Fantasia: una nuova strada per l’animazione
Parlare di Fantasia oggi, appare quasi superfluo: un quadro composto da otto segmenti musicali animati, lodato da critici ed esperti, inserito dall’American Film Institute tra i 100 migliori della storia, detentore di incassi vertiginosi e, dulcis in fundo, arricchito dalla presenza del topo più famoso del mondo.
Mickey è qui protagonista del goethiano episodio L’Apprendista Stregone, aspirante mago sulle orme del suo precettore Yen Sid (provate a leggerlo al contrario!), che finisce presto vittima della sua intraprendenza. Pur essendo l’unico episodio che vede un protagonista “papertopolitano”, non contraddice i toni plumbei del lungometraggio.
Si parla infatti di un’opera “adulta” e insolita, per molti versi unica nella produzione Disney, dove Topolino non è che un comprimario. Le sinfonie classiche imperanti e le atmosfere ora cupe, ora allucinate, trasmettono allo spettatore la sensazione di un trip onirico poco consono al pubblico infantile.
Persino i caroselli più “spensierati” hanno un che di straniante: nella Danza delle ore di Ponchielli, ad esempio, un’equipe di ippopotami danza su uno sfondo composto da colonnati, su un orizzonte sgombro e indefinito; le cupe atmosfere di Una Notte Sul Monte Calvo, attestano invece l’intenzione di bypassare il tipico target disneyano.
Un esperimento fallito?
Inizialmente, Fantasia non ha avuto grandi fortune, per le difficoltà di produzione e distribuzione. La sinergia di sceneggiatori, registi, produttori e musicisti coinvolti, in principio non venne premiata da un riscontro commerciale adeguato.
Complice la seconda guerra mondiale, il film ebbe una distribuzione tardiva e limitata, soprattutto in Europa. Il lungometraggio fu tra i primi a supportare il suono stereofonico, costringendo i cinema a impegnarsi per installare un sistema sonoro adeguato ma anche dispendioso, ostacolandone di fatto la diffusione. Tali problemi minarono gravemente la salute economica dell’azienda.
Fortunatamente, con l’uscita del successivo Dumbo, le sorti del casato si risollevarono ampiamente. Col tempo, anche Fantasia è stato giustamente rivalutato e insignito dei giusti onori.
Dopo questo singolare esperimento, Walt non ha più battuto percorsi simili, puntando esclusivamente sull’intrattenimento per bambini.
L’impressione è che il disegnatore di Chicago abbia abbandonato a malincuore il suo lato “oscuro”, in favore di un più accogliente ritorno ad un’animazione più “popolare”. Ragioni economiche, o semplice sconforto per l’accoglienza riservata alla sua creatura?
Il sospetto è che se questo suo unicum avesse avuto un altro esordio ai botteghini, magari adesso parleremmo di un Walt diverso, quasi precursore dei vari Lynch e Burton, artisti dallo stile algido e alienante, di cui Fantasia è imbevuto inequivocabilmente.
Una strada abbandonata
Nessun lungometraggio successivo si è mai distaccato tanto dalla semplice animazione per famiglie, nel bene o nel male. Eppure, qualche sequenza sparsa qui e lì tradisce la velleità di mostrare piani irrazionali, oscuri e inesplorati. Sentieri archiviati in favore di una produzione più kid-oriented.
Se questa sia stata la strada migliore per Walt, nessuno può dirlo. I capolavori d’animazione che si sono susseguiti dopo il suo esperimento non hanno di certo deluso gli spettatori. Ma il fascino fumoso di Fantasia rende lecito fantasticare su ciò che sarebbe stato, se Yen Sid avesse avuto più voce in capitolo…
Aure