Partiamo da un assunto: il titolo di quest’articolo è sbagliato
“Altra sarai tu”, griderebbe fieramente (e con una balestra tra le mani) il Paperone di Guido Martina. Effettivamente, Storia e Gloria della Dinastia dei Paperi, nostrana epopea degli antenati dello Zione si affaccia agli annali del fumetto italiano un paio di decenni abbondanti prima che Don Rosa intraprenda l’operazione che tanta fama gli procurerà.
Ma andiamo per gradi.
1970. L’essere umano è appena stato sulla Luna. I cinque lustri che ormai separano la società dalla guerra hanno intrecciato situazioni e contesti spesso in apparente contrasto. La vertiginosa crescita della popolazione, le contestazioni, il terrorismo, il benessere, la guerra fredda. Topolino esce nelle edicole con regolarità e ha registrato, durante gli anni ’60, ottime vendite e cambiamenti editoriali di spessore. Una delle modifiche di formato più importanti, prima del giro di boa del decennio: la costina gialla che non lo abbandonerà più, dal numero 605 del 2 luglio 1967.
Nell’estate del 1969 fa il suo esordio il diabolico vendicatore Paperinik, da un’idea di Mario Gentilini ed Elisa Penna che ispira la fantasia di Guido Martina. Proprio il vulcanico sceneggiatore allo scoccare dei ’70 prende in consegna l’imponente progetto: una costruzione, alquanto libera e divertente, delle vicende degli avi dei paperi, dall’antichità fino alla nascita del suo esponente più celebre: Paperon de’ Paperoni, ovviamente.
La vicenda si snoda in otto puntate, pubblicate consecutivamente da Topolino 749 a Topolino 756, e si allaccia elegantemente con un’iniziativa editoriale che vedrà le sue prime fortune proprio nel decennio ai suoi esordi. In allegato a ogni copia della rivista, infatti, splende una moneta aurea raffigurante un avo: otto monete per otto storie.
Il successo dei gadget in allegato a ogni uscita di Storia e Gloria della Dinas porterà Mondadori a riproporre iniziative simili. Nel giro di poco si succedono ad esempio (tra le tante) l’ancora più imponente Operazione Quack, che propone tintinnanti francobolli metallici e una misteriosa storia a puntate, e l’Operazione Monaco ’74 in occasione dei mondiali di calcio. Le otto monete sono citate direttamente in Storia e Gloria della Dinastia dei Paperi. Il Professore crea infatti l’idea di fondo di un forziere stracolmo di sonanti dobloni appartenuti alla dinastia paperonesca, ognuno dei quali proveniente da una diversa epoca e in grado di rievocarla tramite sfregamento.
Nel capitolo introduttivo, disegnato dall’immenso Romano Scarpa, lo Zione recupera il forziere sulla Luna (dove l’aveva nascosto prima dell’allunaggio “ufficiale”, con buona pace di Armstrong & Co.), perché teme che gli astronauti possano aver scoperto la caverna sotterranea che intendeva usare come deposito. Dopo turbolente traversie, il forziere viene erroneamente gettato in mare da Paperino. Si salvano solo le famose otto monete (identiche a quelle allegate), che costituiscono la spina dorsale della narrazione. Difatti, in ognuna delle puntate successive saranno le monete a raccontare le storie attraverso i secoli degli antenati di Paperone.
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Storia e Gloria di una dinastia: il Professore e i suoi paperi
Scarpa, oltre al capitolo introduttivo, ne disegna altri quattro (tutti inchiostrati da Giorgio Cavazzano) mentre i rimanenti tre sono affidati alle matite del Maestro Giovan Battista Carpi. Le vicende si snodano dall’antico Egitto fino agli Stati Uniti della corsa all’oro, passando per la Roma imperiale, la Scozia medievale, la Spagna del XV secolo, la Florida del ‘700 e la Guerra Civile americana.
In ogni epoca, grossomodo, si ripete all’incirca lo stesso canovaccio: c’è un personaggio avaro e con le basette pronto a disperarsi per ogni piccola spesa (e a mettere in atto le peggiori efferatezze), c’è suo nipote buono e sfaccendato, i nipotini di quest’ultimo, assennati, scaltri e un po’ saputelli, un “cattivo” pronto a mangiarsi il copricapo e dei brutti ceffi con numeri di matricola più o meno fantasiosi.
Ciò non significa che le storie risultino ripetitive o banali. Semplicemente, Martina cala nei contesti più disparati la sua visione dei paperi Disney, che si comportano come le maschere della commedia dell’arte, soggetti plautini o goldoniani modellabili via via secondo le coordinate cronologico-geografiche, ma fedeli alla loro natura sociale e caratteriale. Il ricamo che il Professore tesse intorno a questa base di partenza è ricco di dialoghi surreali e coltissimi, minacce di morte, occhiolini alla letteratura classica e alla saggezza popolare.
Certi elementi, per quanto ripetuti, vivono nella freschezza delle spiritose trovate martiniane: è il caso ad esempio del celebre libretto da cui Qui, Quo e Qua traggono tutto lo scibile umano. Nel corso dei capitoli incontriamo infatti il Manuale dei piccoli faraoni, il Manuale dei giovani Quiriti, quello dei Giovani Mc-marmot, quello dei Giovani Hidalgos, quello dei Giovani filibustieri, e l’ultimo senza nome che addirittura predice l’esito della Guerra Civile americana. Stessa cosa si può dire per la Banda Bassotti, che per rispettare l’acronimo B.B. vede via via immedesimarsi i furfanti nei Beduini del Basso Nilo, nei Bravacci della Baia e via dicendo.
Al di là dell’apparente ingenuità, queste trovate divertono ancora oggi a quasi cinquant’anni di distanza e fanno riflettere sull’ironia sottile che Guido Martina sapeva infondere alle sue sceneggiature. La stessa ironia è reperibile nell’approccio alla Storia che pervade tutta la saga. il Professore decide di intraprendere una ricostruzione storiografica volutamente sbilanciata e irreale, soprattutto nella prima parte. Vediamo ad esempio il Pah-Peh-Rheo, gran tesoriere della faraona Cleopat-Perina, trasferirsi con disinvoltura dal 530 a.C. alla Roma imperiale (quindi, tenendoci sul generico, intorno all’anno zero, nel migliore dei casi), cambiando nome e professione. Ci sono eventi storici citati in epoche in cui in teoria sarebbero dovuti ancora accadere e anacronismi gustosissimi.
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Giusto per citarne uno, il quattrocentesco Paperin de la Scalogna che chiede al ricco zio Paperon y Paperonios se la razza di tori Miura sia un modello di macchina da corsa. Cosa che effettivamente è vera: proprio alla fine degli anni ’60 la Lamborghini aveva rilasciato un’auto con questo nome, preso, come d’abitudine per la casa emiliana, dal mondo della tauromachia.
Peplum e western col becco
In Storia e Gloria della Dinastia dei Paperi, le incongruenze e gli anacronismi volutamente grotteschi contribuiscono a creare una narrazione che si prende sul serio fino ad un certo punto, forte di una leggerezza di fondo che va in tutt’altra direzione rispetto ai tentativi (che potremmo definire filologici) che sarebbero venuti poi. I riferimenti a Barks sono quasi assenti e non vi è traccia di ricerca di precisione genealogica. Pochissime madri (solo quella di Paperone, Oretta Paporetta) e niente continuità di cognome ma solo nomi adattati secondo l’epoca di collocazione.
I cliché classici delle maschere martiniane a spasso per i secoli, insomma. La bravura dell’immenso autore piemontese si nota proprio a partire da questa considerazione: infatti, pur rivisitando ciclicamente i suoi stilemi classici, Martina riesce sempre nell’intento di donare vigore alle vicende e agli interpreti paperi, calandoli in realtà ben definite da contesti e ambientazioni e avvolgendo il tutto in una rarefatta nube da film in costume.
Da questo punto di vista, il contributo dei disegnatori è fondamentale: Carpi e Scarpa interpretano nel miglior modo possibile i paesaggi e gli ambienti delle varie epoche, e modellano i protagonisti immergendoli perfettamente nei fitti e vivaci dialoghi del Professore.
I camei dal mondo dei topi sono altrettanto interessanti. Un po’ per la necessità di raffigurare otto diversi personaggi sulle monete d’oro, un po’ per completezza, oltre ai paperi incontriamo infatti l’imperatore Pippvs Avgustus, Minnie Bella di Castiglia, il Generale sudista Mickey e Gamba il gladiatore. Soprattutto quest’ultimo è un personaggio irresistibile, che parla un romanaccio politicamente scorretto e di cui sono divenute celebri alcune battute.
In generale, le battute sarcastiche, i riferimenti alla morte, alle armi, al vino, al fumo (Paperon Paperonies, venditore di sigari, che sostiene che ormai fumano “persino le donne, i vecchi e i bambini“) abbondano. Intrecciate con la dottissima cultura tipica dell’autore, l’ironia, i disegni meravigliosi e la strampalata continuità cronologica, ne emerge un cocktail che ha fissato per sempre, nella storia del fumetto Disney italiano, un caposaldo irrinunciabile.
Riproposta integralmente in almeno quattro edizioni degne di nota tra il 2009 e il 2017 (di cui una con un cofanetto che ripropone addirittura le celebri otto monete, che potete acquistare sul sito della Panini Comics cliccando qui), la Storia e Gloria della Dinastia dei Paperi è una pietra miliare nella produzione disneyana nostrana, e dopo quasi cinquant’anni non ha perso un grammo del suo fascino d’altri tempi. Un lascito di grandi Maestri che rimane indelebile nel firmamento piumato che amiamo.
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Stefano Buzzotta
Immagini © Disney, Mondadori