Il vichingo e lo yankee: la Saga in musica

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Un atto dovuto.

Della Saga di Paperon de’ Paperoni si parla spesso in termini di vero e proprio lungometraggio su carta: vuoi per la profondità dei temi trattati, per la minuziosa caratterizzazione dei personaggi, l’epicità di alcuni momenti o per il gusto squisitamente cinematografico di alcune tavole (la sosta di Paperone presso la tomba della madre, ad esempio, o l’incendio al La Bolla d’Oro con l’ombra di Doretta a stagliarsi imponente sullo sfondo infuocato), all’opera magna di Don Rosa sembra davvero mancare solo il movimento e, magari, una degna colonna sonora. Ma se sul primo elemento tutto tace ecco che invece, d’un tratto, dalla Finlandia sganciano la bomba: l’epopea paperoniana ha il suo, meritatissimo, commento musicale.

Tuomas e la Saga

L’idea arriva da un insospettabile (a prima vista, ma in realtà dichiaratissimo) fan di Uncle $crooge e dell’universo disneyano in generale: Tuomas Holopainen, tastierista e autore dei testi per i Nightwish, band tra le più influenti e celebri della scena symphonic metal europea.

don rosa holopainen

E’ il lontano 1999 quando il compositore scandinavo, tre anni dopo aver concluso la sua prima lettura della Saga, comincia ad incubare l’idea di un concept album: «è molto semplice», dichiarerà, «quando leggevo quelle storie dentro di me sentivo la musica». Della cosa viene subito messo al corrente Tony Kakko, cantante dei Sonata Arctica, amico storico di Tuomas e anch’egli grande fan di Don Rosa, che si mostra subito entusiasta del progetto e prega il collega di permettergli di collaborare, qualora la cosa dovesse andare in porto: per questo bisognerà però aspettare il 2010, anno in cui il fondatore dei Nightwish avrà finalmente modo di proporre la sua idea al celebre fumettista del Kentucky, che si trova ad Helsinki per una conferenza. L’intesa tra i due è immediata e così, di lì a tre anni, si è pronti per cominciare le registrazioni.

Lavoro di squadra.

A prendere parte ai lavori viene convocato un team di tutto rispetto: oltre al già citato Tony Kakko (parte cantata in Cold heart of the Klondike) rispondono all’appello i fratelli Mikko (chitarra e banjo) e Johanna Iivanainen (voce in Into the WestDreamtimeTo be rich A lifetime of adventure), il musicista scozzese Alan Reid (che presta la sua voce a Paperone nelle parti narrate di Glasgow 1877 The last sled e nel cantato di Go slowly now sands of time) e la cantante Johanna Kurkela (voce in  Glasgow 1877To be rich, A lifetime of adventure Go slowly now sands of time).

Vero cuore pulsante dell’opera è però la Moorstone Orchestra diretta dal maestro Pip Williams, vecchia conoscenza di Holopainen (era stato già arrangiatore e direttore di orchestre e cori negli album Once, Dark passion play Imaginaerum dei Nightwish), che riesce ad esprimere meravigliosamente le ambizioni da film score del progetto. Last but not least proprio il buon Don Rosa, che contribuisce con la splendida cover dell’album ed un artbook impreziosito dagli schizzi della Saga stessa, oltre che dalle classiche foto di rito.

don rosa holopainen
 
I remember it as if was yesterday…

Il disco si apre con il suono della pioggia scozzese (no, non in senso figurato: i suoni naturali presenti in alcuni brani sono realmente stati registrati nella terra del clan ‘De Paperoni!) seguito dalla voce narrante di Reid che, impersonando proprio lo Zione, ci dà il benvenuto a Rannoch Moor, 1877, the eve of my 10th birthday. 
Il brano è Glasgow 1877, e prosegue tra cornamuse allo stesso tempo festose e malinconiche che ci riportano con il cuore all’infanzia di Paperone, al suo primo kit da lustrascarpe, al primo decino guadagnato e alle sueprime velleità da imprenditore. L’innocenza della gioventù in terra scozzese dura però solo pochi minuti: sul finire del pezzo a farla da padrone sono le struggenti note di violino e pianoforte a regalarci l’immagine di un papero imbarcatosi per l’America, chiedendosi cosa mai gli riserverà il suo destino.

La risposta è subito servita: l’evocativa voce di Johanna Iivanainen ci proietta verso l’horizon filled with red di Into the west, probabilmente la più morriconiana delle tracce che compongono il disco. Il banjo di Mikko ci offre una fedele panoramica delle atmosfere western dei primi anni americani del futuro papero più ricco del mondo, coprendo tutto l’arco di tempo che va dalle prime disavventure sul Mississipi all’acquisizione della miniera di rame della collina dell’Anaconda; squilli improvvisi di trombe danno ad alcuni momenti un’atmosfera più carica d’adrenalina, rimandandoci ai duelli con i vari fratelli Dalton e McViper, finchè una meditabonda e solitaria armonica non ci avvisa che è l’ora del primo, momentaneo, ritorno in patria: i Whiskervilles minacciano lo storico maniero dei McDuck, e Paperone è chiamato a fare il suo dovere.

Si apre così, dunque, Duel & Cloudscapes: tuoni ed un’atmosfera per la prima volta cupa, sottolineata da archi e piatti che sbattono rabbiosi, mentre infuria lo scontro a Rannoch Moor; tutto si interrompe però quasi bruscamente, quando il nostro eroe, stordito da un mattone cadutogli in testa, si ritrova in un immaginario paradiso in compagnia dei suoi antenati, che discutono se sia il caso o meno di far proseguire al pronipote la sua ancora giovane esperienza terrena: qui l’atmosfera si fa leggera, giocosa quasi, a lasciarci immaginare i paesaggi di nuvole in cui i De’ Paperoni del passato ingannano l’eternità giocando a golf.  È un idillio solo temporaneo, però: Scrooge torna in sè più furibondo che mai, tuoni, archi e piatti uniti ad un’esplosione di ottoni tornano ad esibirsi nella loro tempesta perfetta, e i Whiskervilles sono sconfitti; il lavoro è stato portato a termine, è già tempo di ripartire.

È il suono monotono e quasi snervante del didgeridoo allora ad accoglierci in Australia, nuova tappa del girovagare paperoniano: l’atmosfera onirica di Dreamtime è perfettamente calzante al punto di flesso che la vita del nostro protagonista incontra in terra aborigena, dove il Sogno di Bindagbindag e l’occhio di cristallo si fanno profeti del suo futuro, spingendolo sulla strada che porta al Klondike. Entriamo allora in quella che è la fase della definitiva trasformazione di Paperone, quella in cui riuscirà finalmente a trovare la ricchezza, quella in cui sarà ad un passo dal trovare forse anche qualcosa in più del semplice oro.

saga holopainen


Direttamente su quest’ultimo punto si sofferma il primo dei brani che narrano gli eventi del Fosso dell’Agonia Bianca: è una maestosa bufera di neve questa Cold heart of the Klondike, che ci porta dritti ai giorni della “prigionia” della bella Doretta Doremì (Charme of the dancehall girl / a true star of the North / those precious thirty days) presso l’arrangiata dimora del nostro argonauta, fino alla scelta più dolorosa e sofferta (A letter in the snow / love lost yet always there / a burning need of life). La voce di Kakko è a tratti rabbiosa e repressa e a tratti urlo di dolore, gli archi sferzano isterici e come gelida bora sembrano lacerarci il cuore, si acquietano un attimo nel momento in cui tra i due quasi-amanti sembra poter realmente nascere qualcosa, per poi assalirci di nuovo e sancire la sconfitta del possibile amore in favore dell’ambizione sovrana dei due solitari cold Klondike hearts, incapaci di cedere ai propri sentimenti.

Lo scopo è raggiunto, la prima pepita è stata trovata e i barlumi di una grande ricchezza e di un’immensa solitudine cominciano ad intravedersi, ed è tempo allora di congedarsi: addio che viene consumato nel successivo The last sled, che cita esplicitamente nel titolo il penultimo capitolo bis della Saga e che mantiene il tono drammatico del precedente, con un velo di malinconia in più. Anche qui sono gli archi a farla da padrone, ma le dolci note del pianoforte di Holopainen spuntano come le lacrime del partente che saluta per l’ultima volta un posto che ha tanto amato, conscio di accomiatarsi non solo da un luogo ma da una fase irripetibile della propria vita (Another rainbow’s end / another memory); piccola chicca, nel testo, quel fortuna favet fortibus (la fortuna aiuta gli audaci) che non solo riassume perfettamente il paperon-pensiero, ma è anche un riferimento ad una struggente tavola disegnata proprio da Don Rosa in cui si vedevano Paperino ed i tre nipotini piangere un defunto zione sulla sua lapide, sulla quale è inciso proprio il famoso motto latino.

A proposito di cari estinti, il brano seguente è probabilmente il più commovente dell’intera opera: il delicato pianoforte di Goodbye, papa fa da sfondo all’ultimo ritorno di Paperone in terra natìa, tra una sosta sulla tomba della madre e un ultimo abbraccio a Fergus McDuck che, ormai passato a miglior vita, saluta mano nella mano col fantasma della moglie i suoi figli che partono, stavolta definitivamente, alla volta del Nuovo Mondo.

Manca un ultimo passo, però, alla definitiva trasformazione di Paperone nell’apparentemente vecchio e avaro zio che per tanti anni taglierà i ponti con la sua famiglia: To be rich, col suo andamento sommesso, quasi sconfitto, sancisce il passaggio a questa nuova fase. Essere ricco comporta rinunce, sofferenze, e poco importa se i parenti che tanto ti hanno amato ti considerino ora solo un avido miliardario dal cuore di pietra: nessuno sa, nessuno conosce davvero le sofferenze e le fatiche della vita di un vecchio papero, forse solo her face on the moon, ma lei è ormai lontana.

Home is the sailor, home from the sea.saga pdp finale

Menzione a parte meritano le ultime due tracce, che si collocano sì all’altezza dell’ultimo capitolo della Saga, in cui Paperone rivede le sue posizioni dopo tanti anni di solitudine e si presenta finalmente ai nipoti, ma sono anche riflessioni estemporanee, possibili meditazioni notturne di uno zione vittima di tanti ricordi e tante avventure ma incapace di considerarsi un relitto, ancora voglioso di scrivere nuove pagine memorabili della sua già incredibile vita.

A lifetime of adventure è il perfetto commento musicale dell’ultima tavola della Saga, con gli occhi sognanti di Uncle Scrooge che tornano ai bei vecchi tempi, ma è anche molto diverso dalle tracce che l’hanno preceduto: è un pezzo che tradisce l’animo rock di Holopainen, grazie ad una più classica struttura strofa-ritornello e all’unico assolo di chitarra presente nell’album, con un testo malinconico da cui traspare finalmente la consapevolezza della vera ricchezza (To be rich is / to still remember / to treasure your first dime / to have a chance to say farewell) e un ritmo però incalzante, che lascia presagire la voglia di andare avanti invece di lasciarsi morire all’ingombrante ombra del Klondike.

Degna di nota anche la non casuale citazione alla Rosebud di Quarto Potere, il capolavoro di Orson Welles che ha, infatti, molto da spartire con la Saga in quanto a tematiche trattate. Chiude questo piccolo gioiello il pezzo forse più tranquillo e maturo, quel Go slowly now, sands of time che, con la serenità della sua chitarra acustica e della calda voce di Reid, prosegue nel suggerirci l’immagine di un Paperone meditabondo ma anche voglioso di nuove esperienze, maturo e nostalgico ma mai stanco, mai pago, mai arrendevole.

Home is the sailor / home from the sea / and the hunter home from the hill sono i versi di Stevenson che fanno da ritornello al brano (non casualmente, essendo stati citati proprio da Don Rosa nelle tavole che raccontavano il ritorno di Paperone a Paperopoli dopo vent’anni di girovagare), ma qual è la casa a cui il nostro cacciatore ha fatto ritorno? Quella, sicura e confortevole, in cui il corpo di una normale persona desidera trascorrere i giorni della propria vecchiaia o quell’immenso mondo in cui un mai domo papero non vuole smettere di lasciare tracce, stavolta in compagnia degli affetti più sinceri? Fortunatamente la risposta la conosciamo già: tavole e musica sembrano non lasciarci alcun dubbio.

Ivan Marra

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