Richiami indiani dal passato
Vi è mai capitato di provare una sensazione di deja-vù mentre leggete un fumetto di un determinato autore? E se quella sensazione fosse legata strettamente all’opera filologica del suddetto? Probabilmente questo è ciò che sentirete leggendo Paperino nella Terra degli Indiani Pigmei di Carl Barks. Infatti, se andate ad osservare le prime opere dell’uomo dei paperi, noterete che quest’ultima storia presenta diverse somiglianze con Paperino e il mistero della palude. Basti pensare alle tribù indigene a confronto, ovvero gli Indiani e gli Gnasuti: entrambe sono capaci di atti di furbizia e scaltrezza tali da contrastare i protagonisti e li sottopongono a delle prove per decretarne la vita o la morte. Inoltre entrambe le storie condividono il tema del colonialismo, mostrando i protagonisti come degli intrusi che vogliono mettere a repentaglio la civiltà locale per scopi egoisti. Infine, certe dinamiche durante la parte centrale di entrambe le vicende sono pressochè identiche (es: certi trucchetti di intimidazione delle due tribù).
Motivi…particolari
A questo punto viene spontaneo chiedersi: perchè Barks ha compiuto questa scelta? Perchè prendere quel canovaccio e riutilizzarlo? La risposta a questo quesito ha del paradossale: il Maestro non si è ispirato a quella storia, o almeno non intenzionalmente. Infatti, per sua stessa ammissione, lui aveva pensato di scrivere una vicenda che riguardasse la contaminazione della natura da parte della civiltà moderna e soltanto in corso d’opera si è reso conto delle somiglianze. Nonostante tutto ha comunque deciso di lasciar correre, in quanto è solo la sceneggiatura in sé ad avere delle somiglianze. Ed è in questo aspetto che si trova il fulcro della questione.
Cambio di prospettiva
È giusto definire Paperino nella Terra degli Indiani Pigmei come un mero scopiazzamento? Probabilmente no. Infatti, se osserviamo più nello specifico, possiamo notare come questa storia sfoci in un vero e proprio confronto ideologico tra due civiltà differenti. Emblematico è il dialogo che si instaura tra il capo indiano e Paperone quando questi presenta il documento di proprietà della valle:
Capo indiano:«Chi ha vergato questi strani segni? Con qual diritto, con quali pegni v’ha ceduto il lago e la laguna? Forse il sole? Forse la luna? Forse il vento che fa tremar le foglie? Forse il tuono, forse il lampo v’ha ceduto il nostro antico campo?».
Paperone:«No! E’ stato Trippa Marciapiede! E posso condurti da lui, se non mi credi!».
Possiamo notare come il papero multimiliardario rappresenti la visione secondo cui l’essere umano è padrone del mondo e quindi può decidere a chi appartiene un territorio. Al contrario il grande capo vede gli esseri viventi come semplici abitanti del mondo e, in quanto tali, dovrebbero convivere in armonia con esso. Non è un caso che questo popolo sia capace di parlare e collaborare con gli animali. Tutti questi aspetti rendono il contesto narrativo differente da quello de Il mistero della palude: quest’ultima, sostanzialmente, vuole essere nulla più che una storia di avventura.
Paperino è, infatti, mosso più da semplice desiderio di scoperta che da questioni ideologiche. Gli Gnasuti, oltretutto, non hanno una mitologia alle spalle così profonda: sono sostanzialmente dei creduloni che, per le decisioni, fanno affidamento al loro idolo di pietra. Oltretutto la loro principale preoccupazione è fare in modo che gli umani non vengano a conoscenza della loro esistenza. In sintesi, bisogna guardare a ciò che entrambe le storie vogliono comunicarci per capire che esse sono distinte tra loro (non necessariamente una migliore dell’altra, ma distinte).
Guido Romeo