Perché la storia con Piero Angela è un clamoroso autogol

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Quando abbiamo condiviso sulla nostra pagina una tavola da Topolino in: che fine ha fatto Peter Quarky?, la risposta di pubblico è stata incredibile.
Quasi 4500 reazioni, 1450 condivisioni e 134 commenti, chiaro segnale del potenziale mediatico insito nella storia, forte della presenza di un personaggio amatissimo come Piero Angela e di una certa dose di sarcasmo nei confronti delle pseudo-scienze, dei ciarlatani e delle teorie del complotto. Anche il periodo giocava a favore: la storia giungeva giusta giusta dopo un servizio virale de Le Iene che puntava il dito proprio contro terrapiattisti e complottari della domenica. Abbiamo anche esortato all’acquisto del numero, che sembrava proprio bello, e diversi utenti, galvanizzati dalla tavola da noi postata, hanno espresso l’intenzione di acquistare l’albo. Insomma, un’occasione del genere non poteva andare sprecata.

Dire che sia stata sprecata, in effetti, non è corretto. Più giusto asserire che sia stata derisa, spernacchiata, canzonata. Così come il lettore, abbandonato come un cane sulla A1 davanti a un assortimento di vignette senza capo né coda, che vorrebbero formare una pallida trama contraddicendosi però nelle premesse. Ma andiamo con ordine.

La storia vorrebbe essere un omaggio a Piero Angela, che il 22 dicembre compirà novant’anni e che a Topolinia viene ribattezzato Peter Quarky. Questo avatar di Angela conduce un programma televisivo chiamato Lo Sbufalone, trasmissione che “smaschera ciarlatani, imbroglioni e impostori”.
Insomma, a Topolinia Piero Angela non è un divulgatore scientifico, ma una sorta di incrocio tra un mythbuster e un inviato di Striscia la notizia. Ma capisco cosa si vuole fare: una semplificazione narrativa in nome dell’esaltazione del metodo scientifico, concetto cardine su cui poggia la storia. Bene così: proseguiamo e vediamo cos’ha da dirci questo Sbufalone.

Arriviamo alla seconda tavola, pagina 10 – quella che ha fatto scalpore lo scorso mercoledì – e notiamo… che i mentecatti che abboccano alle teorie del complotto sono solo contadini. Tutti. E, per il resto della storia, gli unici sostenitori del ciarlatano di turno saranno abbigliati come agricoltori o redneck ammerregani. C’era davvero bisogno di ricorrere a questo stereotipo che vorrebbe i contadini come buzzurri ignoranti? Era proprio necessario utilizzare questo unico riferimento iconografico, in un periodo storico in cui le capre più clamorose vivono in città e sono dotate di una connessione a internet? Inutile dire che no, non era necessario, e, anzi, rappresentare anche qualche cittadino avrebbe rafforzato il concetto che la storia sembrerebbe voler veicolare nelle sue premesse. 

Ma qual è questo concetto? È presto detto: esaltare il metodo scientifico e porlo come unico procedimento valido per smascherare bufale e fake news. Giusto e sacrosanto. A pagina 12 e 13 viene espresso piuttosto chiaramente, quando dal nulla salta fuori… un dinosauro. Che convive con i cavernicoli. Ma come? Questa non doveva essere una storia pro-scienza? Cosa vuole rappresentare il brontosauro che pascola in mezzo agli uomini di Neanderthal?
E non si dica che questa “è una cosa classica, per far capire che è tutto ambientato all’età della pietra”. No, no, no. Fermi tutti. È comprensibile che una cosa del genere la possa vedere nei Flintstones, che era un simpatico cartone senza la pretesa di essere corretto dal punto di vista scientifico, non in una storia del ciclo “Topolino Comic&Science” con Piero Angela a sostegno del metodo scientifico. È troppo chiedere che non si commettano inesattezze così grossolane?

Proseguiamo con pagina 14: “la scienza non propone dogmi, ma ipotesi che possono essere smentite da nuove scoperte!“. Anche questo è corretto. Se non fosse che, nella pagina successiva, tutto attraversa una parete di glassa e si entra nella farsa più totale. 

Il buon Peter Quarky asserisce infatti che, per stabilire se un qualsiasi prodotto dell’intelletto umano sia autentico o meno, vero o falso, si sia servito di uno strabiliante apparecchio chiamato debunkatore. E questo è il solo e unico metodo per distinguere realtà e invenzione.
Il problema è che nella pagina precedente Quarky aveva giustamente sentenziato che solo i ciarlatani pretendono di essere creduti senza alcuna prova, e che le spiegazioni andavano trovate con la pacatezza del ragionamento. Da dove salta fuori questo debunkatore? Perché dovrei credergli? Sulla fiducia? Dunque quello che si propone è un dogma, demonizzato solo pochi balloons prima.

Questo rende la storia a dir poco inconsistente e senza la minima coerenza, nonostante Topolino e Basettoni abbiano un bel da fare a riempirsi la bocca su come lo Sbufalone sia una vera “palestra per la mente”. In questa cornice, il commissario di Topolinia sembra aver sbattuto più volte la testa e risponde al Quarky in televisione come se fosse seduto accanto a lui. Roba che se mio padre dicesse “Lo sappiamo bene, Gerry!” guardando la TV mi attiverei il prima possibile per un TSO.

Proseguendo velocemente, leggiamo di come Piero Angela sia rapito dagli alieni (chiaramente verdognoli e con il tablet in mano), una razza extraterrestre che conduce, su diversi presentatori televisivi, dei test attitudinali vincolati da misteriosi contratti intergalattici con penali altissime. Per tutta la storia godremo di dialoghi al limite del surreale tra Basettoni, che sembra soffrire di problemi cerebrali piuttosto seri, e Topolino, completamente inutile nell’economia della trama e presentato con una caratterizzazione terribilmente fastidiosa, che ne rafforza il dannoso stereotipo di personaggio perfettino e insopportabile.

La storia si conclude così, senza che sia stato dato un vero risalto al metodo scientifico. Anzi, nella penultima pagina leggiamo di come la gente creda alla storia di Quarky perché “è troppo bella per non essere vera”. Insomma, non proprio il massimo per sostenere un procedimento che preveda l’osservazione del fenomeno con conseguente esperimento e formulazione dell’ipotesi.
Probabilmente la presenza degli alieni vorrebbe suggerirci di non essere nemmeno troppo scettici e di rimanere aperti a qualsiasi ipotesi sostenuta dal metodo scientifico e dal ragionamento, ma il problema è che tutto ciò viene accantonato in favore di bizzarri macchinari che pretendono di fornire una verità assoluta senza alcuna prova. La loro (perlomeno discutibile) presenza si sarebbe potuta e dovuta gestire diversamente.

Non abbiamo esperienza del decantato metodo scientifico se non nelle didascaliche vignette isolate a inizio storia, completamente slegate dal flusso narrativo e decisamente fini a se stesse – dunque tediose e poco utili. Bisognerebbe cercare una maggiore interazione tra divulgazione scientifica e trama, magari avvalendosi della collaborazione attiva di figure di scienza: un po’ come avvenuto nella buona Paperino e i ponti di Quackenberg, nella quale allo sceneggiatore Francesco Artibani vedevamo affiancato il matematico Alberto Saracco.

Topolino in: che fine ha fatto Peter Quarky? non risulta nemmeno essere un buon omaggio a Piero Angela. Quarky non possiede né la pacata gentilezza né la riservatezza del presentatore, e Lo Sbufalone non ha nulla a che vedere con i programmi condotti da quest’ultimo.

Viene dunque da chiedersi quale fosse lo scopo di questa storia. Affastellare una serie di gag non troppo riuscite e mostrare un papero simile nell’aspetto a Piero Angela?
Topolino è un grande giornale, un’icona della nostra cultura, un punto di riferimento per il quale hanno scritto e disegnato autori di caratura maiuscola, che in taluni casi hanno addirittura rivoluzionato il medium (si pensi a Romani Scarpa). Per molti di noi lì è cominciata e proseguita una formazione culturale parallela a quella scolastica, che ha contribuito ad accrescere il nostro sapere e a stimolare la nostra curiosità in modo genuino e divertente. In molti ricorderanno perle come Zio Paperone e l’operazione foglia”, per esempio, dove la trama – e l’umorismo – si sviluppavano al servizio della divulgazione, e non viceversa. Forse bisognerebbe sfruttare meglio il potenziale mediatico di alcune storie e impegnarsi per renderle più coerenti, appetibili e forti agli occhi del pubblico, per non lasciare la sensazione di aver letto un’accozzaglia di vignette dal significato ultimo piuttosto oscuro.

Non si può e non si deve accettare come “giustificazione” per queste storie incoerenti e sconclusionate il fatto che sia “solo” TopolinoAnzi, proprio perché si tratta di Topolino, un caposaldo della nostra cultura, bisognerebbe curare maggiormente storie-evento come questa, di tenore non solo divulgativo ma anche dal fenomenale potenziale mediatico. Probabilmente, molti utenti che hanno acquistato il numero ingolositi dalla presenza di Angela e dallo sfottò ai terrapiattisti avranno terminato la lettura delusi, con la promessa di non “riabboccare” ancora. È un enorme peccato. Bisognerebbe sfruttare queste occasioni per far presa sui lettori di vecchia data e far conoscere loro le vere perle che di tanto in tanto compaiono sul settimanale, non per dar ragione ai vecchi lettori convinti che “oggi Topolino è tutto brutto, mica come ai miei tempi…”.

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