è davvero una fortuna che ad affiancare una tale sceneggiatura ci siano i bellissimi disegni del maestro Cavazzano. Proprio perché, essendo tanto spinta sull’inquietante, questa storia ha spesso vignette senza parole; e dei bei disegni aiutano molto a creare la sua peculiare atmosfera.

Topolino villa dei misteri vignette iniziali

L’orso…

Due amiche, una delle quali spinge una carrozzina, chiacchierano allegre passeggiando al parco, un parco che mi ha sempre personalmente ricordato quelli londinesi, verdi, ordinatissimi, con tanto di ponte sul laghetto al centro. Vediamo un orsacchiotto cadere dalla carrozzina del bimbo, ma nessuna delle due donne, troppo impegnate in chiacchiere, se ne accorge. Le amiche si allontanano ignare e l’orsacchiotto rimane dimenticato sulla strada.

Qualche vignetta dopo, il bimbo si accorge, forse svegliandosi da un pisolino, che il suo giocattolo non c’è più, e inizia a piangere chiamando: «Pinsù?», evidentemente il nome dell’orsacchiotto. La signora che spinge la carrozzina, forse del tutto ignara del motivo dell’improvviso dolore del bimbo, lo prende in braccio e lo stringe con amore nel tentativo di consolarlo.

Un inizio delicatamente doloroso, a mio parere soprattutto nel sorriso inscalfibile della donna che stringe a sé il bebè, che sorride molto probabilmente proprio perché nemmeno in seguito al pianto del bambino si accorge della scomparsa dell’orsacchiotto. Si adopera certo per consolarlo come può, ma sembra passare il messaggio che, nella fase preverbale dell’infanzia, senza il pur limitato dono della parola, aumenti la difficoltà, di per sé sempre presente, di rendere partecipe chi ci è vicino dei nostri dolori più intimi.

…e il topo

Segue una vignetta completamente nera, e, nella successiva, vediamo Topolino in una situazione che chi ha fatto il pendolare nella vita (e non solo) ha provato almeno una volta: addormentatosi su di una carrozza ferroviaria, viene svegliato dal capotreno che gli comunica la fine della corsa. Dunque, la prima domanda che il lettore subito si pone è: la scena dell’orsacchiotto è stata un sogno di Topolino? E se sì, oltre a essere un sogno, era forse anche un ricordo? Il bambino che ha perso l’orsacchiotto è Topolino da piccolo?

Dopo poche pagine ci sono già in effetti tutti gli elementi che caratterizzeranno la storia: la dimensione onirica, che rimanda per sua natura al metafisico, al surreale, al visionario. E quello che sarà il nucleo, alquanto astratto, della storia: il dolore che si prova perdendo oggetti cari.

Chi da piccolo non ha perso almeno uno dei suoi giocattoli preferiti? Chi non ha un oggetto a cui è particolarmente legato, e che quindi teme spesso di perdere? Forse perché è un ricordo di una persona cara che non c’è più, o forse perché è una testimonianza-trofeo del vostro passato, forse dell’era più bella e soddisfacente della vostra vita. Il dolore che si prova perdendo un oggetto caro è un sentimento, quei sentimenti, lo sappiamo tutti, che le parole non possono esprimere. Proprio per questo forse questa storia ha voluto risultare indefinita, senza confini marcati: perché nemmeno i sentimenti hanno confini fisici.

Ma andiamo con ordine.

Lo svolgimento

La storia procede, e, subito, viene infarcita (magistralmente, non c’è che dire) dei più comuni elementi della tradizione horror: sceso dal treno, Topolino si ritrova sotto la pioggia, evidentemente aspettando qualcuno. Subito dopo un elegante autista gli viene incontro e lo accompagna a un’altrettanto elegante vettura. Immediatamente, vi sono elementi d’inquietudine: non solo piove, e i bellissimi chiaroscuri di Cavazzano incupiscono il tutto. Ma pure, l’autista è alquanto bizzarro, e non fa che dire cose poco rassicuranti, quando non sta burberamente zitto.

Topolino e la villa dei misteri autista

Infatti il dialogo tra lui e Topolino durante il viaggio in auto è ridotto all’osso, e ci permette solo di capire che Topolino deve raggiungere una villa. Quando la villa si presenta, imponente sotto la pioggia (altro cliché horror), all’apprezzamento di Topolino sulla bellezza dell’edificio l’autista risponde: «Se la vedeste tutti i giorni vi verrebbe l’angoscia». Nemmeno il tempo di entrare, e vediamo una coppia arrabbiata e impaurita abbandonare la casa trascinando con sé valigie, e lamentandosi a gran voce di non poter più rimanere in quel posto.

Sempre più basito, ma come da sua natura non intimorito, Topolino entra finalmente nella sontuosa villa, e fa la conoscenza di chi vi abita, in primis la giovane nipote del barone Repertis – colui che lo ha convocato, scopriremo subito dopo.

Come da manuale, è una donna bizzarra e inquietante. Accoglie Topolino intimandogli di andarsene subito, perché lì vi sono orribili misteri e accadono fatti inspiegabili. Poco dopo incontriamo il barone Repertis stesso, forse il primo personaggio rassicurante, che riceve educatamente Topolino e lo invita ad accomodarsi per la cena, dopo che da un breve dialogo viene reso noto che lo ha chiamato proprio per far sì che indaghi.

I misteri della Villa dei Misteri

Durante la cena facciamo la conoscenza anche di Geremia, altro eccentrico personaggio che porta sempre con sé una valigia, pure quando mangia, e del fatto che anche i cuochi sono scappati via, motivo per il quale i nostri ceneranno con dei fagioli in scatola. Viene la notte, e anche qui tutti i cliché dell’horror vengono rispettati: Topolino non riesce a dormire, sentendo strani rumori.

Sfinito, dopo tentativi tutti falliti di addormentarsi, decide di andare verso la loro fonte, e scopre che l’autista (che abita a sua volta nella villa) sta inchiodando con il martello il suo letto al pavimento. Sempre più esterrefatto, Topolino torna in camera sua, per scoprire che il suo letto è sparito. Al suo posto è rimasto solo il materasso, sul quale infine esausto si addormenta. Per scoprire, al risveglio, che tutto è tornato al suo posto: mobile, cuscino, coperte, lenzuola.

Tutto.

Conclude quindi di avere sognato; ma, quella stessa mattina, a colloquio con il barone Repertis, che gli vuole finalmente esplicitare quali siano i fantomatici misteri della casa, viene informato del seguente fatto: inspiegabilmente, nella villa gli oggetti spariscono di continuo, come se fossero dotati di volontà propria. Per questo motivo, tutti i loro inquilini sono sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Molto razionalmente, il barone Repertis spiega a Topolino che crede che ci sia qualcuno a tramare nell’ombra per indurli a fuggire, spaventandoli, e poi prendere possesso della villa. Gli intima dunque di iniziare a indagare per avere una spiegazione.

Al culmine dell’azione

La situazione precipita in poco tempo. Topolino, poco dopo che ha iniziato le sue indagini, assiste a quello che sembra a tutti gli effetti un fenomeno paranormale: una lampada abat-jour inizia a librarsi nell’aria e ad allontanarsi dalla sua postazione, come letteralmente dotata di volontà propria. Sopraggiunge il burbero autista, e, immediatamente dopo, la bizzarra nipote del barone, piangendo, perché anche il suo diario, forse il suo oggetto più caro, è sparito. Ad aumentare la confusione arriva Geremia, la cui inseparabile valigia sta librando nell’aria, quasi fuggendo da lui, proprio come la lampada. Topolino riesce a riafferrarla e a riconsegnarla al proprietario. Segue un breve, esausto colloquio tra gli inquilini della villa, tutti spaventati a morte. Topolino cerca di tranquillizzarli, affermando che ci deve essere una spiegazione logica.

Topolino e la Villa dei Misteri: precipitare in uno spazio onirico e surreale

Proprio in quel momento viene notata una porticina. Avete presente che in quasi tutte le grandi case, ci sono, talvolta ricavate dai sottoscala, delle porticine a dimensione puffo che vengono spesso usate come deposito di scope e attrezzi vari, no? Ecco, la porticina che viene notata ha un’aria simile. Infatti, svalutata come un qualcosa che non ha mai destato sospetti, i loro inquilini affermano di non averla mai aperta.

Topolino, razionalmente, pensa ci sia qualcuno nascosto nella villa, e che tutti quei fatti apparentemente paranormali non siano che opera sua. Dunque, se è l’unica porta che non è mai stata aperta, lui o lei non può che nascondersi lì. Ecco che Topolino dunque la apre, scoprendo delle scale che scendono verso il basso e il buio, e si addentra nell’ignoto, mentre il barone e gli altri, rimasti in salotto, gli raccomandano di fare attenzione.

Topolino Villa misteri attraverso la porticina

È a questo punto che la storia diventa alquanto surreale, e che perde ogni finitudine e linearità. Arrivato in fondo alle scale, Topolino si ritrova immerso in quello che pare, a partire dai disegni stessi, un luogo metafisico, un enorme spazio luminoso, apparentemente senza confini, dentro il quale vi sono infinite montagne di oggetti perduti: occhiali da sole, chiavi, ombrelli.

Allora, fermi tutti.

Una possibile interpretazione

La situazione, al posto che dipanarsi, si fa sempre più ingarbugliata e assurda. Dobbiamo partire dal presupposto che Mezzavilla non aveva, almeno in modo chiaro, alcuna intenzione di scrivere una sceneggiatura con un senso compiuto dal punto di vista narratologico.

Ma, se vogliamo invece trovare un senso più astratto e ideologico alla storia, fino a qui c’è eccome, a mio parere: alla luce degli ultimi avvenimenti, si potrebbe ipotizzare che la villa stessa sia un luogo metafisico, oltre l’umano, in cui nel sottosuolo si radunano da tutto il mondo gli oggetti mai più ritrovati: il più grande deposito mondiale di oggetti smarriti cui gli oggetti stessi si dirigono, una volta capito che nessuno tornerà a prenderli.

Forse per quello che la villa nasconde in sé, gli oggetti hanno in essa comportamenti anomali; come se si ribellassero, come se si volessero vendicare e dare una lezione ai loro padroni, che sono stati spesso incuranti di loro, e che non hanno potuto fare a meno di perderli, nonostante legami spesso molto profondi. Gli oggetti paiono gridare: non appena ti girerai, scapperò via, tu mi cercherai, non mi troverai, e piangerai. Ti starà bene, avresti dovuto avere più cura di me.

Come nel caso iniziale dell’orsacchiotto, perduto per la noncuranza delle donne troppo intente in chiacchiere.

Topolino e la Villa dei Misteri ha un lieto fine?

E infatti, Topolino procede nel suo viaggio metafisico e trova infine una montagna di orsacchiotti perduti. Ed ecco che, tra di loro, trova anche quel Pinsù che il bambino della scena iniziale ha smarrito. Capiamo dunque che il bebè era proprio Topolino, che ora adulto riabbraccia il suo orsacchiotto, in una tenera scena che si riaggancia circolarmente all’incipit e pare risolvere un trauma infantile nell’unico modo possibile: ritornare a quella fase preverbale, in cui la psiche e la mente ancora non hanno un ordine e sono dunque indefinite e senza confini, tramite l’immersione, per analogia, in un luogo di medesima natura.

Pare dunque esserci un lieto fine, almeno per il protagonista: c’è un nuovo incontro tra di lui e l’oggetto caro perduto. La ferita si rimargina nel modo più completo: perché vi è anche una totale riconciliazione con un possibile senso di colpa sorto in seguito alla perdita del giocattolo.

Sensi di colpa e surrealismo

Alzi la mano chi, durante l’infanzia, in una fase di animismo che tutti abbiamo un po’ passato, non fosse convinto, inconsciamente, che i nostri giocattoli avessero dei sentimenti e che a volte si sentissero persino trascurati da noi. Dopo il rapporto con i genitori, che è però diverso, i giocattoli (oggetti prediletti dell’infanzia) sono talvolta la più primitiva esperienza di attaccamento verso un qualcosa/qualcuno di cui siamo noi i responsabili.

Dunque, quando accade loro qualcosa di brutto, ad esempio perdiamo una bambola, oppure involontariamente la rompiamo, il sentimento doloroso che subentra è una delle primissime forme di senso di colpa della nostra vita. Perché quell’oggetto era responsabilità nostra, contava sul nostro affetto e sulle nostre cure.

Il succo di questa storia pare, secondo me, essere proprio questo: la villa, in cui gli oggetti si ribellano alle nostre noncuranze, non è che la terribile materializzazione fisica di un atavico senso di colpa che in molti abbiamo provato. Per questo tutto diventa infine onirico e visionario: perché il tutto non è che simbolo di paure sepolte e primordiali (giustificando così anche la scelta di seguire una sorta di tradizione horror nello svolgimento), inconsce, dell’impero sconfinato della mente. Mezzavilla pare davvero fare propria la lezione dei Surrealisti.

Ma, per il protagonista, dicevamo, c’è il lieto fine. Topolino ritrova Pinsù, non importa come.

Ma era tutto un sogno…

Quello che può aver lasciato molti lettori delusi è ciò che accade subito dopo, nel finale della storia. Nel momento di letizia estrema in cui Topolino e il suo orsacchiotto si riabbracciano, vi è di nuovo una vignetta nera e… sorpresa! Ci ritroviamo in quello che pare un parco di Topolinia. Topolino si risveglia, mentre era addormentato su una panchina, per via di una giovane madre che lo sta chiamando. E questa madre, turbata, chiede a Topolino se può aiutarla a cercare l’orsacchiotto che il piccolo figlio, in lacrime tra le sue braccia, ha perso

Allora, allora…

Dunque tutto, ma proprio tutto, non è stato che un sogno? Non è stato che un delirio da pranzo pesante?

Sono d’accordo, è un finale deludente. Ed è principalmente questo finale a rendere la storia un po’ “senza capo né coda“. Nonostante si mantenga lungo tutto lo svolgimento stramba e visionaria ma ho spiegato, secondo me, quale sia il motivo di ciò.

Possibilità aperte

C’è da dire una cosa: tutto è stato un sogno ma questo non significa che quello che abbiamo detto non debba valere. C’è una famosa frase che nell’ultimo libro della Saga di Harry Potter Silente dice al protagonista, dopo che questi gli ha chiesto se il loro dialogo sia accaduto davvero o solo dentro la sua testa: «Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?».

Nel nostro caso questa frase non potrebbe calzare più a pennello. Il fatto che il tutto non sia stato che un sogno di Topolino non toglie alcuna credibilità e effettività a quello che penso essere il significato di questa storia.

Se dovessi, anzi, azzardare un’interpretazione anche riguardo al finale, direi che Mezzavilla ha voluto chiudere la vicenda lasciando una possibilità di riscatto alla “nuova generazione”. Topolino si risveglia da un viaggio interiore in cui si è riconciliato, anche se solo interiormente, con il suo giocattolo perduto – concedendoci che l’unico fatto invece realmente accaduto sia stata la perdita di Pinsù. Ora è di nuovo nel mondo fisico, e davanti a sé ha un bebè in lacrime, com’era lui, cui è successa la medesima cosa.

Mezzavilla lascia la vicenda in sospeso, ma possiamo immaginare che se Topolino, rispondendo alla richiesta della madre, la aiuterà a cercare l’orsacchiotto perduto, ritrovarlo e rendere felice il bimbo sarà pari a mettere definitivamente una pezza (questa volta nel mondo reale) anche a ciò che è successo a lui direttamente.

Un famoso meccanismo psicologico, insomma: ho commesso un errore che ancora non mi so perdonare, molto tempo fa. Ora ho di fronte a me una persona nella medesima situazione. Se riuscirò a evitare che lui o lei commetta lo stesso errore, sarà un po’ come riuscire finalmente a fare pace con me stesso; sarà come dimostrare che, anche se non posso tornare indietro, ho almeno imparato la lezione.    

L’espediente però del “era tutto un sogno” è il classico Deus ex machina a cui il narratore disperato ricorre quando non riesce più a uscire dal garbuglio.

Un’avventura irripetibile

Una cosa è certa: Topolino e la Villa dei Misteri può non piacere, per evidenti motivi, ma le va riconosciuta l’unicità del concept e dello svolgimento, inquietante e visionario, e la bellezza dei disegni (come al solito vere opere d’arte) del maestro Cavazzano. Una storia particolare al punto che, sicuro, non avrà mai finito di dire quel che aveva da dire.

Ammesso che avesse davvero qualcosa da dire, qualcuno di voi potrà ribattere… Affermazione non innegabile, non priva di fondamento. Ma mi piace pensare di parteggiare per la scuola di pensiero che le trova un significato, certo non definito e lineare, ma alquanto metafisico, psicanalitico quasi.

E voi, voi che l’avete letta e la ricordate (ma anche voi che ne sentite parlare per la prima volta), cosa ne pensate? Secondo voi ha un significato? E se sì, siete d’accordo con me o proponete un’altra interpretazione? O siete convinti che si sia trattato solo di una sorta di divertissement di Mezzavilla?

Fatecelo pure sapere!

Dovrei dire forse “buon Halloween”?

Non c’è che dire, sono decisamente in anticipo….

Michela Nessi

Immagini © Disney

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